Gianluca Moresco, Affari&Finanza – la Repubblica 9/11/2015, 9 novembre 2015
BOOM DEI GIOCHI, UN AFFARE DA 18 MILIARDI I CONTI PUBBLICI CHIEDONO AIUTO AL FISCO
Roma
“Il safari dei giochi”. È la frase con la quale gli operatori di gioco, la cosiddetta “filiera del gaming italiano” (dai gestori fino all’ultimo dei cassieri) accompagnano la lettura di ogni singola notizia che rimbalza in questi giorni sui possibili cambi di tassazione di uno dei comparti più discussi dell’industria italiana. “Il safari” è la caccia costante a quella variazione in percentuale che può consentire al governo di ricavare decine di milioni di euro per tenere in equilibrio la legge di stabilità. A cominciare dal possibile innalzamento del Preu (Prelievo Erariale Unico) sulle Videolotteries, le luccicanti macchinette distribuite tra casinò e sale dedicate, poco più di 50mila apparecchi, la cui tassazione potrebbe passare dal 5% al 5,5% sul giocato (mentre per le slot l’aumento previsto è del 2%). Si vive in continuo equilibrio sul filo che passa tra l’esigenza di fare cassa del governo e i conti che rischiano di non tornare più all’intero settore. In mezzo un’industria abituata alla tempesta, tra polemiche sull’eccessiva offerta, regole che cambiano ogni giorno a seconda del comune e del sindaco chiamato a firmare delibere sulla distribuzione di un pugno di agenzie, e malavita pronta ad approfittare di ogni errore nella mancata riorganizzazione dell’industria italiana del gaming. «Uno dei fronti più caldi, per quanto riguarda il settore del gioco, è certamente quello per il riallineamento del rapporto con gli enti locali – sottolinea Fabio Felici direttore dell’agenzia specializzata Agimeg – Ogni comune ha di fatto un regolamento diverso: ora serve una regolamentazione unica». Parliamo di un settore che nel 2014 ha visto gli italiani puntare 18 miliardi di euro (al netto delle vincite restituite) e che a fine 2015 potrebbe vedere un incremento del 2%. Una gigantesca torta di cui tutti, al momento di dare peso alla legge di stabilità, vogliono prendere un pezzo. Numeri impressionanti di un settore che forse ha già toccato l’apice della propria crescita, ma che potrebbe modificarsi ancora nelle abitudini degli italiani sempre più abili a destreggiarsi tra giocate nei “punti fisici” (agenzie su strada, sale giochi, casinò, bingo, bar e tabaccai) e il flusso dei dati delle puntate online. Nei primi sei mesi del 2015, la spesa effettiva dei giocatori ha registrato una crescita marginale, appena lo 0,3% (oltre 8,1 miliardi) nonostante le giocate siano aumentate di quasi il 3%. Anche in questo caso si registra una fortissima crescita (+467%) per il betting exchange, un gioco appena nato (il via nell’aprile 2014) ma che fa presagire un boom, visto che attraverso piattaforme gaming sul web, il giocatore può anche trasformarsi in allibratore. In saldo positivo si avvia anche il gioco sui sogni del Lotto (oltre 1,1 miliardi, +13,3%). Tra gli altri, crescono tutti quei segmenti che possono contare sui payout più elevati, come le vlt (oltre 1,2 miliardi, +4% circa) e giochi online (236 milioni, +8%). Le scommesse sportive, invece, nonostante il successo della raccolta (+31,8%) registrano una contrazione della spesa di quasi il 10% (377 mln). Il gettito erariale nei primi sei mesi dell’anno è cresciuto così del 2% circa e ha superato i 4 miliardi di euro. Il miglior contribuente si confermano le newslot (oltre 1,6 miliardi), seguite da Gratta e Vinci (circa 650 milioni) e Lotto (620 milioni). Da notare che all’Erario va circa il 50% della spesa effettiva per il gioco. Prudenza e qualche critica arriva per il momento da Confindustria, a cominciare dal suo presidente Giorgio Squinzi: «Il ddl sulla legge di Stabilità prevede una serie di tagli – ha sottolineato – ma non contiene un piano complessivo di efficientamento e riqualificazione della spesa. Ci si obbliga così a reperire risorse nei soliti capitoli di spesa come quello dei giochi, che invece necessita di una riforma organica». Parole a cui ha fatto immediatamente eco Massimo Passamonti, presidente di Sistema Gioco Italia, la Federazione che rappresenta la filiera del gioco e dell’intrattenimento aderente alla stessa Confindustria: «Questo settore è visto ancora una volta come un bancomat da cui reperire risorse e non un ambito da ristrutturare, a beneficio non solo delle 6.000 imprese e dei 120.000 occupati del settore, ma a salvaguardia dello stesso gettito erariale». Sul tavolo delle riforme, anche l’ipotesi di un innalzamento del numero di casinò sul territorio italiano. Da anni sono alla finestra Anzio, Taormina e San Pellegrino Terme, ma la posizione delle quattro sale da gioco poste ai confini a nord della penisola (Sanremo, Venezia, Saint Vincent e Campione) sembra destinata a rimanere senza concorrenti interni, a meno di un improvviso riordino del settore su base regionale. «Nel 2015 – spiega Carlo Pagan, presidente di Federgioco, la federazione sotto la cui sigla sono riunite le nostre quattro sale da gioco – i casinò italiani incasseranno 294 milioni di euro, registrando 2,2 milioni di ingressi. La realtà è che in un momento tanto delicato per il settore, il “Modello Casinò” si sta imponendo come il migliore sotto il profilo del rispetto della legalità e della gestione del Gioco d’azzardo patologico». Poco meno del 3% dell’intero mercato europeo che a fine 2014 aveva superato i 7,9 miliardi di euro di fatturato dando lavoro a 71.700 persone. Il 2016 si annuncia già come l’anno della possibile riorganizzazione dell’intero settore con il lancio del restyling del SuperEnalotto, il nuovo bando per la gestione del Lotto, la gara per 15.000 concessioni per le scommesse “fisiche” e 210 concessioni per il gioco online. La posta in gioco resta altissima. Nella spesa per i giochi è la Lombardia che guida la classifica in netto vantaggio su Lazio e Campania che occupano le piazze d’onore. Ultima la Val d’Aosta.
Gianluca Moresco, Affari&Finanza – la Repubblica 9/11/2015