Greta Privitera e Camilla Strada, Vanity Fair 11/11/2015, 11 novembre 2015
A CHI FA PAURA UNA CAREZZA
#AmoreTraLeSbarre
Nel 2014 Carmelo, con l’associazione Antigone, lancia su Change.org la petizione #AmoreTraLeSbarre. La politica, a mettere in agenda il diritto all’affettività, ci è arrivata pochi giorni fa: con una proposta di legge per realizzare in carcere le «stanze dell’affettività». Che già esistono in tutta Europa, tranne da noi.
«E che nulla hanno che fare con il sesso», spiega l’onorevole Pd Alessandro Zan, primo firmatario. «Nelle stanze dell’affettività, che prevedono una visita al mese che può durare dalle 6 alle 24 ore in locali realizzati appositamente, senza controlli visivi né auditivi, ci potranno essere anche baci, abbracci e carezze, certo, ma l’obiettivo è di creare un ambiente intimo e familiare, soprattutto per i figli». In effetti, «è giusto che un detenuto venga punito: ma perché deve pagare anche la famiglia?».
Abbracci vietati
«Quel giorno sono andata dal parrucchiere: volevo essere bella per Nico, che non vedevo da un mese. Sono arrivata a San Vittore alle 6 di mattina. Lui stava seduto con la schiena curva su un tavolo di plastica, illuminato dal neon. Gli sono corsa incontro e l’ho abbracciato». Ma gli abbracci erano vietati e Chiara lo aveva letto sul regolamento, ma se lo era dimenticato. «Le guardie sono entrate a dividerci, non potevamo nemmeno stare seduti sullo stesso lato del tavolo: ci era permesso solo il contatto delle mani».
Chiara e Nico stanno insieme da 6 anni, lui ha passato un periodo in carcere nel quale anche lei è stata privata totalmente del suo affetto. «Avevamo qualche ora al mese regalata dai suoi genitori, perché non siamo sposati. Abbiamo dovuto imparare a condividere il più possibile in 60 minuti. Uno strazio. Avevo una voglia infinita di stare con lui, di fare l’amore ma anche solo di appoggiare la mia testa sulla sua spalla per trovare il coraggio di andare avanti nella solitudine. Avevamo imparato a scambiarci qualche bacio quando le guardie si giravano, come alle scuole medie. Dopo ogni incontro tornavo a casa con una forte sensazione di vuoto. È vero, lui aveva sbagliato, ma stavo pagando anche io. Pagano anche tutti i figli, i fratelli, i genitori di chi sta dietro le sbarre. Oggi so che la totale privazione dell’affetto non aiuta a diventare persone migliori. Anzi, così facendo lo Stato aumenta il disagio sociale. Se il carcere deve essere un periodo di riabilitazione alla vita, è necessario pensare alla salute affettiva di chi ci sta dentro. Se io e Nico avessimo avuto uno spazio solo per noi, dove poter essere liberi di trovare una dimensione di coppia, almeno per qualche ora, sarebbe stato tutto più umano. Per fortuna Nico ora è fuori, non so come avrei fatto a resistere con quelle regole».
Un pranzo in famiglia
Mariella (il nome è di fantasia) ha poco tempo: deve finire il lavaggio, e cuocere il polpettone, domani è giorno di colloquio. Come ogni sabato, con i figli, di 19 e 17 anni, andrà a trovare Andrea, suo marito da 24 anni, in carcere, con il cibo e i vestiti puliti. Hanno un’ora a settimana, chiacchierano del più e del meno: «E che altro vuoi che ci diciamo? Siamo lì, in mezzo a tutti, è imbarazzante. I ragazzi, poi, con le telecamere addosso, pesano tutte le parole per non dire quella sbagliata». Non sa nulla delle stanze dell’affettività, Mariella, ma l’idea le piace. Andrea uscirà nel 2018, forse prima, se ottiene qualche sconto. Ma così potrebbero starsene tra loro, tranquilli. Per un pranzo in famiglia, col polpettone.