Valentina Calzavara, Grazia 5/11/2015, 5 novembre 2015
LE ROTTE DELL’UTERO IN AFFITTO
Palloncini, cicogne e una promessa: “Making babies is possible”, fare dei bambini è possibile. Centinaia di siti pubblicizzano così la maternità surrogata, un tipo di fecondazione assistita che prevede il ricorso a una mamma “in affitto” che si sostituisce volontariamente alla madre naturale nella gravidanza e nel parto del figlio. A riempire in questo modo una culla vuota sono in tanti: star come l’attrice Nicole Kidman, Elton John, Sarah Jessica Parker.
Attualmente però la gestazione per altri (Gpa) non è praticabile ovunque. Agli Stati che hanno aperto alla possibilità, se ne contrappongono tanti altri, come l’Italia, in cui questa strada è illegale. Ecco perché molte coppie europee sterili oppure omosessuali, o anche persone single, cittadine di un Paese
del no, migrano altrove, dove è legale diventare genitori affittando una pancia. Un business fiorente dietro al quale operano agenzie specializzate, capaci di garantire i contatti con le cliniche, dalla stipula del contratto al volo di rientro con il bebé.
Grazia si è messa sulle loro tracce seguendo le rotte del turismo procreativo. Abbiamo scattato una foto di che cosa accade nel mondo: dalla Thailandia agli Stati Uniti, passando per il Vecchio Continente. Il risultato? Una mappa frammentata. Il diritto alla genitorialità si confronta con l’etica, parla lingue diverse ed è condizionato da standard sanitari e norme che cambiano con le latitudini.
Guardando all’Europa, si contano sulle dita di una mano gli Stati che ammettono (sul proprio territorio) l’impianto di un embrione nel grembo di una donna che non ha legame genetico con esso. «Dobbiamo distinguere tra i Paesi che vietano espressamente la maternità surrogata, quelli neutri che la tollerano come il Belgio e l’Olanda, e quelli che la praticano alla luce del sole», spiega Alexander Schuster, avvocato e membro del consiglio direttivo del Centro studi interdisciplinari di genere dell’università di Trento.
Le mamme in affitto sono legali nel Regno Unito: un giudice controlla il procedimento e verifica che non ci sia “commercializzazione” (alla donna non spetta un compenso, ma solo un rimborso spese). Anche in Grecia è permesso, tanto che Creta offre pacchetti low cost da 9 mila euro, comprensivi di spese mediche, avvocati e soggiorno sull’isola.
Si comporta diversamente la Svizzera. Lì il Comitato di bioetica ha ammesso le Gpa etiche, che devono essere il dono di una persona vicina alla coppia con difficoltà procreativa. In Spagna la legge considera i contratti prenatali nulli, ma riconosce poi i genitori. Roccaforti del divieto sono invece la Francia, la Germania, l’Austria, il Portogallo e la Svezia, che non ammettono la pratica nei loro ospedali anche se poi consentono ai cittadini espatriati di essere madre e padre del bimbo. Per l’Italia vale un discorso a sé. Oltre la legge 40, che considera reato anche solo pubblicizzare la gestazione di sostegno, la politica è ora divisa dal disegno di legge sulle unioni civili. A detta di alcuni aprirebbe la strada all’utero in affitto. Da qui la proposta del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, di trasformare la pratica in reato universale. Se ciò accadesse, sarebbe punibile anche se portata a compimento all’estero. «Misure penali come quelle in vigore in Italia sono già più uniche che rare. In nessuno Stato europeo accade che il bambino frutto di maternità surrogata possa venir dato in adozione», precisa Schuster. Per chi se lo può permettere l’unica soluzione è fare le valigie.
I tempi di attesa variano a seconda della meta. «In Europa è difficile trovare donne disponibili a concedere il proprio utero, ecco perché molte coppie raggiungono gli Stati Uniti o i Paesi dell’Est, dove l’attesa va dai tre mesi a un anno», continua l’avvocato. Russia e Ucraina garantiscono in sei mesi l’individuazione di una mamma in affìtto. Se il primo tentativo va a buon fine, in un paio di anni si riesce a coronare il sogno di un figlio: il costo oscilla tra i 30 e i 70 mila euro. Per entrambe queste destinazioni, però, i guai sono al rientro in Italia, perché bisogna passare attraverso il consolato che spesso segnala i casi di sospetta Gpa alla magistratura.
Negli Stati Uniti e in Canada i prezzi variano dai 100 ai 120 mila euro a gravidanza, non si distingue tra coppie gay ed etero e in California si può scegliere anche il sesso del nascituro. Secondo il Council of responsible genetics, un centro no profit di studi etici sulla biotecnologia, la domanda è in aumento, ci sono più di 3 mila nascite l’anno, un terzo per conto di stranieri. In ogni caso queste mete appaiono tra le più sicure. Il neonato, al rientro a casa, avrà con sé il passaporto e dovrà essere registrato all’anagrafe.
C’è chi guarda anche all’India, dove il costo è sui 20 mila euro. «Ma attenzione», avverte il professor Pier Luigi Venturini della Società italiana di ginecologia e ostetricia. «In aree molto povere le condizioni di salute della madre portatrice potrebbero non essere perfette e avere conseguenze per il feto».
Per evitare lo sfruttamento delle donne la Thailandia, nota come “l’utero dell’Asia”, e il Nepal hanno ristretto l’accesso alla pratica alle sole coppie di connazionali.
Ma si può inseguire il sogno di un neonato altrove: Armenia, Israele, Georgia.
Quale sarà il futuro? Anna Laura Zanatta, sociologa e autrice del libro Le nuove famiglie (Il Mulino) dice: «Viviamo in un’epoca in cui la fecondazione assistita ha modificato il concetto di maternità. I divieti possono porre un freno, ma dobbiamo andare oltre e ascoltare chi chiede che a prevalere sia la legge del cuore».