Stefano Lorenzetto, L’Arena 8/11/2015, 8 novembre 2015
Leggo sull’Arena di tredicenni che andavano a comprare hashish e cocaina sui bastioni di Porta Palio e mi chiedo: ma Serpelloni dov’è? Leggo sull’Arena di un ricercatore di sociologia generale dell’Università di Verona il quale dichiara che la cannabis «crea solidarietà» e mi chiedo: ma Serpelloni dov’è? Già, dove diavolo è finito il medico Giovanni Serpelloni, docente al master di psichiatria, psicopatologia forense e criminologia dell’Università di Firenze, super esperto in droghe e affini? E perché tace? Non si può certo affermare che il personaggio sia un simpaticone
Leggo sull’Arena di tredicenni che andavano a comprare hashish e cocaina sui bastioni di Porta Palio e mi chiedo: ma Serpelloni dov’è? Leggo sull’Arena di un ricercatore di sociologia generale dell’Università di Verona il quale dichiara che la cannabis «crea solidarietà» e mi chiedo: ma Serpelloni dov’è? Già, dove diavolo è finito il medico Giovanni Serpelloni, docente al master di psichiatria, psicopatologia forense e criminologia dell’Università di Firenze, super esperto in droghe e affini? E perché tace? Non si può certo affermare che il personaggio sia un simpaticone. Anzi, per dirla tutta, ha un carattere che vira sul marron. Appare sempre talmente accigliato da incutere soggezione. Del resto Sandro Pertini, copiando da Churchill, diceva che tutti gli uomini di carattere hanno un pessimo carattere. E di carattere Serpelloni ne ha da vendere. Me ne resi conto quando lo intervistai nella sua veste di capo del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri: gli spacciatori erano giunti a minacciare i suoi figli, ma lui appariva imperturbabile. Il luminare, originario di Villafranca, ha lavorato per Palazzo Chigi fin dal 2008, apprezzato da ministri sia di sinistra che di destra: una nomina con Paolo Ferrero, una con Livia Turco, un rapporto fiduciario con l’allora sottosegretario Carlo Giovanardi, che da ex carabiniere sa pesare le persone all’istante. Si è visto rinnovare la fiducia dai governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi (per un anno). Ha accumulato 150 incarichi, quasi tutti per punteggio. È stato rappresentante italiano nella commissione stupefacenti dell’Onu, coordinatore nazionale antidroga al Consiglio dell’Unione europea, componente della commissione Aids del ministero della Salute, consulente in neuroscienze delle dipendenze presso l’Nih (National institutes of health, il dicastero della Sanità statunitense). Un fenomeno. Tornato nella sua Verona dopo la lunga parentesi romana, sembra che Serpelloni sia tutto d’un tratto rimbecillito. Come la stragrande maggioranza dei cittadini, da mesi cerco invano di capire perché l’Ulss 20 lo abbia dapprima sospeso dal servizio e poi addirittura licenziato, insieme con i suoi collaboratori Maurizio Gomma e Oliviero Bosco, che con lui lavoravano da una vita al Sert, o Serd, insomma al dipartimento delle dipendenze, una loro creatura. Spazzati via dalla sera alla mattina. Sputtanati (non trovo un sinonimo adeguato) agli occhi dell’opinione pubblica. Sottoposti a un plateale demansionamento. Umiliati con catene e lucchetti posti all’ingresso della sede di via Germania per impedirgli di entrare, e questo nonostante la magistratura abbia ordinato con ben tre sentenze, tutte sfavorevoli all’Ulss, il reintegro dei medici nelle posizioni occupate in precedenza. Ogni guerra ha sempre cause prossime e cause remote. In questa, che non sarà mondiale ma sta squassando la città e provocando danni irreparabili ai tossicodipendenti, alle loro famiglie e alle casse pubbliche, nessuno è ancora riuscito a capire, trascorso quasi un anno dall’inizio delle ostilità, le cause remote. Tiro a indovinarne una: cessati gli incarichi governativi, Serpelloni voleva concorrere per il posto di direttore generale in un’azienda ospedaliera del Veneto e, forte del suo invidiabile curriculum includente due master in general management conseguiti alla Bocconi, poteva sbaragliare qualsiasi altro concorrente. Chiaro il concetto? Spero di aver ben compreso almeno le cause prossime del conflitto. Tutto nascerebbe dal software Mfp che serve a gestire i trattamenti per i tossicomani, ideato da Serpelloni e da altri cinque dipendenti dell’Ulss in quasi vent’anni di lavoro, sovente svolto a loro spese e fuori dall’orario d’ufficio. Il programma era stato affidato dai medici-inventori a un’azienda di Vigasio affinché lo sviluppasse e poi concesso gratuitamente ai loro colleghi di circa 200 unità operative dislocate in Italia. Il software appartiene all’Ulss 20. Tuttavia gli autori dell’opera d’ingegno conservano per legge i diritti intellettuali di paternità sulla medesima, motivo per cui costoro hanno spedito una letterina alla ditta di Vigasio (che nel frattempo s’era messa a vendere l’Mfp per conto suo e a fornire manutenzione a pagamento), ingiungendole di versare 100.000 euro alla predetta Ulss, a titolo di saldo forfettario e risarcitorio per lo sfruttamento del loro software. Fin qui tutto lineare: non un quattrino è mai arrivato nelle tasche del professor Serpelloni o dei suoi colleghi. Anzi, la sanità veronese avrebbe potuto lucrare 100.000 euro grazie alla loro intraprendenza. Non si capisce pertanto perché la direttrice generale dell’Ulss, Maria Giuseppina Bonavina, si sia presentata nella sede del Sert accompagnata da un fabbro, che ha lavorato quattro ore con il flessibile su una cassaforte fino a sventrarla da cima a fondo: bastava che chiedesse le chiavi, custodite da 15 anni in una scrivania posta a tre metri dal forziere, e gliele avrebbero consegnate subito. Né si comprende perché l’alta dirigente abbia indossato dei guanti di lattice, come in Csi - Crime scene investigation, per estrarre dall’armadio blindato il nulla che vi era contenuto. Qualcuno interessato a gettare ulteriore discredito su Serpelloni ha lasciato filtrare suggestive illazioni, prontamente raccolte dalla stampa nazionale, circa un presunto spreco di fondi per attività musicali svolte dal Sert a favore dei giovani, finalizzate a tenerli lontani dalla droga. Si è favoleggiato di «una vera e propria sala d’incisione», mai esistita in via Germania. È vero invece che i ragazzi imparavano a suonare su un vecchio pianoforte, un residuato dell’ex ospedale psichiatrico di Marzana. Dev’essere lo stesso strumento che accompagnava l’estroso paziente sempre pronto a esibirsi nel cortile del manicomio, davanti alla casa di mia nonna. La domenica mattina il poveretto saliva su una panchina e, impugnato un immaginario microfono, urlava agli altri matti: «Ed ecco a voi Mirandaaa Martinooo!», dopodiché attaccava a cantare Arrivederci. Fossi nei panni del disinformato delatore, starei tuttavia ben attento a maneggiare la materia artistica. Trattasi infatti di terreno assai scivoloso. Esemplifico: siamo già al quinto film girato«in collaborazione » o con «la partnership delle Aziende Ulss e Ospedaliere, con capofila l’Ulss 20 di Verona» (ah, l’eleganza degli uffici stampa!), nonché della Regione Veneto. Traduco: a spese nostre. Nei giorni scorsi è stato presentato Infernet, interpretato da Ricky Tognazzi, Remo Girone e Katia Ricciarelli. Poi dicono che mancano i soldi per il pronto soccorso. Visto che siamo in argomento, mi pongo qualche domanda. L’Ulss 20 lo sa che in alcuni di questi film recitavano un assessore regionale e un sindaco? O è proprio a motivo di questi camei che s’è messa in competizione con la 20th Century Fox? Perché i suoi comunicati stampa si chiudono con l’invito a rivolgersi per informazioni e interviste al produttore delle pellicole, sempre lo stesso, del quale si specifica finanche il numero di cellulare? È forse costui un dipendente dell’Ulss? Altrimenti quali benemerenze o entrature vanterà per essere riuscito a ottenere per ben cinque volte, e a trattativa privata, la sponsorizzazione delle proprie opere cinematografiche? Le quali proprio capolavori non sembrerebbero, se l’ultima uscita, Un angelo all’inferno, che secondo l’Ulss doveva essere trasmessa «su una rete Rai entro l’estate 2013», fu invece messa in onda da Rai 2 a fine inverno, del 2014 però, precisamente il 5 marzo, e non certo in prima serata, bensì alle 23.45. (Dimenticavo, il successo fu tale che ebbe una replica su Rai 1 il 22 gennaio 2015, sempre in orario di punta: alle 2.35 di notte). Ricapitolando. Tre medici oggi retrocessi al ruolo di passacarte anziché essere impiegati nella lotta alla droga e nel salvataggio di vite umane. Nove fra cause giudiziarie e querele promosse finora dai licenziati (e altre in arrivo). Tre condanne a carico dell’Ulss 20, costretta a rifondere spese legali per circa 12.000 euro. Altri 20.000 euro pagati dall’Unità locale sociosanitaria per arruolare un avvocato esterno che segua i vari processi. L’ufficio legale della medesima Ulss alle prese con ben cinque esposti del Codacons, quattro al Tar e uno alla Procura. Duplicazioni di incarichi. Cambi di serrature. Casseforti distrutte. Sindacati in subbuglio. Reputazioni rovinate. Famiglie nel tritacarne. Cittadinanza frastornata. E alla fine un conto che dovrà essere saldato dai contribuenti. È normale tutto questo? Per un software? Anche nell’azienda più scalcinata, il dissidio sarebbe stato appianato con una riunione di mezz’ora. E allora che cosa c’è sotto? Ditecelo. Nel frattempo mi permetto di rivolgere un appello a Luca Zaia, governatore del Veneto, a Luca Coletto, assessore regionale alla Sanità, e al sindaco Flavio Tosi, che conosco come persone di buonsenso: convocate i contendenti Bonavina e Serpelloni e non fateli uscire dalla stanza finché non avranno trovato con voi una soluzione. Ma che sia equanime e seria. Perché di balordaggini, in tutta questa vicenda, ne abbiamo già viste fin troppe. Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Ultimi libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio). LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Quindici libri: Buoni e cattivi con Vittorio Feltri e L’Italia che vorrei (entrambi Marsilio) i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.