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 2015  novembre 11 Mercoledì calendario

FABRIZIO CORONA

Dal libro Madri della conduttrice di L’aria che tira su La7, che propone incontri e storie di donne famose o sconosciute, eroiche o normali (un universo materno di fortissimo impatto), pubblichiamo alcuni brani dal capitolo dedicato a Gabriella, la mamma di Fabrizio Corona.
Gabriella è un fiume in piena. E dal compleanno di Fabrizio riavvolge la sua esistenza fino a trentasette anni prima, a Milano, all’uscita da un ospedale. È una madre disperata e sconvolta, con in braccio il suo bambino, bello come un angelo, ma bianco come una statua di cera e con una diagnosi che non lascia scampo: epatite fulminante. Le hanno appena detto che il suo Fabrizio, tre anni, non sopravviverà.
È devastata. Non sa che fare. Non sa a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Poi, all’improvviso, il suo cuore straziato di mamma che non vuole arrendersi le suggerisce un’idea folle: partire subito per Catania. Andare lì, nel profondo Sud da dove chiunque scappa per curarsi anche un semplice raffreddore: nella sua città dove conosce tutti e dove tutti la conoscono forse troverà quell’umanità che a Milano le è mancata. E magari persino un medico disposto a tentare il tutto per tutto per salvare suo figlio.
Tra mille dubbi e tanta paura, il viaggio le sembra non finire mai e quando finalmente arrivano Fabrizio ha le ore contate. Ma il mare, la casa dei suoi genitori, persino la presenza minacciosa e familiare dell’Etna le danno una nuova forza, le fanno sentire che lei e il suo bimbo non sono soli a combattere contro la morte. E che forse possono farcela.
Gabriella è attaccata a un’ultima fragilissima e irrazionale speranza. È sconvolta, ma non si rassegna mai. Non vuole arrendersi. Non può, perché non può accettare la condanna a morte emessa dai medici di Milano. Serve un’idea, un’intuizione geniale.
Tutti brancolano nel buio. Tutti, salvo sua madre, che non la lascia sola un secondo e divide con lei la sua tragedia. Quando le spiegano che potrebbe essere un attacco di favismo, rompendo all’improvviso l’angosciante silenzio che circonda Fabrizio, è lei a ricordarsi subito che altri in famiglia ne hanno sofferto. È una traccia. È un bandolo a cui si attaccano furiosamente.
Nuova diagnosi: favismo
Arriva la risposta ed è proprio favismo, quello strano male temuto già tanti secoli fa da Pitagora. Un difetto congenito, la carenza di un enzima che, mangiando fave e piselli o assumendo alcuni farmaci, provoca un’improvvisa distruzione dei globuli rossi. Una malattia ereditaria che si manifesta all’improvviso e colpisce soprattutto i maschi.
Possibile che nessuno ci abbia pensato prima? È incredibile, ma è proprio così. E ora Fabrizio può essere curato. Gli fanno subito una trasfusione, pur sapendo che potrebbe essere troppo tardi: ha solo un milione di globuli rossi e i segni di vita dentro di lui sono sempre più pallidi e sbiaditi. Gabriella non si muove dal suo capezzale, lo veglia giorno e notte mentre il suo corpicino debilitato combatte tra la vita e la morte. E pensa. Nel silenzio dell’ospedale, nelle lunghe ore di solitudine non ha molto altro da fare. Nella sua mente è come se si combattesse una battaglia all’ultimo sangue. Uno scontro durissimo tra il sogno e l’incubo. Il sogno della guarigione e l’incubo della morte. Il sogno di vedere Fabrizio stare di nuovo bene, crescere, diventare un uomo e avere una vita felice e l’incubo del cuore che smette di battere, della vita che si spezza, del funerale con tutti i parenti.
Per cercare di distrarlo, gli legge qualche favola. Un libro dei Barbapapà, quegli strani personaggi colorati e sempre sorridenti. Non è sicura che lui la ascolti, che capisca, ma va avanti sforzandosi di apparire allegra e rassicurante, di avere una voce calda e di nascondere lacrime e singhiozzi. Pagina dopo pagina il tempo passa, tra sonno agitato e veglia semincosciente.
Quel pianto di gioia
Poi Fabrizio le sussurra che ha fame e lei scoppia in un pianto di gioia, un pianto incontrollabile. Sorride, riempie di baci il suo bambino, mentre chiama a squarciagola medici e infermieri.
Ogni buona mamma del Sud è felice quando può preparare qualcosa da mangiare per il proprio figlio, ma l’euforia di Gabriella ha una natura diversa, molto più profonda. Dopo la trasfusione le avevano detto che se Fabrizio avesse avuto fame voleva dire che era fuori pericolo, che se l’era cavata.
Il suo istinto materno ha avuto ragione. Catania, la sua città, la città dove Fabrizio è nato, ha restituito la vita a suo figlio. Mai le sarebbe stato più dolce passeggiare davanti al Duomo, all’ombra dell’Elefante, nelle viuzze più sconosciute, tra degrado e tradizione: uscendo dall’ospedale sente di aver stretto un nuovo legame con quei luoghi.
Riprende la vita. Fabrizio è un bambino di una dolcezza infinita, ubbidiente e legatissimo alla mamma. Nei giorni della malattia hanno costruito un rapporto speciale, intenso e solidissimo: si sono uniti fin quasi a diventare una cosa sola. Gabriella, quando era convinta di perderlo, l’ha accolto per una seconda volta dentro di sé, per proteggerlo, per dargli una nuova vita. E lui l’ha ripagata costruendosi l’immagine di una superdonna capace di tutto, una madre che può risolvere ogni problema: dopo aver vinto la morte, cosa può esserci di impossibile?