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 2015  novembre 06 Venerdì calendario

MUHTAR BILMUHTAR IL PADRINO DELLA MAFIA ISLAMISTA


Nella terra dei ciechi, un guercio è il re.
Antico proverbio italiano

1. Muhtar Bilmuhtar è nato il primo giugno 1972 a Ghardaia, capoluogo dell’omonima provincia situata al centro dell’Algeria. La città è il crocevia di diverse esperienze di cultura e di fede. Nell’XI secolo si stabilirono in città gli esponenti della confraternita degli ibaditi, eredi del terzo (e invero molto esiguo) braccio dell’islam, quello dei kharigiti (hawarig). Gli ibaditi costruirono i propri insediamenti nella vicina valle del M’Zab, che dal 1982 è riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Ghardaia e le sue bellezze furono elogiate da Simone de Beauvoir, che la definì «un quadro cubista costruito magnificamente». Le sue piccole abitazioni ispirarono anche Le Corbusier per la creazione dei suoi modelli abitativi.
Bilmuhtar è figlio di Muhammad, un piccolo commerciante arabo che si è barcamenato tra il baratro della povertà assoluta e uno stile di vita abbastanza dignitoso: un middle class hero in salsa africana. La madre, Zohra Chamka, è berbera proveniente da una tribù non particolarmente influente, ma è comunque figlia di gente esperta nella difficoltosa navigazione del deserto, con tutte le sue insidie tribali.
I Bilmuhtar decisero di chiamare il loro figlio Muhtar in onore di un vecchio zio, martire della guerra d’indipendenza algerina, nonché ultimo indipendentista decapitato dai francesi, proprio a Ghardaia, nel 1959 [1]. Negli anni Settanta l’esplosione del settore petrolifero modificò per sempre il panorama urbano dell’Algeria [2]. A causa di questi mutamenti, si assisterà all’inizio dell’agonia del panarabismo e, per conseguenza, dell’influenza sovietica in Medio Oriente. Le ruberie e la corruzione del regime spinsero le grandi masse dei diseredati nelle braccia dei predicatori islamisti, che offrivano conforto e promettevano il riscatto dei poveri, grazie anche ad alcune iniziative benefiche, più o meno disinteressate.
A differenza dei suoi fratelli, tutti diplomati, Muhtar preferisce le prediche in moschea alle lezioni scolastiche. L’occupazione sovietica dell’Afghanistan, nel 1979, rappresenta uno spartiacque per la sua generazione: le trombe del jihad suonano per i giovani musulmani in tutto il mondo (grazie ai soldi delle petromonarchie del Golfo e del blocco occidentale). I giovani come Bilmuhtar sono letteralmente bombardati da immagini e racconti dei prodi mujahidin e delle loro imprese. I guerriglieri divengono l’idolo dei giovani musulmani, come per i coetanei occidentali lo sono i campioni dello sport o i virtuosi della musica.
Anche Muhtar ha il suo beniamino: ‘Abd Allah ‘Azzam, il predicatore-guerriero palestinese, estensore di una fatwa che presentava il jihad come obbligo individuale, sicché era lecito per i giovani partire senza il permesso dei genitori (sembra che tale editto, più che da Dio, sia stato ispirato dal fatto che il padre di ‘Azzam lo avesse malmenato davanti a tutto il suo villaggio al rientro dal jihad contro Israele, cui si era unito senza avvisare i genitori [3]). Quando nel 1989 ‘Abd Allah ‘Azzam saltò in aria con figli e macchina a Peshawar, Muhtar decise di recarsi in Afghanistan (quasi un foreign fighter ante litteram) per combattere gli infedeli. Qualche anno più tardi dirà: «Giurai assieme a qualche amico di unirmi al jihad, non sognavo che una cosa: morire da martire. Avevo 19 anni». [4]
Come ha fatto Bilmuhtar a raggiungere l’Afghanistan? Nessuna certezza, ma molte ipotesi. La Cia (ansiosa di vedere Mosca impantanarsi a Kabul), i paesi del Golfo (che da anni inondavano il Pakistan di moschee, banche e petroldollari per tenere lontani da casa propria gli estremisti wahhabiti), il Sudan (che voleva consolidare la propria rivoluzione islamica compiacendo imam radicali importati), l’Algeria (impegnata in un doppio gioco al massacro con Mosca) erano tutti pronti a pagare il viaggio a chiunque volesse combattere all’estero.
Di certo c’è che nel 1991 Muhtar Bilmuhtar è in Afghanistan, dove combatte nel conflitto tra i signori della guerra locali. In un’intervista ricorderà così la sua esperienza afghana: «Seguii un addestramento in diverse tecniche militari. (...) Lì conobbi capi, eroi e maestri come Abu Qatada e al-Maqdisi» (quest’ultimo maestro di al-Zarqawi e ideologo di Ansar al-sari‘a). Fu durante la sua esperienza afghana che Muhtar perse un occhio mentre preparava una bomba. Da quel momento in poi per i suoi compagni d’armi diverrà «il Guercio» (Bi-l-a‘war).

2. Nel 1992 Bilmuhtar torna a casa, sfruttando i corridoi che il Marocco aveva aperto per i foreign fighters ansiosi di combattere nella guerra civile algerina (uno dei tanti tentativi della casa reale di Rabat di destabilizzare Algeri). Dal Marocco va in Tunisia, da qui fino all’Algeria occidentale e infine a Ghardaia. Nel giugno del 1993 la sua città natale era relativamente tranquilla rispetto al resto del paese: niente barricate e niente scontri, lo stesso Bilmuhtar è abbastanza restio a prendere le armi.
Tuttavia, pochi mesi dopo, il Guercio mette in piedi il suo gruppo di fuoco, la Brigata dei martiri (Katibat al-suhada’) il cui primo attacco, contro una pattuglia della polizia algerina, fa tredici morti. È proprio durante la guerra civile che Bilmuhtar mette in luce le sue capacità di stratega e di fine studioso di geopolitica. Infatti, mentre la gran parte degli emiri del Gruppo islamico armato (Gia) guarda verso la costa del Mediterraneo, cercando la gloria sul campo di battaglia, lui si volge al Sahara e ai suoi numerosi traffici.
Bilmuhtar è dapprima impegnato in attacchi limitati contro le forze di sicurezza algerine, per aumentare il suo fascino e reclutare più uomini. Il grosso dei suoi sforzi però si concentra nell’erigere posti di blocco lungo le rotte strategiche del contrabbando nel grande Sud sahariano. Per comprendere quanto rapidamente si fosse estesa l’influenza del Guercio, è utile riportare la dichiarazione di un ufficiale tuareg della gendarmeria maliana: «Già nel 1994 avevamo informazioni certe su come Bilmuhtar si rifornisse di armi in Ciad e in Guinea Conakry, senza parlare di Mali, Niger e Mauritania, dove era di casa. Alti graduati di tutti gli eserciti gli vendevano armi. (...) Nessuno ha mai voluto porre fine a questa cosa, probabilmente il Guercio paga bene i capi dell’esercito» [5].
Insieme al traffico di armi l’emiro del Gia non disdegna gli assalti alle compagnie d’idrocarburi, alle quali estorce mezzi e carburante che rivende ovunque a prezzi maggiorati. In questi anni il Guercio comincia ad essere noto con un altro nome, Mr. Marlboro, a causa del suo coinvolgimento nel contrabbando di sigarette. Si dice che traffichi anche in droga, accusa respinta da Bilmuhtar e anche da alcuni analisti [6]. Nel 1995 l’influenza del Guercio è tale da spingere i capi del Gia a metterlo alla guida dell’Emirato autonomo del Sud.
Nel frattempo, la guerra civile nel Nord algerino comincia ad essere domata dal Fronte di liberazione nazionale. In questo periodo, alcuni delusi della rivoluzione decidono di abbandonare il Gia per fondare una nuova organizzazione. Per farlo serve uno sponsor: lo troveranno in Osama bin Laden, che all’epoca viveva in Sudan. Chi conduce la delicata trattativa? Il Guercio, che sfrutterà tutte le sue conoscenze per convincere lo sceicco saudita, in realtà piuttosto scettico sulle prospettive del jihad algerino, ad appoggiare la sua causa (e quella dei suoi fratelli).
Nel 1998 nasce il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc). Nel 2000 Muhtar ha in mente un colpo per aumentare il prestigio del gruppo: spostare il percorso della Parigi-Dakar, che in quell’anno dovrebbe transitare in Niger. Sapendo che i satelliti delle agenzie di sicurezza occidentali saranno tutti impegnati nell’osservare la rotta della corsa, Bilmuhtar fa muovere i suoi uomini in lungo e in largo attorno al percorso; quando gli occhi digitali visualizzano i movimenti dei guerriglieri, gli organizzatori decidono di spostare il percorso. La notizia si spande in tutto il Sahara. Un pugno di uomini è riuscito a far desistere gli occidentali dal correre nel deserto. E senza sparare un colpo. Bilmuhtar ha solo 27 anni.

3. All’inizio degli anni Duemila il fronte islamista algerino è ormai sconfitto e isolato. Nel 1994 i paesi occidentali cominciarono infatti a parteggiare per l’Fln, in seguito a un fallito attentato che prevedeva di far schiantare un aereo sulla Tour Eiffel. Le forze di sicurezza del regime furono sul punto di uccidere il Guercio durante una sparatoria a Bordj Badj Mukhtar (Burg Bagi Muhtar), dalla quale riuscì miracolosamente a scappare guadagnandosi un altro soprannome: l’Inafferabile.
Visto che al Nord l’aria si è fatta pesante, Bilmuhtar decide di ripiegare verso il suo Sud, ma anche in questo caso con un piano preciso: sfruttare la rete dei traffici illeciti locali e aumentare la sua fortuna. Perciò decide di allearsi con le tribù tuareg del Sahel, sposando un’adolescente del clan Idriss, che è parte della grande tribù dei Brabiches. Questo matrimonio non passa inosservato dato che, per la prima volta, una giovane di un’influente famiglia tuareg viene data in sposa a uno straniero. La cerimonia è semplice, senza balli e canti. Come disse un testimone, fu «talmente austera da sembrare un funerale» [7].
Entrambe le parti guadagnano dalle nozze. La tribù degli Idriss avrà accesso a nuove fonti di reddito (i traffici gestiti da Muhtar), sicché finalmente il suocero del Guercio potrà ingrandirsi casa, essendo diventato uno degli uomini più ricchi del deserto. Bilmuhtar ottiene in cambio una protezione tale da scoraggiare qualsiasi tentativo di arrestarlo o ucciderlo. Da questo momento in poi, l’emiro comincerà a occuparsi soprattutto di due faccende: fare da agenzia matrimoniale ai suoi «fratelli» (che sposeranno altre nobili tuareg) e prendere parte alla tratta dei bianchi (il sequestro dei cittadini occidentali nel deserto), nella quale il Guercio sarà, a fasi alterne, sequestratore e mediatore grazie ai suoi amici Baba Ould Cheikh – futuro cofondatore del Mujao, il Movimento per l’unicità e il jihad nell’Africa occidentale e grande trafficante maliano – e Iyad Ag Ghali, il Che Guevara dei tuareg, che trascorre la vita tra alcolici, belle donne, discoteche, sigari e ribellioni contro il governo del Mali, prima di diventare il capo di Ansar al-Din, gaippo salafita dei tuareg maliani.
Nel 2005 Bilmuhtar offre un’altra lezione di strategia: una sua azione porterà alla deposizione di Muawiyya Ould Taya (Mu‘awiya Walad Taya‘), dittatore della Mauritania. Dopo l’assalto del Guercio alla caserma di Lamgayti, Ould Taya lancia un’offensiva contro gli islamisti nel deserto, penetrando per mille chilometri all’interno del territorio maliano, nella regione di Gao. Dopo questo attacco, il Consiglio militare per la giustizia e la democrazia estromette Ould Taya e libera alcuni militanti del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento in sua custodia, così come aveva chiesto di fare Bilmuhtar. Dopo questa dimostrazione di forza, al-Qa‘ida si decide a rompere gli indugi: il 24 gennaio del 2007 nasce al Qa‘ida nel Maghreb islamico (Aqim nella sigla inglese).

4. Galvanizzata dal riconoscimento della casa madre (e dai soldi ottenuti dai traffici e dai sequestri), Aqim guarda a sud con anni di ritardo rispetto al Guercio. La nascita dell’organizzazione non è però foriera di buone notizie per Bilmuhtar, che da questo momento in poi inizia una guerra personale contro ‘Abd al-Malik Drukdel (capo dell’organizzazione) e Abu Zayd, l’uomo che Drukdel nomina emiro del Grande Sud per ridimensionare l’influenza del Guercio.
Il grosso dei contrasti tra la leadership di Aqim e Bilmuhtar è legato principalmente a questioni di soldi, che adesso sono tanti e che, come in tutte le organizzazioni criminali, cominciano a creare forti tensioni [8]. Secondo il «sistema fiscale» di Aqim, il capo di una brigata e i suoi uomini giurano fedeltà a Drukdel, che ridistribuirà il 10% dei compensi derivanti dal jihad al capo di ogni katiba (brigata). Ma, come rimprovereranno al Guercio i membri del comando centrale, «Abu ‘Abbas (Halid Abu ‘Abbas è il nome di battaglia di Bilmuhtar, n.d.a) non contribuisce al fabbisogno dell’organizzazione in termini di armi e denaro (...) nonostante abbia preso ingenti somme dalla nostra cassa» [9].
A questo clima di ostilità da parte della leadership, Bilmuhtar risponde chiudendo ogni contano. Alcune lettere successive tra Drukdel e il Guercio sono degne di una telenovela: il capo di Aqim rimprovera l’emiro, come un fidanzato geloso, di non rispondere più al telefono. Nel frattempo il Guercio, dal Sahel, continua a tastare il polso della geopolitica africana, pronto ad approfittare delle prossime opportunità di arricchimento, che deriveranno da un altro grande sconvolgimento geopolitico: le rivolte del 2011.

5. Per comprendere le scelte strategiche compiute dal Guercio in seguito alle primavere arabe bisogna prima soffermarsi sul profondo mutamento subito da Aqim dopo il suo spostamento nel Sahara. Osservando l’atteggiamento dei qaidisti rispetto ai traffici e al business dei sequestri (che da solo frutta più di 50 milioni di euro fino al 2010 [10]), si percepisce come l’organizzazione sia divenuta sempre meno terroristica e sempre più malavitosa. Di questa evoluzione il Guercio è stato il motore primario.
Paragoniamo una mafia nostrana e Aqim. Nel suo Lezioni di mafia, Pietro Grasso analizza la struttura di Cosa Nostra, composta da quattro cerchi concentrici: uomini d’onore, famiglia di sangue, criminalità comune e fiancheggiatori. Tutti questi elementi strutturali sono presenti in Aqim. I capi delle kata’ib sono gli uomini d’onore; la famiglia di sangue è custode dei segreti degli affiliati e l’istituto del matrimonio è spesso usato (come hanno fatto Bilmuhtar e altri) per stringere alleanze con altri sodalizi criminali; la criminalità comune (sequestratori, rapinatori di banche e contrabbandieri per lo più) collabora spesso e volentieri, compiendo azioni che aumentano la ricchezza del gruppo senza però attirare l’attenzione delle autorità locali direttamente su al-Qa‘ida; da ultimo, i fiancheggiatori esterni – cioè tutti quei professionisti (medici, avvocati, poliziotti, politici e pubblici ufficiali) che pur non essendo parte dell’organizzazione in senso stretto ne favoriscono l’attività – offrono protezione e servigi vari all’organizzazione.
Va da sé che in Aqim (come nelle mafie) la religione è un semplice paravento dietro al quale giustificare il potere e costruire un’immagine pia degli affiliati. I qaidisti nordafricani hanno peraltro gli stessi obiettivi dei mafiosi: fare più soldi, assumere più potere. Partendo da queste similitudini, possiamo stabilire quindi che Aqim è una mafia islamista. Esistono alcune differenze di forma rispetto alle mafie nostrane, ma prevalgono le affinità.
È questo mutamento che spiega la prudenza dell’organizzazione rispetto alle rivolte arabe, percepite come occasione di guadagno ma non come incentivo al jihad. Il primo a sorprendere molti analisti è proprio il capo di Aqim, Drukdel, che il 19 marzo del 2011 dichiara esplicitamente che l’organizzazione non prende in considerazione l’idea di andare a combattere in Libia e di costruire uno Stato islamico a Tripoli.
Questa scelta non implica però che Aqim non faccia affari in Libia: il primo a comprendere il potenziale dell’implosione del paese è proprio Bilmuhtar. Egli sa benissimo che dai bombardamenti Nato non nascerà mai un governo unitario con la forza necessaria per imporre l’ordine, così comincia a viaggiare in lungo e in largo per la Libia rubando armi dagli arsenali locali (quando non può comprarle direttamente dai suoi parenti tuareg). Bilmuhtar guadagna un bel bottino dal «sacco di Tripoli»: cento chili di Semtex e diecimila missili terra-aria di ultima generazione. Da questo momento in poi verranno anche da molto lontano per acquistare le armi in suo possesso. Uno dei missili terra-aria venduti da Bilmuhtar verrà sparato da Hamas a Gaza nell’estate del 2011. Non deve sorprendere quindi che il Guercio, in un’intervista concessa poco dopo l’inizio delle operazioni Nato contro Tripoli, dirà che la guerra di Libia «è stata un buon affare» [12].
Pochi mesi dopo la Libia esplode il Mali, dove i tuareg fedeli a Gheddafi tornano armati fino ai denti dando vita all’ennesima insurrezione contro Bamako (la loro offensiva sarà arrestata solo dall’intervento di Parigi). Mentre infuria la guerra il Guercio è a Gao, dove gestisce i suoi affari accompagnato dalla moglie e dal figlio di 10 anni, Osama (il nome sembra un chiaro tributo a bin Laden). Questo spaccato di vita jihadista mette in luce, in maniera ancor più chiara, quanto Aqim sia diventata una mafia, soprattutto in relazione al suo rapporto con la droga. Gli uomini del Guercio sono soliti rilassarsi, dopo una dura giornata di lavoro per Dio, fumando marijuana [13]. Quando c’è da combattere si danno un po’ di coraggio con grandi dosi di ketamina [14], in barba al non coinvolgimento nel narcotraffico predicato da Aqim e sodali.
Oltre a usare la droga i qaidisti non esitano a venderla a chiunque ne faccia richiesta. Questo grazie anche al lavoro di Abdelkrim il Tuareg (che intesse rapporti solidi con i narcos in Guinea-Bissau [15]). Al riguardo, un alto grado dell’Aise (la nostra intelligence esterna) spiega a Limes: «Certo che il Guercio traffica droga: come farebbe altrimenti un uomo del genere ad avere in tasca i politici di un terzo dell’Africa? Per la sua conoscenza del Corano? E poi anche le nostre mafie hanno cominciato con sequestri e contrabbando per poi finire alla droga: perché i jihadisti non dovrebbero fare altrimenti?».
In Mali, gli uomini dell’Mnla (il movimento indipendentista tuareg che combatte il governo maliano) non sono un problema per Bilmuhtar: durante una riunione verranno addirittura sbeffeggiati dal figlioletto suscitando l’ilarità generale. I rapporti con la leadership di Aqim, però, continuano a peggiorare. Drukdel, che ha sempre nutrito una grande ammirazione per al-Zarqawi, vorrebbe unire i diversi gruppi armati presenti nel Sahel e creare uno Stato islamico sul modello di quanto fatto dai «fratelli» iracheni. Bilmuhtar invece vorrebbe creare un’organizzazione più simile ad al-Qa‘ida nella Penisola Arabica (Aqap nella sigla inglese), cioè molto decentrata, di cui ha già in mente il nome: al-Qa‘ida nel Sahel islamico [l6].
Tra i jihadisti volano gli stracci: Drukdel accusa Bilmuhtar di essere «distratto e poco attivo nel jihad» [17] (un modo per dire che ormai pensa solo ai soldi), Bilmuhtar chiede di parlare direttamente con al-Zawahiri, che preoccupato da queste lotte intestine invia un suo messo, Abu Bakr al-Masri, di cui Bilmuhtar dirà: «È un combattente di seconda linea. (...) Il caro fratello non può giudicare su dispute che non conosce o non gli competono» [18]. Al vertice di Timbuctu nel 2012, tenutosi in seguito alla conquista della città, Bilmuhtar abbandonerà i lavori, perché prevale la linea di Drukdel e Abu Zayd.
Nonostante l’estromissione da Aqim per «condotta fraudolenta» [19], il Guercio ha già pronto un piano B, che tiene conto come sempre dei mutamenti geopolitici dell’area. Prima fonda la Brigata dei firmatari con il sangue (nome già usato dal commando che non riuscì a distruggere la Tour Eiffel nel 1994); poi, il 16 gennaio 2013, assalta la raffineria di In Amenas. Grazie a questa operazione il Guercio guadagna molto in termini di immagine: diciassette mesi dopo l’assalto il suo nome viene menzionato 6.881 volte di più nei media internazionali e quello del suo gruppo almeno 900 volte di più [20].
Dopo due mesi dall’assalto, il Ciad dichiara morto Bilmuhtar. Ma il Guercio è ancora vivo e per dimostrarlo compie due attentati in Niger, confermando il suo spostamento geopolitico verso est, seguendo i traffici sahariani. Una di queste due operazioni viene rinominata, con una certa malizia, «Abu Zayd». Bilmuhtar dichiara di averla compiuta per vendicare l’onore del «fratello» ucciso in Mali, con cui pure si è odiato fino alla morte (di quest’ultimo).
All’operazione di In Amenas, Drukdel risponde creando la brigata ‘Uqba ibn Nafi‘ (dal nome del generale musulmano che nel VII secolo conquistò il Nordafrica), che opera in Tunisia, secondo alcuni [21] uccidendo personalità laiche sgradite al fronte islamista. Se il capo di Aqim agisce usando il nome di chi conquistò il Maghreb, Bilmuhtar rilancia. La sua formazione assorbe il Mujao, dove militano molti suoi parenti, e così nasce il gruppo degli Almoravidi (dal nome della dinastia che conquistò la Spagna visigota). Allo stesso tempo il Guercio prende definitivamente piede in Libia e in Niger, da dove i suoi uomini trasportano droga, armi e migranti fino al Mediterraneo grazie alla complicità delle tribù locali, come quella degli Ubari molto attiva a Bengasi e con ottimi rapporti con Ansar al-sari‘a in Libia [22].
Intanto, nel Nord della Nigeria è nata Ansaru, organizzazione (teoricamente) rivale di Boko Haram fondata da alcuni vecchi discepoli di Bilmuhtar. Il Guercio potrebbe esserne proprio l’ideatore, dato che nella sua casa di Gao vennero trovati «in anteprima» i volantini recanti la notizia della nascita del gruppo [23]. L’influenza del Guercio in jihad e traffici si sviluppa, quindi, in un’area che va da Sokoto (Nigeria) fino alle coste libiche.
Se il Guercio ride lo stesso non può dirsi per Drukdel, che dopo aver visto morire il suo pupillo Abu Zayd si trova costretto a rincorrere Bilmuhtar in Libia. Per sbarcare a Tripoli il capo di Aqim si coordina con Abu Anas al-Libi (figura storica di al-Qa‘ida sin dai tempi dell’attacco alla nave americana Cole), che però nel 2013 viene arrestato dall’Fbi. Probabilmente tale operazione scaturisce da una soffiata agli americani dello stesso emiro degli Almoravidi. Sicuramente i nemici del Guercio (tranne Drukdel) sono tutti morti o arrestati, compreso Abdelkrim il Tuareg [24].

6. Si dice che Sahara e Sahel siano spazi senza leggi, ma è vero solo in parte. Se per leggi intendiamo quelle degli Stati, allora è così. Tuttavia, se si intende comportamenti che è opportuno seguire per districarsi nel mondo del crimine, allora il Sahel e il Sahara hanno più leggi degli Stati Uniti. Una di queste è composta da sei parole ed è categorica per chiunque si avventuri nel passo di Salvador, al confine tra Niger e Libia: «Non attaccare i convogli del Guercio». Il perché è semplice: nessuno vuole avere problemi con quello che i tubo e i tuareg definiscono «l’uomo più pericoloso del Sahara» [25].
Dopo aver messo definitivamente le mani sui mille illeciti tesori della Libia, Bilmuhtar e gli Almoravidi hanno continuato a compiere i loro traffici e i loro assalti. Nel 2015 rivendicano l’attentato in un ristorante di Bamako, poi quello ad Ansongo (sempre in Mali), dove vengono uccisi 9 peacekeepers dell’Onu. Gli Almoravidi colpiscono anche in Niger, attaccando la prigione di Tillaberi, dove liberano alcuni detenuti; poi devastano un campo profughi.
Tutti cercano Bilmuhtar e gli Almoravidi, ma l’emiro è sempre un passo avanti alle agenzie d’intelligence. Nel 2013, ad esempio, la Francia annuncia di avere ucciso il presunto capo degli Almoravidi, Abu Bakr al-Masri (lo stesso che Bilmuhtar aveva deriso definendolo combattente di seconda linea). Sembra molto difficile che il Guercio potesse accettare la sua autorità, visti i precedenti; probabilmente Parigi avrà ucciso solo un capo fantoccio, messo lì dal Guercio per prendersi eventuali pallottole al suo posto.
Il 14 giugno del 2015 l’etere e la blogosfera annunciano l’ennesima morte del Guercio, a cui molti non credono visto che, come scrive un utente di Twitter, «è stato dichiarato morto più volte di quante Liz Taylor sia stata dichiarata moglie». Secondo il governo di Tobruk, il Guercio sarebbe morto dopo un attacco aereo americano in una fattoria in Cirenaica, dove stava incontrando venti di membri di al-Qa‘ida e alcuni esponenti della propaggine libica dello Stato Islamico [26]. Ma l’intesa fra al-Bagdadi e Bilmuhtar è poco probabile. Proprio il Guercio l’ha smentita mesi prima, rinnovando la sua fedeltà ad al-Qa‘ida e ad al-Zawahiri [27].
L’aspetto paradossale di questa vicenda è che se prima il Guercio era visto come un individuo poco desiderabile, adesso tutti vogliono i suoi servigi: persino Drukdel, che secondo alcuni starebbe cercando di ricostruire la sua relazione con Bilmuhtar [28]. Oltre a queste ipotesi non confermate, tipiche dello strano mondo del jihadismo sahariano, vi sono tre certezze.
Primo, il Guercio è ancora vivo. Lo dimostrano sia le dichiarazioni degli Almoravidi, che hanno smentito la sua morte in maniera categorica [29], sia la lista dei morti pubblicata dalle autorità libiche, nella quale non figura il suo nome. Secondo: oggi Muhtar Bilmuhtar è alla guida di un impero criminale che si estende dal Nord della Nigeria alla Libia e dal Sahara occidentale (dove il nostro vanta rapporti anche con il Fronte Polisario [30]) al Corno d’Africa. Bilmuhtar è collegato a traffici di droga, contrabbando di ogni genere, vendita di armi, traffico di esseri umani.
Se guardiamo ai numeri di questa economia illecita possiamo comprendere la portata degli introiti: il traffico di esseri umani genera un volume d’affari di circa 34 miliardi di dollari all’anno [31], solo per quanto riguarda la traversata. Se teniamo conto del fatto che i migranti più «facoltosi» possono anche essere torturati per estorcere altro denaro alle famiglie [32], gli introiti per i trafficanti (tra cui Bilmuhtar) potrebbero essere maggiori. Per quanto riguarda il traffico di armi, solamente in Libia si contano tra i 250 e i 700 mila pezzi secondo l’Onu [33], più di un milione di tonnellate secondo l’intelligence britannica [34]; anche se il Guercio avesse messo le mani su meno del 10% di questo mercato, guadagnerebbe milioni. Quanto alla droga, solo il transito di cocaina in Africa occidentale produce introiti per oltre un miliardo di dollari e i consumatori sono in aumento [35]. Tutti questi «beni» dell’economia illecita sono inviati in Europa, dove le nostre mafie (e i nostri «guerci», come dimostra l’inchiesta Mafia Capitale) possono lucrare grazie agli arrivi continui facilitati da uomini come Bilmuhtar (tra mafiosi non esiste lo scontro di civiltà).
Terzo, Bilmuhtar ha modificato radicalmente i connotati di Aqim e del jihadismo africano (mondiale?), rendendolo più simile a un fenomeno criminale di tipo mafioso. Ciò ha spinto diversi analisti a usare espressioni come narco-jihadismo, gangster-jihadismo o al-Qa‘ida mafia style. Contorsionismi retorici, che circumnavigano il problema senza affrontarlo. Di fronte a questa prospettiva si possono scegliere due approcci: accettare che anche il jihad abbia le sue mafie (rinunciando alla tentazione semplicistica dello scontro di civiltà) o riesumare il motto di alcuni ben pensanti del Meridione italiano: la mafia? Non esiste.



Note:

1. L.O.M SALEM, Le Ben Laden du Sahara: sure les traces du jihadiste Mokhtar Belmokhtar, Paris 2014, Éditions de la Martinière.
2. Per un’analisi più approfondita di questi argomenti si rinvia a G. KEPEL, Jihad: ascesa e declino del fondamentalismo islamico, Roma 2004, Carocci.
3. G. KEPEL, Al Qaeda: i testi, Roma-Bari 2006, Laterza.
4. L.O.M. Salem, op. cit.
5. Ibidem.
6. Ibidem.
7. Ibidem.
8. M. GUIDÈRE, «The Timbuktu Letters: New Insights about Aqim», Res Militaris, 11/11/2014.
9. Ibidem.
10. S. Daniel, Aqmi. l’industrie de l’enlèvement, Paris 2012, Fayard.
11. S. LAURENT, Sahelistan: de la Libie au Mali au coeur du nouveau jihad, Paris 2013, Seuil.
12. D. CRISTIANI, Amir of southern Sahara, Jamestown Foundation, 2011.
13 J. HAMÉON, «Exclusif: Au Mali, dans la maison du djihadiste Mokhtar Belmokhtar», L’Express, 9/2/2013.
14. D. THIÉNOT, «Au Mali les djihadistes se droguent à la kétamine», L’Express, 19/2/2013.
15. M.O. MOHAMEDOU, «The Many faces of Al-Qa’ida in the Islamic Maghreb», GCSP Security Papers n. 11, 2011.
16. M. GUIDÈRE, op. cit.
17. Ibidem.
18. T. JOSCELYN, «Confusion Surrounds West African Jihadists’ Loyalty to Islamic State», The Long War Journal, 14/5/2015.
19. A. BLACK, «Mr. Marlboro Lands a Seismic Blow», The Indipendent, 20/1/2013.
20. G.D. PORTER, «Terrorist Outbidding: The In Amenas Attack», CTC Sentinel, 28/5/2015.
21. M. GUIDÈRE, op. cit.
22. A.Y. ZELIN, «Libyan Jihadist beyond Benghazi», Washington Institute, 12/8/2013.
23. J. ZENN, «Cooperation or Competition: Boko Haram and Ansaru after the Mali Intervention», CTC Sentinel, 27/3/2013.

24. «Mali: le chef jihadiste Abdelkrim al-Targui tué par l’armée française», Jeune Afrique, 20/5/2015.
25. S. LAURENT, op. cit.
26. K. DOZIER, J. DETTMER, «Exclusive: US Strike Hit Suspected ISIS-Al Qaeda Gathering», Daily Beast, 15/6/2015.
27. «Sahara Islamist Leader Belmukhtar Dismiss Islamic State Pledge», Reuters, 17/5/2015.
28. «Aqmi veut unifier ses rangs», al-Watan, 21/6/2015.
29. «Libye: le groupe el-Mourabitoune dément la mort de Belmukhtar dans le raid américain», al-Ahbbar, 18/6/2015.
30. «Cet inquiétant “réseau Polisario”, Jeune Afrique, 4/1/2011.
31. U. DE GIOVANNANGELI, «Naufragio sul canale di Sicilia. Trentaquattro miliardi di dollari all’anno: è il giro di affari dei trafficanti di esseri umani», Htifftngton Post, 16/4/2015.
32. Ibidem.
33. F. STRAZZAKI, «Il deserto di Pandora». Limes, «Chi ha paura del califfo», n. 3/2015, pp. 203-209.
34. Ibidem.
35. «The Wrong Way to Beat It», The Economist, 30/6/2014.