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 2015  novembre 09 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Geminello Alvi, Eccentrici, Milano, Adelphi, 2015, pp. 184, euro 13,00.Vedi Libro in gocce in scheda: 2336861Vedi Biblioteca in scheda: 2335437Cary Grant (vero nome: Archibald Alexander Leach), nato a Bristol da un sartino a giornata e da una casalinga di nome Elsie

Notizie tratte da: Geminello Alvi, Eccentrici, Milano, Adelphi, 2015, pp. 184, euro 13,00.

Vedi Libro in gocce in scheda: 2336861
Vedi Biblioteca in scheda: 2335437

Cary Grant (vero nome: Archibald Alexander Leach), nato a Bristol da un sartino a giornata e da una casalinga di nome Elsie. A 9 anni rientrò a casa da scuola e gli dissero che sua madre era morta per un infarto e subito cremata. Solo a 31 anni scoprì che in realtà era stata rinchiusa in un manicomio, pur non essendo pazza. La liberò e se ne prese cura.

Quando Cary Grant andò a fare un provino per la Paramount non lo presero perché gli dissero che aveva le gambe storte e il collo troppo largo.

«Recitavo d’essere qualcuno che volevo diventare, finché divenni quella persona. O lei divenne me» (Cary Grant).

Cary Grant parlando di se stesso come Archibald Leach: «Egli era molto immaturo al mio confronto. Ma mi era simpatico».

Goyathlay, capo degli apache Chiricaua, noto col nome di Geronimo. Fu invitato a partecipare alla Esposizione Universale di Saint Louis. Sorvegliato a vista perché non scappasse, dovette qualche volta esibirsi nel lancio del lazo. Vendeva le sue foto e gli autografi a 25 centesimi l’uno, accumulando fino a due dollari al giorno.

Ned Buntline, 25 anni, a una pesca di beneficenza di Nashville incontrò la signora Porterfield, sposata. Iniziò una relazione con lei. Neanche le minacce del marito di lei lo convinsero a lasciarla. FInché uno giorno lo sposo tradito gli sparò, mancandolo. Buntline rispose al fuoco, centrandolo sopra l’occhio. Provocò l’ira della folla, che lo impiccò in piazza. Ancora in vita, alcuni amici suoi lo tirarono giù dalla forca. Ma da allora il collo gli rimase storto.

Howard Phillips Lovecraft in miseria non spese mai più di tre dollari a settimana per mangiare. Si nutriva soprattutto di spaghetti al pomodoro, patate fritte e gelato alla vaniglia.

Pellegrino Artusi, unico maschio tra sette sorelle. La mamma gli diede quel nome per ricordare uno zio canonico, morto in un dirupo dov’era caduto per la sua miopia.

La balia di Pellegrino Artusi, per farlo crescere pieno di virtù, gli faceva ingoiare cuori appena cavati dal petto delle rondini.

Una sera nella casa della famiglia Artusi a Forlimpopoli fece irruzione la banda di Stefano Pelloni, detto il Passatore. Diedero loro tutti i beni di famiglia, ma non bastò a rabbonirli: si diressero alle camere delle sorelle di Pellegrino Artusi con l’intenzione di «dare sfogo alla loro libidine». Una delle sorelle provò a lottare e si prese una coltellata in testa. Un’altra, «dopo essere già stata manomessa e contaminata», fuggì per i tetti. Finì in manicomio.

Quando uscì negli Stati Uniti, il film La vita è meravigliosa fu solo ventiseiesimo nelle classifiche. Sarebbe probabilmente finito nell’oblio ma nel 1974, per errore, non ne fu rinnovato il copyright. Le televisioni presero a trasmetterlo, tradizionalmente a Natale.

Mompracem, isolotto al largo del Borneo, presente nelle carte geografiche più antiche. Anche coi nomi Monpiaceni, Monpiacen, Mon Pracem.

A proposito di Emio Salgari, risulta solo che a 18 anni fu promosso al secondo corso si capitano di gran cabotaggio, che però non prequentò, per imbarcarsi come mozzo sulla Italia Una, lungo la Dalmazia, per tre mesi. Sfidò a duello un certo Biasioli, giornalista, il quale aveva osato dubitare che fosse davvero «capitano di mare».

Dalla moglie, l’attrice Ida Peruzzi, Salgari ebbe quattro figli: Fatima, Romero, Omar e Nadir.

La moglie malata di nervi, oppresso dai debiti, nell’aprile 1911 Salgari scrisse ai figli: «Sono ormai un vinto, la pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore... fatemi seppellire per carità essendo completamente rovinato. Mantenetevi buoni e onesti... vado a morire». Agli editori: «A voi che vi siete arricchiti colla mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria o anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dati pensiate ai miei funerali». Ai direttori dei giornali: «Vinto dai dispiaceri... mi sopprimo». Andò in un boschetto dov’era solito fare pic nic con la famiglia, si sdraiò, tirò fuori un rasoio dalla tasca e ci si aprì la pancia.

Il pugile Gene Tunney per poco non finì ucciso in un incontro con Harry Greb, nel 1922. Fu portato via svenuto dal ring. Abe Attel, ex campione dei pesi piuma, gli disse: «Ho perso 2.500 dollari scommettendo su di te ma non me ne importa niente. Sei il pugile più coraggioso che io abbia mai visto». Dei 68 incontri della sua carriera, quella fu l’unica sconfitta.

Il ciclista Giovanni Gerbi, primo al Giro di Lombardia del 1907. Al casello di Busseto s’era accordato con il casellante perché chiudesse il passaggio a livello dietro di lui. Il suo gregario Chiodi, per rallentare i francesi Garrigou e Petit Breton, cadde loro addosso (lo confessò lo stesso Chiodi, scontento per i pochi soldi con cui Gerbi lo aveva pagato). Infine nei pressi di Monza fu trovata una benda di cuoio in cui Gerbi aveva infisso punte per forare le gomme degli avversari. Fu squalificato.

Georg Trakl, nato a Salisburgo nel 1887 da Tobias, agiato mercante, e una donna boema, collezionista di porcellane. Quarto di sei figli, da liceale frequentatore di bordelli. Una sera, nel buio del teatro, la sorella più piccola, Grete, lo baciò per la prima volta. Anni dopo in guerra provò ad ammazzarsi, ma gli strapparono l’arma di mano e lo ricoverarono. Morì a quasi 27 anni per una paralisi cardiaca dovuta a una dose eccessiva di cocaina.

Erich Von Stroheim, arrivato a New York sul Prinz Friedrich Wilhelm come Enrich Oswald, secondogenito di Benno Stroheim, modesto cappellaio ebreo. Già nella fila d’attesa dell’ufficio immigrazione era divenuto Hans Karl Maria von Stroheim, figlio di una baronessa prussiana e di un conte austriaco. Primo lavoro: incartare pacchi in un grande magazzino. Poi rappresentante in una taverna, dove incontrò la sua prima moglie, che lo incoraggiò a scrivere. Divorziato, si mise a fare la guida nelle montagne dove le ricche andavano a villeggiare. Ne conquistò una, che gli diede i soldi per arrivare a Hollywood.

Jean Renoir su Stroheim: «Mi pare utile insistere sulla sua ingenuità. Il personaggio ideale che si sforzava di imitare avrebbe potuto essere il frutto dell’immaginazione di un ragazzino di dodici anni. Avrebbe voluto somigliare al marchese de Sade. Sognava lussi sfrenati, donne perverse, flagellazioni, eccessi sessuali, baccanali e grandi bevute».

Stroheim sapeva a malapena parlare il tedesco ed era costretto a imparare le parti «come uno scolaro impara a scuola i testi in lingua straniera. Eppure agli occhi di tutto il mondo resta il prototipo perfetto del militare tedesco» (Renoir).

Therese Neumann di Konnersreuth, in Baviera, viso codiale e roseo, aspetto florido, visse dal 1926 al 1962 apparentemente senza mangiare altro che un’ostia al dì. Dopo la morte, giunta per un infarto, nessun odore cadaverico si sprigionò dal suo corpo, sebbene fosse di fine estate e a migliaia sfilassero davanti alla sua bara aperta.

Hans Christian Andersen soffriva di agorafobia, nonostante il mal di denti evitava gli odontoiatri, temeva di essere avvelenato con il caffè.

Quando Hans Christian Andersen spedì copia di un suo libro a re Giorgio di Grecia, si tormentò per giorni dubitando di averne sbagliato il nome nella dedica.

Hans Christian Andersen comprava tutti gli anni un biglietto della lotteria e puntualmente annotava sul diario: «Non ho vinto, mi sento triste, la mia stella mi ha abbandonato».

Hans Christian Andersen evitò sempre di accoppiarsi: «Sono brutto e resterò povero. Dunque nessuno mi sposerà». Una volta insieme a degli amici andò in una casa di tolleranza parigina, dove s’intrattenne con una prostituta turca di nome Fernanda soltanto parlando di Costantinopoli.

Quando Andersen morì, gli trovarono addosso, appesa al collo, una busta di pelle con la lettera d’amore ricevuta a 25 anni da una ragazza di nome Riborg Voigt (poi andata in sposa a un farmacista).

Joseph Frank Keaton già da bambino lavorava in una compagnia di "Medicine Show", dove gli spettatori entravano senza pagare biglietto e durante il quale si vendevano intrugli miracolosi. Suo padre, alcolizzato, era comico, pugile da strada, ballerino. Presto il ragazzino diventò bravo acrobata, ma a soli 21 anni lasciò lo spettacolo perché suo padre, sempre ubriaco, pugilando sulla scena per finta spesso lo mandava al tappeto davvero.

Una volta, vedendolo rotolare dalle scale, il mago Houdini gli diede il soprannome Buster, che significa capriola, ma anche disastro.

Oliver Hardy bambino amava cantare. La madre lo iscrisse a una scuola di canto di Atlanta, ma quello non la frequentava preferendo andare a esibirsi nei teatrini per cinquanta centesimi a sera, che poi utilizzava per pagarsi le scommesse sui cavalli.

Oliver Hardy, agilissimo nelle danze, molto bravo a golf, prodigo con gli amici in difficoltà e con chiunque gli andasse a genio al primo sguardo, sposato con l’attrice Myrtle, etilista, sua amica d’infanzia.

Nel 1956, per curare il cuore malato, il medico prescrisse a Oliver Hardy una dieta: calò da 110 chili a 60. Morì d’infarto, per eccessivo dimagrimento, a 65 anni, il 7 agosto 1957.

Quando Greta Garbo recitò in Ninotchka aveva 33 anni e a Lubitsch parve la più inibita attrice che avesse mai diretto. Soprattutto era imbarazzata dall’apparire ubriaca in una scena del film.

A 16 anni John Ronald Reuel Tolkien era orfano, alloggiato presso una famiglia dove era accolta una diciannovenne, anch’essa orfana, di nome Edith Bratt. S’innamorarono e quando tutti se ne accorsero li separarono. Mandato a Oxford, ci mise tre anni per comporre una lettera d’amore per lei. Quando finalmente ci riuscì, quella rispose che era fidanzata con un altro e stava per sposarsi. Tolkien partì in treno per raggiungerla: la trovò alla stazione, che lo attendeva, senza più fidanzato. Si sposarono prima che lui andasse in guerra, nel 1916. Tolkien morì a 81 anni, due anni dopo sua moglie.