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 2015  novembre 10 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - RENZI A MILANO PRESENTA TECHNOPOLE


Nasce oggi il progetto ’Human Technopole. Italy 2040’, l’ambiziosa sfida per la quale il governo è pronto a mettere un miliardo e mezzo di euro da realizzare là dove ancora sorgono i padiglioni di Expo (le operazioni di smantellamento dureranno ancora qualchemese). A presentare il tutto è arrivato a Milano il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che dopo il pranzo da Cracco con il ceo di Apple, Tim Cook, è salito sul palco per parlare di ’Italia 40’.

Renzi a Milano per il dopo Expo: "Il governo lo immagina così"
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Expo ci ha ridato l’orgoglio. "Non siamo solo un insieme indistinto di problemi, ma molto di più" ha esordito il premier. Lo dimostra Expo ("un trionfo") dice "che ci ha restituito l’orgoglio di realizzare l’impresa ed è diventato il simbolo di chi non si rassegna. "L’Expo non l’ha vinto Milano, ma i milioni di visitatori e gli italiani. Ma se lo hanno vinto gli italiani l’hanno salvato i milanesi" con la loro reazione alle devastazioni del Primo maggio.

Dal governo 150 milioni all’anno. "Noi pensiamo - ha detto Renzi - che l’area dell’Expo deve essere un’area con un forte valore scientifico e culturale. Un’area in cui ospitare tanti luoghi che diano la scintilla della ripartenza". Nel progetto del governo, insomma l’area di Rho-Pero dovrà diventare una sorta di Silicon Valley italiana. "Lo stato è pronto - ha detto Renzi - a mettere, da subito (già dal consiglio dei ministri di venerdì), 150 milioni all’anno per i prossimi dieci anni. Il governo pronto a fare un progetto che sia ’the best’".
Dopo Expo, Renzi a Maroni: "Non è tempo di polemiche"
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Genomica e big data. Ed ecco allora cosa sarà Italia 2040. "Un grande centro a livello mondiale che affronti insieme il tema della genomica, dei big data, della nutrizione, del cibo e della sostenibilità". Renzi ha anche quantificato in 1.600 il numero di ricercatori che potrebbero essere coinvolti nel progetto. Il premier parla di "un centro che metta insieme discipline diverse, dall’alimentazione alla robotica allo studio dei genomi del cancro, dove al centro ci sia l’uomo". Il simbolo di "un nuovo Umanesimo" ha detto Renzi spiegando che fino ad ora si sono creati solo centri su singole discipline e non interdisciplinari. "Non immagino - ha aggiunto - questa come un’area dove trasferire pur prestigiosi immobili".

Il campus universitario. Renzi ha anche precisato che il progetto è "totalmente sinergico" con quello dell’università degli Studi di Milano che intende portare lì le proprie facoltà scientifiche e costruire un campus, e con quello del mondo privato. Secondo il premier, quindi il centro di ricerca sarà dunque solo una delle "scintille" che renderanno quell’area attrattiva per gli investimenti privati. E al presidente della Regione Lombardia che riguardo all’intervento del governo aveva parlato di "un esproprio proletario", ha detto dal palco: "Roberto, non ci sarà nessun esproprio. Nella parte immobiliare, il compito di fare le regole spetta alle autorità locali. Noi diamo la disponibilità se ritenete che l’intervento del governo serva, se richiesto anche con la Cassa depositi e prestiti".
Expo, Renzi ringrazia Sala: "Grazie di cuore a Beppe, non dico altro"
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"Grazie a Sala. E non dico altro". Il premier aveva riservato l’esordio del discorso a Giuseppe Sala, commissario di Expo: "Dico grazie a Beppe. Non posso dire altro per ovvi motivi, grazie
di cuore per la dedizione con cui ha seguito l’Expo", facendo riferimento alla sempre più probabile candidatura di Sala come sindaco di Milano. E ha proseguito: "Negli ultimi 20 anni l’Italia ha parlato tutti i giorni di riforme e negli ultimi 20 mesi le riforme sono state realizzate. Non esprimo un giudizio di merito: c’è chi apprezza e c’è chi contesta, ma in 20 mesi si è fatto ciò che è stato rimandato per 20 anni".

ANTICIPAZIONI DEL CORRIERE DELLA SERA
QUEL CHE IL GOVERNO VUOL FARE DELL’AREA EX EXPO

CORRIERE DELLA SERA DELL’8 NOVEMBRE
ENRICO MARRO
ROMA Una vita più lunga e di qualità. Un progetto molto ambizioso per realizzare a Milano il centro di eccellenza mondiale per il miglioramento della vita in tutti i suoi aspetti. Questo il piano per il dopo Expo (25 cartelle in inglese dal titolo provvisorio «Human technopole. Italy 2040») che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, presenterà martedì a Milano. Il progetto propone di creare in una parte dell’area dell’Esposizione universale un polo internazionale di ricerca e tecnologia applicata. Dedicato non solo all’ alimentazione, tema dell’Expo, ma a tutte le competenze che possono contribuire all’allungamento e al benessere della vita. Si mira quindi all’interazione fra scoperte e tecnologie mediche, welfare in una società che invecchia, innovazioni nei materiali sostenibili e nel ciclo dell’acqua e dei rifiuti, fino alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale «come parte di una alta qualità della vita per i cittadini di tutte le età».
Le scelte al vertice
Il polo sarà guidato dall’Iit, l’Istituto italiano di tecnologia (fondazione di diritto privato finanziata dal governo) diretto dal 2005 dal 53enne fisico di fama mondiale Roberto Cingolani, che si avvarrà della collaborazione di altri due centri di eccellenza del Paese: l’Institute for international interchange di Torino, presieduto da un altro fisico di punta, Mario Rasetti (74 anni di cui una quindicina passati negli Stati Uniti, tra i maggiori esperti di Big data) e la Edmund Mach Foundation di Trento, centro di eccellenza per la ricerca e la formazione in campo agricolo, alimentare e ambientale, con a capo l’agronomo 54enne Andrea Segré. Contatti sono in corso o previsti, dice il documento, con l’Università statale di Milano, col Politecnico di Milano, l’Assolombarda, l’European molecular biology Laboratory, il Weizman Institute, l’Ibm Watson Lab, Google e «un’ampia rete di ospedali di ricerca». Quanto alle imprese, si citano come coinvolte nel progetto, oltre all’industria farmaceutica italiana, Bayer, Dupont, St Microelectronics, Ibm, Ferrero, Barilla, Crea, GlaxoSmithKline, Novartis, Nestlè, Unilever Syngenta. Infine, tra le fondazioni, la Umberto Veronesi, Benetton, San Paolo, Crt.
Per partire 200 milioni
Il polo indirizzerà la sua attività a precisi obiettivi contenuti nella «Italy 2040 vision», costruiti sulla credibilità di un Paese che eccelle proprio per la durata e la qualità della vita. Dovrà attrarre i migliori talenti mondiali e lavorare in sinergia con le aziende private, con ricadute positive sui cittadini e sull’economia. Il governo, spiegano a Palazzo Chigi, finanzierà il progetto con iniziali 100 milioni di euro mentre altri 100 milioni saranno investiti da Iit. Il polo è pensato per occupare un’area di 70 mila metri quadrati su un totale di un milione e 100 mila dell’Expo (di cui circa la metà destinata a verde), lasciando ampio spazio ai progetti immobiliari che verranno sviluppati da Arexpo, la società della Regione Lombardia e del Comune di Milano (34,67% ciascuno), partecipata dalla Fondazione Fiera (27,66%), dalla città metropolitana (2%) e dal Comune di Rho (1%) proprietaria dell’intera area dell’esposizione universale. Da tempo il governo ha annunciato di voler entrare in Arexpo e ha messo al lavoro la Cassa depositi e prestiti e l’Agenzia del demanio su come valorizzare il dopo Expo.
I talenti
Nel polo proposto da Renzi lavorerebbero almeno mille persone tra scienziati, ricercatori e tecnici mentre sono previsti circa 600 dottorati post laurea. Milano, sul modello dell’Istituto italiano di tecnologia dove il 45% dello staff viene dall’estero, dovrebbe diventare il centro di attrazione delle migliori intelligenze del mondo nelle cinque aree di lavoro del polo: 1) tecnologie per il welfare e per fronteggiare l’invecchiamento; 2) medicina di precisione, integrando la genomica e la Big data analysis per sconfiggere cancro e malattie neurodegenerative; 3) tecnologie multidisciplinari per l’alimentazione, la nutrizione, l’agronomia; 4) materiali sostenibili, nanotecnologie verdi, confezionamento del cibo, ciclo dell’acqua e gestione dei rifiuti; 5) soluzioni innovative per preservare e valorizzare il patrimonio culturale e artistico dell’Italia.
Il piano prevede appunto collaborazioni con imprese leader interessate, anche allo scopo di creare aziende (start up) e lavori di alta specializzazione. A regime, «Human Technopole», impegnerà più di 1.600 scienziati organizzati in sei distretti: genomica; neurogenomica; nutrizione; modelli matematici e scienza dei dati; bioinformatica; impatto socioeconomico. Il costo del progetto a regime è stimato in 145 milioni l’anno. Il 55-60% per il personale, il 15-20% per le infrastrutture, il 20-30% per la ricerca e sviluppo. Secondo Renzi il piano, che è stato scelto fra diverse alternative, supera la dimensione localistica e rappresenta la miglior proposta per raccogliere l’eredità dell’Expo e rilanciarla su scala mondiale con il sostegno del governo.
Una visione per il 2040
Il piano guarda quindi lontano e propone un primo traguardo fra 25 anni, nel 2040, per fare dell’Italia il Paese leader mondiale nelle «Human technologies». In vista di questo traguardo i soggetti coinvolti dovranno collaborare su 11 progetti in diversi campi del sapere: la medicina, Big data (costituzione e gestione delle banche dati); nanotecnologie verdi (consumi sostenibili, lotta all’inquinamento, eccetera); welfare (assistenza agli anziani e ai non autosufficienti).
Gli undici progetti impegneranno più di mille ricercatori dell’Iit e circa 100 collaborazioni industriali e saranno finalizzati a ottenere miglioramenti in quattro settori: 1) robotica di supporto (per la chirurgia, la riabilitazione, le protesi); 2) materiali intelligenti (plastica vegetale, purificazione dell’acqua, applicazioni biomediche); 3) nanomedicina, per esempio i farmaci intelligenti; 4) genomica (la mappatura dei geni per prevenire le malattie) . Oltre alle ricadute concrete in questi campi, Renzi sottolinea i benefici economici del progetto visto che tra gli obiettivi c’è la riduzione dei costi del servizio sanitario nazionale di «almeno il 20% in dieci anni». Speciale attenzione sarà dedicata alla cura del cancro e delle malattie neurodegenerative, tra le principali cause di morte e invalidità nei paesi industrializzati. I pazienti, con le nuove tecniche d’indagine e prevenzione, potranno beneficiare di terapie sempre più personalizzate. Lo sviluppo della ricerca favorirà la nascita di imprese innovative nella farmaceutica, nell’assistenza, nell’alimentazione. Infine, si legge nel documento, ci sarà anche un beneficio per l’«immagine del Paese», facendo dell’Italia, si legge ancora, il «posto ideale per vivere, ma anche un leader visibile nei rami delle scienze e tecnologie al servizio dell’umanità». Ora la parola passa alla Regione e agli enti locali.

GIOVANNI CAPRARA
L’ Istituto italiano di tecnologia (Iit) quando veniva fondato a Genova dal governo Berlusconi nel 2003 per iniziativa del ministro Tremonti appariva come un’anomalia nel panorama della ricerca. E subito, e per anni, era bersagliato da critiche avanzate anche da importanti personalità. Si parlava di sperpero di denaro in un Paese avaro di risorse nei confronti della scienza. Alla sua direzione veniva chiamato un illustre scienziato nel campo delle nanotecnologie, Roberto Cingolani, con grande esperienza soprattutto all’estero. Infine, dopo un paio d’anni di rodaggio, il lavoro partiva e i risultati fiorivano dimostrando sul campo che l’impostazione e i metodi (in particolare il riferimento alla rete tedesca dei Max Planck Institutes) erano adeguati: una base interdisciplinare, secondo una visione moderna della ricerca, e un’idea precisa sul reclutamento dei ricercatori: tutti assunti a tempo determinato con i contratti che vengono rinnovati in base ai risultati. Oggi dalla collina degli Erzelli — dove l’istituto ha sede occupandosi di robotica e neuroscienze, di nanotecnologie e ottica avanzata — escono innovazioni e il robot «iCub» è diventato un esempio a livello europeo. Intanto l’Iit è cresciuto collaborando con altre istituzioni italiane (a partire dai politecnici di Milano e Torino) ma anche con importanti università estere come il Mit di Boston. Così «l’anomalia italiana» è diventata una risorsa preziosa per il futuro del Paese.
Giovanni Caprara

CORRIERE DELLA SERA DEL 9 NOVEMBRE
PAOLO FOSCHINI
MILANO Ci fosse stata una mosca attaccata a quei dieci-dodici telefoni di Milano che contano, e che ieri mattina si son messi a squillare tra loro prima delle otto con tutto che era domenica, avrebbe registrato quasi ovunque le stesse parole e in qualche caso parolacce: «E noi di Milano chi siamo?». Poi le ore sono passate, molti han deciso di mordersi la lingua, mentre la linea pressoché comune degli altri è stata «progetto interessante» e/o «importante», ora «attendiamo che di questo piano Human Technopole. Italy 2040 il premier Matteo Renzi venga a dirci i dettagli». Domani al Piccolo Teatro.
Tutto questo al netto della «sorpresa» non tanto per il contenuto del progetto — il centro tecnologico da 1.600 scienziati da realizzare dove è appena finita l’Expo — quanto per l’ipotesi di affidarne la guida a tre realtà (Istituto italiano tecnologia di Genova, Institute for international interchange di Torino, Edmund Mach Foundation di Trento) rispetto a cui le «eccellenze» milanesi parrebbero venirsi a trovare perlomeno in seconda fila: a cominciare dall’università Statale che compie cento anni giusto oggi e il cui rettore Gianluca Vago era stato il primo, dieci mesi fa, a lanciare il polo universitario e di ricerca come progetto per il futuro dell’area Expo. In effetti quello di Vago è stato ieri, il silenzio più rumoroso, come si dice.
Il piano è comunque una «buona notizia» per il sindaco Giuliano Pisapia: un «progetto importante, ulteriore impulso per la creazione di un luogo dedicato alla conoscenza a all’innovazione, complementare al Campus universitario proposto dalla Statale». E «idea molto interessante» la definisce Stefano Blanco, direttore della Fondazione delle università milanesi, anche se «avrà certamente spiazzato una certa Milano che forse si aspettava annunci diversi».
Davide Rampello, l’autore di quel Padiglione Zero così amato all’Expo che tutti vorrebbero salvarlo ma non si sa ancora come, vuole ricordare che «è stato il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone a ridefinire Milano capitale morale d’Italia. E “morale” indica un sistema di valori da cui non si può prescindere. Detto questo aspettiamo Renzi», conclude anche lui.
A rassicurare il tessuto milanese e lombardo, in attesa del premier, arriva in serata il ministro bergamasco Maurizio Martina. Cioè quello il cui telefono, in mattinata, era stato forse tra i più bersagliati da molti nei toni di cui sopra. «Milano — scrive — può essere capitale della ricerca italiana e proprio per questo l’investimento del governo nel post Expo sarà molto forte. L’eredità dell’Esposizione si può giocare insieme su questa frontiera. L’idea è quella di valorizzare al massimo le proposte emerse fino a qui dall’Università di Milano, dalle istituzioni locali e da alcune associazioni, interagendo con altre realtà scientifiche forti del Paese. Un progetto integrato fra diverse realtà, di caratura internazionale, che solo a Milano si può sperimentare con questa forza».
Paolo Foschini


GIOVANNI CAPRARA
«Nella cittadella della scienza del dopo Expo ci saranno tanti protagonisti e, insieme, il lavoro da compiere avrà l’obiettivo di migliorare la qualità della vita». Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) chiamato alla guida del dopo Expo guarda alla nuova sfida pensando innanzitutto a realtà che ben conosce soprattutto negli Stati Uniti, ma non solo. «La Boston Area, ad esempio, — nota — è un luogo che riunisce in un solo punto tanti soggetti, da illustri Università come il Mit e Harvard a importanti iniziative produttive. Ma potrei citare pure l’area di Berlino e i Max Planck Institutes che seguono la stessa logica. Anche il nostro piano ha due anime, quella scientifica e quella industriale».
L’Iit è diventato in questi anni un modello per la ricerca nel Paese creando attorno al cuore centrale di Genova undici centri specializzati in campi diversi distribuiti nella Penisola. Alle spalle del nanotecnologo Cingolani la governance dell’Istituto è formata da un comitato di gestione presieduto da Gabriele Galateri e un consiglio con funzioni di guida e controllo con a capo Vittorio Umberto Grilli. «È necessario mettere insieme tutto il meglio che già abbiamo — riprende Cingolani —. E il mio primo passo sarà sedermi ad un tavolo con i rettori della Statale e del Politecnico perché si deve partire proprio da ciò che Milano esprime con saperi e attività eccellenti soprattutto nell’area biomedica. L’Iit, l’Isi di Torino e o la Fondazione Mach di Trento coinvolti saranno tasselli del mosaico che comprenderà le grandi realtà che già esistono».
Nelle prime proiezioni del piano sono incluse aree di ricerca che includono dalla nutrizione al cancro, dalla gestione del cibo al ciclo dell’acqua, dai nuovi sistemi all’ambiente.
«Nel delineare le scelte ci dobbiamo chiedere che cosa manca all’Italia — sottolinea Cingolani — e il nostro compito sarà di colmare le necessità per garantirci uno sviluppo e competere sulla scena europea ed extraeuropea. Dovremo darci regole molto elastiche nell’attrarre i giovani anche dall’estero fornendo loro una base per crescere dopo cinque-sei anni verso le accademie».
«Sarà importante stringere accordi internazionali — prosegue il direttore dell’Iit — per creare una dimensione ampia e maggiormente ricca di prospettive. Però sarebbe inefficace pensare di riprodurre pedissequamente dei modelli stranieri. E sarebbe un errore prefabbricare una realtà nuova ignorando istituzioni in grado di esprimere buoni risultati. Nel compiere questa operazione pensiamo inoltre ad un modello non circoscritto al luogo ma che, se funziona, possa trasformarsi in un modello per lo Stato da replicare in altre aree del Paese in settori diversi da quelli che seguiremo nella cittadella milanese. E’ chiaro comunque — aggiunge — che ciò che si riuscirà a fare dipenderà anche dalle risorse che saranno messe in gioco e che speriamo ci siano».
L’altra anima del piano riguarda il mondo produttivo e industriale. «In questa prospettiva — conclude —. Sosterremo in particolare la nascita e lo sviluppo di nuove start-up e coltiveremo nuovi rapporti con le aziende per trasferire nuove conoscenze ma si stringeranno anche accordi con gli ospedali per garantire, pure nella pratica, ad esempio, con cartelle elettroniche, una qualità della salute più rispondente alle necessità dei cittadini».

MICHELE BORRILLO
MILANO «In questa città occorre una grande alleanza tra pubblico e privato per un piano strategico con al centro l’innovazione». Soltanto qualche giorno fa, il 26 ottobre, Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, aveva auspicato, durante l’assemblea generale dell’associazione, un investimento di questo genere per il dopo Expo. E l’«Human technopole. Italy 2040», il progetto che il governo ha preparato per dare un futuro all’esposizione universale milanese, va proprio in questa direzione. «È un’ulteriore conferma dell’impegno del governo per fare del dopo Expo un hub della conoscenza. E la tempestività con cui l’esecutivo si è mosso — spiega oggi Rocca dopo l’anticipazione del piano sul Corriere — dà il senso dell’urgenza dell’intervento. È importantissima la rapidità, e per questo occorre darsi delle date. Expo aveva un traguardo temporale, per il dopo Expo dobbiamo darcelo. Io direi che occorrono un masterplan — disegno urbanistico dell’area — e un business plan — fondi e mezzi — entro giugno dell’anno prossimo».
Presidente, che idea si è fatto del progetto «Human technopole»?
«Premesso che ho molta stima di un’eccellenza come quella dell’Istituto italiano di tecnologia, della cui fondazione sono stato consigliere, penso che tra i driver di questo nuovo hub debba esserci anche l’Università Statale. L’”Human technopole” è pensato per occupare un’area di 70mila metri quadrati, è quindi un tassello che pesa per il 10-15% sui 500-600mila metri quadrati per i quali si sta cercando un futuro. La Statale può rappresentare circa il 50% di quell’area. E la parte rimanente può essere destinata a iniziative private».
Come pensa che i privati possano sostenere il piano?
«Per un progetto del genere servono gli investimenti, che per Statale e Iit sono capitali pubblici. Una volta che verrà fatto un piano urbanistico e si deciderà quanto costerà a metro quadro l’aerea destinata alle aziende, potranno intervenire i privati. Che nella mia visione possono arrivare a un peso anche del 40%. Adesso, però, occorre concentrarsi sui mezzi necessari al piano e sulla governance . E farlo presto».
Continua a insistere sui tempi. Eppure Expo si è chiusa da meno di 10 giorni.
«È vero, come è vero che il mondo è pieno di idee ma di idee realizzate ce ne sono pochissime. Del resto la tempestività del governo dà il senso dell’urgenza. Il tema adesso diventa quello degli strumenti: serve, cioè, un management adeguato e dotato di fondi e mezzi per un nuovo accordo urbanistico, per il masterplan e il business plan. Per questo è fondamentale darsi una data».
Che interesse possono avere i privati a sviluppare un progetto con il pubblico?
«In tutte le città in cui le università si proiettano nel mondo, il beneficio va anche alle aziende: gli esempi di Boston, Chicago e San Francisco lo dimostrano. Quando si sviluppa l’economia del sapere e dell’innovazione, migliorano tutte le attività, anche quelle artigiane e commerciali. Questo è il disegno di fondo che fa dell’ hub della conoscenza un terreno di interesse per le aziende. Poi ci sono i giovani».
In che senso?
«È importante che quell’area che rappresenterà il futuro di Expo sia piena di studenti, non solo di centri di ricerca. Solo così sarà un luogo vivo. È arrivato il momento, a 100 anni dalla scelta che venne fatta di costruire la Città degli studi nell’allora periferia, di trasferire l’università nell’area Expo. Le infrastrutture, dall’Alta velocità a Malpensa, non mancano».
E il contributo delle aziende per rendere “viva” quell’area quale potrà essere?
«Quello di trasformare la scienza in tecnologia. Oggi la Lombardia può contare sul 28% delle pubblicazioni scientifiche ad alto impatto e sul 30% dei brevetti italiani. Ma se la produzione scientifica per abitante è di poco inferiore a quella della Baviera, la produzione tecnologica, misurata in brevetti per abitante, è solo il 25%-30% di Baden-Württemberg e Baviera. Non riusciamo a sfruttare il fatto di avere ottimi ricercatori a costi competitivi per generare nuove imprese e rafforzare le esistenti».
E come pensa si possa imprimere una svolta?
«Con una Milano Steam: ovvero scienza, tecnologia, engineering , arte e manufacturing . Abbiamo stimato che una evoluzione della città lungo questo asse possa generare un maggior valore aggiunto fra i 17 e i 24 miliardi di euro».

FEDERICA CAVADINI
Il piano del governo sul dopo Expo prevede un polo di ricerca sulle «tecnologie umane» e affida la regia all’Iit di Genova. Cristina Messa, dal 2013 rettore dell’Università degli studi di Milano Bicocca è «basita» per questa scelta. «Se questo nuovo progetto non si integra con il sistema che in Lombardia già c’è, funziona ed è molto ben valutato, finirà per entrare in competizione su un piccolo territorio che è traino del Paese e potrebbe scardinarlo. Sarebbe una perdita per tutti»
Spiazzata per il piano sul dopo Expo con l’Istituto italiano di tecnologia di Genova alla guida?
«Intanto non si capisce che fine farà il progetto dell’università Statale di Milano. Comunque è un errore partire con due binari in concorrenza fra loro».
Spieghi.
«Va capito qual è il valore aggiunto di questo nuovo progetto del governo rispetto al sistema che già esiste in Lombardia ed è molto avanzato su quest’area della tecnologia per la migliore qualità della vita».
Quali atenei sono impegnati in questo campo?
«Sono coinvolte tutte le tredici università lombarde che già lavorano in rete ed è un network con istituti, enti di ricerca, irccs e industria. Sono gruppi misti pubblico privato che la regione Lombardia ha promosso in queste aree e stanno funzionando molto bene, sono infrastrutture virtuali già efficaci».
Non era necessario allora un nuovo progetto sull’area Expo?
«Si poteva anche restare con una rete virtuale e finanziare l’esistente ma è vero che avere un centro, fisico, è più facile perché diventa polo di attrazione».
E’ la scelta sull’Iit che non la convince?
«L’istituto guidato da Cingolani è molto buono ed è creato dal governo, quindi ha corsia preferenziale. Sono capaci e hanno una struttura snella: loro sono più agili rispetto a università ed enti di ricerca».
Ma.. .
«Sono molto forti per alcune aree, per esempio sulla robotica, ma non per tutte quelle elencate nel nuovo progetto».
Che prevede una collaborazione con altri due centri, l’Institute for International Interchange di Torino e la Edmund Mach Foundation di Trento.
«Mai sentito, quello di Torino. Il Mach è un piccolo istituto, di qualità, ma non ha massa critica».
Mentre lei parla di un «sistema» già esistente sul territorio di alto livello. Può fare esempi?
«Abbiamo il Centro europeo di nanomedicina che unisce più istituti di ricerca di base e ricerca applicativa. C’è l’Istituto nazionale di genetica molecolare. E c’è l’istituto di neuroscienze del Cnr che è uno dei più forti del Paese. Per le tecnologie abilitanti, che migliorano la qualità della vita, penso per esempio al controllo dell’anziano a domicilio, abbiamo un cluster regionale con i nostri atenei, in particolare con il Politecnico di Lecco, e con le industrie ict. Per le analisi socio economiche a Milano c’è la Bocconi, per i modelli matematici gli atenei di Milano e di Pavia. E sono soltanto alcuni esempi. Sull’alimentazione c’è il parco tecnologico padano e c’è la Statale con i suoi corsi. Mentre l’Iit su quest’area non è presente».
Non è questione di risultati o reputazione allora.
«Non direi proprio. Penso ai brillanti risultati ottenuti nell’assegnazione dei fondi europei per la ricerca. La Lombardia, rispetto ai fondi versati dal nostro Paese ha avuto un ritorno superiore al 12%, mentre la media nazionale è dell’8%. Sicuramente c’è un problema di governance, di regia delle tante attività che facciamo. E gli istituti più grossi sono meno agili, più difficili da smuovere».
Quali rischi vede in questa nuova scelta?
«Se il progetto non si lega al nostro sistema già presente e appunto ben valutato aumenta la competizione sullo stesso territorio che è il traino dell’Italia e potrebbe scardinarlo, con perdita per tutti».
Conseguenze?
«I fondi sono sempre quelli e sono sempre più esigui. Vorrei sottolineare che non è difesa dei confini perché quando arriva un ente di buona qualità è comunque uno stimolo a fare meglio. Ma deve esserci un’interazione forte con il territorio e vanno considerate le risorse già presenti. Oggi la ricerca si spinge con quella che chiamiamo copetition , collaborazione e competizione».
Prima non ha citato il suo ateneo. Alla Bicocca vi occupate di più aree di studio fra quelle citate nel progetto “Human Technopole Italy 2040”.
«Guardi dico soltanto che il 3 dicembre in occasione della cerimonia dell’anno accademico inauguriamo a Monza un polo dell’università, 10mila metri quadrati, dedicati alla ricerca biomedica sulla nanomedicina. Inviterò Cingolani e anche Renzi, forse la nostra realtà non la conoscevano».


CORRIERE DELLA SERA 10/11/2015
FEDERICA CAVADINI
Un piano «calato dall’alto» quello del governo Renzi per il dopo Expo, che ha sorpreso a Milano per quel ruolo da protagonista assegnato fuori casa all’Istituto italiano di tecnologia di Genova con l’appoggio di altri due centri, uno a Torino, l’altro a Trento. Il governatore Maroni ieri quel piano (anticipato dal Corriere ) «in cui non siamo stati coinvolti» ha chiesto di cambiarlo. «La regia complessiva all’Università Statale», è la richiesta del presidente della Regione, «e coinvolgimento degli enti di eccellenza della Lombardia».
Più cauti i toni del rettore della Statale, Gianluca Vago, che aveva presentato la sua proposta per lo sviluppo di una parte dell’area (trasferimento delle facoltà di Città Studi con i suoi 15 mila studenti per creare a Rho una cittadella della conoscenza e dell’innovazione con le aziende di Assolombarda): «Non sono stato coinvolto in questo progetto», dice subito. «Ma non ne farei una questione di guide. Il punto non è che sia Milano, Genova o Torino. Il piano deve essere largo e condiviso, altrimenti non lascerà il segno e allora noi possiamo anche rinunciare, non ci muoviamo, niente trasloco».
Queste le posizioni ieri, alla vigilia della presentazione del progetto. Oggi pomeriggio il premier consegnerà a Milano al Piccolo Teatro il suo piano per «Human Technopole Italy 2040», un polo che occuperebbe 70 mila metri quadrati sugli oltre 500 mila disponibili a Rho, una struttura di laboratori e gruppi di ricerca per lo studio della qualità della vita. A guidare l’Iit di Genova, con Isi (Institute for Scientific Interchange) di Torino e con Edmund Mach Foundation di Trento.
Il convegno che si è tenuto ieri alla Statale per i cento anni di Città Studi (che ospita campus del Politecnico e facoltà scientifiche della Statale), diventa una mattinata di confronto sul progetto per l’area Expo. Interviene anche il rettore del Politecnico, Giovanni Azzone: «Discutere fra Milano e Genova in un mondo globalizzato è ridicolo. Qui abbiamo gli ingredienti per fare bene e siamo pronti ad accogliere altre realtà, se hanno una qualità migliore della nostra».
Vago dice poco dopo che il centro di Torino indicato nel piano di Renzi lui non lo conosce, né lo conosceva Cristina Messa, rettore dell’Università di Milano Bicocca intervenuta due giorni fa per dire che «il nuovo progetto deve integrarsi con il sistema di Milano e Lombardia che è efficace, di alto livello, ben valutato».
Maroni va all’attacco. «Dico sì a Renzi soltanto se saranno coinvolte le eccellenze che ci sono sul territorio, come ha sottolineato il rettore Messa sul Corriere , altrimenti si rischia di scardinare il modello lombardo». E ricorda che «c’è un diritto di proprietà. E l’area è di Arexpo, società partecipata da Comune e Regione, e il governo non è ancora entrato». Sul punto, centrale, dei finanziamenti Maroni sostiene che «in Lombardia quando c’è un buon progetto le risorse ci sono e il dopo Expo può attrarre capitali privati».
Il rettore della Statale chiede di rendere concreto il progetto, «adesso che c’è condivisione su quella che è stata la nostra idea: la destinazione delle aree per sviluppo della ricerca scientifica, formazione, e trasferimento tecnologico». E parla del modello di Parigi Saclay, dove si sta costruendo un polo con otto università e dieci centri di ricerca. «Lo Stato lì ha finanziato 7 miliardi di euro, 4 in infrastrutture, 3 in ricerca e le imprese dovrebbero metterne dieci. Questo è il livello della competizione e dobbiamo tenerlo presente».
Intanto il presidente della Regione Lombardia ha chiesto ai due rettori, della Statale e del Politecnico, di verificare il progetto del governo.
Federica Cavadini

SIMONA RAVIZZA
MILANO «Milano non deve sentirsi offesa». Napoletano di nascita, una carriera da esperto di malattie cardiovascolari costruita negli Stati Uniti tra Filadelfia, Boston e San Diego, oggi Gianluigi Condorelli è tra gli scienziati di punta dell’Humanitas, polo di ricerca e cura d’eccellenza alle porte della città. È tra i cervelli di Milano, eppure il medico difende la scelta del premier Matteo Renzi che ha irritato le istituzioni accademiche. La decisione ha sollevato mugugni perché lo Human Technopole. Italy 2040 , il polo di ricerca sulle tecnologie umane che il governo vuole realizzare sulle aree di Expo, vedrà la guida dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, con altri centri non lombardi (l’Institute for scientific interchange di Torino e l’Edmund Mach Foundation di Trento).
Il mondo scientifico milanese ritiene di avere già in casa le competenze per realizzare il progetto.
«Ma l’Istituto italiano di tecnologia non è di Genova né di Milano. È dell’Italia. Nella ricerca non bisogna fare campanilismi: per capitalizzare al meglio, l’intelletto non deve avere aree geografiche».
C’è chi pensa, però, che il ruolo della Statale di Milano, e non solo, possa diventare marginale, con il rischio di scardinare il modello lombardo.
«Sono timori che non condivido. Io penso che Milano debba sentirsi onorata della scelta del governo».
Ma è come se qualcuno viene a casa tua a organizzare una festa senza coinvolgerti.
«Milano deve essere fiera di essere stata scelta perché è la dimostrazione che è la migliore piazza italiana dove fare ricerca oggi. C’è l’humus più adatto per coltivare progetti ambiziosi. È il motivo per cui il governo ha deciso di realizzare qui, e non altrove, lo Human Technopole ».
Ma le università e i centri di ricerca saranno in grado di ritagliarsi un ruolo degno di rilievo?
«Io sono pronto a scommettere che i poli scientifici milanesi saranno capaci di giocare un ruolo da protagonista. Come si integreranno le competenze è ancora tutto da vedere. Criticare a priori è sbagliato».
Il progetto del governo è insomma un’occasione per Milano.
«Un’occasione da non perdere e che può essere realizzata solo qui per l’alta presenza di ospedali d’alto livello, istituti di ricerca e cura a carattere scientifico e industrie biotecnologiche e per la diagnostica. Integrare competenze è la chiave di tutto. Poi la ricerca cammina da sola, con una ricaduta di effetti positivi per tutti».
Le condizioni perché il progetto riesca?
«Vanno coinvolti i giovani ricercatori. Ci dev’essere un’anima universitaria. E ci dev’essere un’integrazione pubblico-privato, capaci di lavorare fianco a fianco per migliorare la qualità della vita della popolazione».
Una scommessa nella scommessa.
«Il compito indicato per lo Human Technopole è proprio quello di diventare un centro di eccellenza mondiale per il miglioramento della vita in tutti i suoi aspetti. E per Milano non ci poteva essere una sfida più interessante per misurarsi su una delle questioni centrali a livello di ricerca internazionale».

QUEL CHE PENSA TREMONTI
«Il cerchio si chiude», osserva Giulio Tremonti a proposito del piano del presidente del Consiglio per il dopo Expo di Milano. La proposta di realizzare lo Human Technopole, un centro di eccellenza mondiale per allungare la speranza di vita e la qualità della stessa, configura un «programma straordinario», secondo l’ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi (ora senatore Gal). Ma quel «cerchio» si aprì agli inizi degli anni Duemila e Tremonti apprezza il fatto che Matteo Renzi riconosca il ruolo che ebbe Letizia Moratti, sindaco
di Milano dal 2006 al 2011, nella messa a punto dell’esposizione universale. Un lavoro, ricorda l’ex ministro, al quale lui stesso contribuì con due iniziative che si rivelano oggi decisive per il piano del premier: la creazione dell’Iit e l’idea di estendere il tema dell’Expo dall’alimentazione alla condizione umana. «In realtà — dice Tremonti — non feci altro che riprendere ed estendere la massima del filosofo Ludwig Feuerbach, secondo il quale “l’uomo è ciò che mangia” e dunque la salute, l’abitazione, più in generale la condizione umana. Avviammo anche contatti con la Nasa per portare avanti il progetto, ma poi con la caduta della Moratti si fermò tutto. Oggi mi fa piacere vedere che quell’impostazione sia stata raccolta». Quanto all’Istitu-to italiano di tecnologia, «fu previsto dalla legge Finanziaria per il 2004, che prevedeva anche la creazione dell’Accademia d’Italia. L’Iit era pensato sul modello del Mit di Boston mentre l’Accademia sul modello di quella francese. Il primo, pur tra mille difficoltà, riuscì a decollare e oggi l’Human Technopole è di fatto una estensione dell’Iit. La seconda invece fu cancellata nel passaggio della legge in Senato. A presiederla sarebbe stato Umberto Veronesi. Avevamo individuato anche la sede: Palazzo Venezia, di proprietà del Demanio». Anche quella era una buona idea, secondo Tremonti. Che conclude: «Perché non riprenderla?».