varie, 5 novembre 2015
APPUNTI SUL PROCESSO MAFIA CAPITALE PER GAZZETTA
IL PROCESSO
• È partito oggi, 5 novembre, il processo sui fatti di “Mafia Capitale”. Sono 46 gli imputati nel processo con rito immediato davanti ai giudici della X sezione penale del Tribunale di Roma. Le accuse vanno dalla corruzione all’associazione per delinquere di stampo mafioso. Sessanta gli avvocati coinvolti. Quattro udienze a settimana (preventivate in tutto 136) fino a luglio 2016 per chiudere il procedimento.
• Il processo si è aperto in un’affollatissima aula Occorsio di Piazzale Clodio a Roma con la promessa dell’avvocato Giosuè Bruno Naso: «Farò parlare Massimo Carminati». Il difensore dell’ex Nar ha spiegato: «Carminati stavolta è intenzionato a difendersi in modo diverso dal solito: vuole chiarire molte cose e lo farà». Considerata la centralità di Carminati in certi ambienti romani fin dagli anni ‘70, sembra destinata a proseguire in un’atmosfera di attesa la maratona giudiziaria che, con quattro udienze a settimana, da lunedì si trasferirà nell’aula bunker di Rebibbia [Corriere.it 5/11].
• Il dibattimento si svolge con il rito immediato davanti alla decima sezione del Tribunale, presieduta da Rosanna Ianniello. I pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, sotto la guida del procuratore capo Giuseppe Pignatone, cercheranno di dimostrare che la «piccola organizzazione con un capo che è Carminati» ma che in questi anni «è riuscita a intessere rapporti con politici e pubblica amministrazione», è una associazione di stampo mafioso. Con queste parole lo stesso Pignatone definiva la cosiddetta “Mafia Capitale” lo scorso 1 luglio davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia. Al processo le contestazioni dovranno reggere in aula, con le difese chiamate a smontare centinaia di migliaia di pagine di risultanze investigative e intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte direzione distrettuale antimafia di Roma. [Sara Menafra, il Messaggero 5/11]
GLI ACCUSATI
• Non potranno mai essere presenti in aula al processo tre imputati eccellenti che avranno solo il video come opzione per seguire le varie udienze. Si tratta di Massimo Carminati, l’ex terrorista ritenuto a capo del clan e attualmente detenuto in regime di 41 bis a Parma; Salvatore Buzzi, ras delle cooperative e braccio operativo dell’organizzazione, detenuto a Tolmezzo (Udine); e Riccardo Brugia, uomo legato a Carminati e presunto custode di armi, mai però trovate dagli inquirenti.
• In aula ci saranno i 22 imputati ai domiciliari, compresi ex amministratori locali come Mirko Coratti, già presidente Pd del Consiglio comunale, e Giordano Tredicine, consigliere comunale Pdl. E anche Luca Odevaine, da due giorni ai domiciliari [Sara Menfra, Il Messaggero 5/11].
• Una quindicina di imputati detenuti in varie parti di Italia nel pomeriggio di mercoledì sono stati trasferiti nel carcere di Rebibbia in modo da poter essere presenti dalla seconda udienza in poi al processo. Compariranno nelle celle dell’aula bunker di Rebibbia dal prossimo 10 novembre mentre ciò che è accaduto oggi in aula lo hanno seguito in videoconferenza [il Fatto Quotidiano 5/11].
• Oggi la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex sindaco Gianni Alemanno nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale. Le accuse contestate sono la corruzione e l’illecito finanziamento. Il gup Nicola Di Grazia si pronuncerà sulla richiesta dei pm di piazzale Clodio l’11 dicembre prossimo [Repubblica.it 5/11].
QUELLI PRESENTI ALLA PRIMA UDIENZA OGGI
• Ecco quelli presenti alla prima udienza, oggi: gli ex consiglieri del Comune Giordano Tredicine (centrodestra) e della Regione Pierpaolo Pedetti (Pd), il costruttore Daniele Pulcini («Questo è solo un processo mediatico, non c’è nessuna mafia»), l’ex ad di Ama Giovanni Fiscon e l’ex capo di gabinetto di Walter Veltroni, Luca Odevaine, da martedì ai domiciliari. Quest’ultimo ha ammesso con i giornalisti: «Ho fatto degli errori e faccio autocritica, però a Roma non c’è un sistema mafioso che gestisce la città». Poi ha aggiunto: «Con la Procura il rapporto è corretto, ma il mio ruolo è stato sopravvalutato: risolvevo i problemi, perciò in tanti si rivolgevano a me». E infine: «Il danno più grave che ha fatto Salvatore Buzzi è dire che con l’immigrazione si guadagna più che con la droga. L’immagine delle cooperative si è rovinata». Sono frasi per le quali l’ex membro del tavolo dei migranti al Viminale rischia di tornare in carcere: ha violato le prescrizioni legate agli arresti in casa e la presidente Ianniello lo ha ripreso. Presente al processo anche l’ex capogruppo del Pdl in consiglio regionale Luca Gramazio, in videocollegamento da Rebibbia, dove è detenuto, mentre non ci sono l’ex presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti (Pd) e l’ex capo dipartimento delle Politiche sociali del Campidoglio Angelo Scozzafava [Corriere.it 5/11].
QUELLI GIA’ CONDANNATI COL RITO ABBREVIATO
• Un primo punto a favore della tesi degli inquirenti romani è stato messo a segno martedì 3 novembre nel corso dei procedimenti col rito abbreviato: quattro i condannati. La condanna più pesante è arrivata per Emilio Gammuto, accusato di corruzione a cui è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso. Gammuto è al centro di fatti corruttivi ed è uno degli uomini che porta ai contatti tra mafia capitale e imprenditori in odore di ‘ndrangheta nel settore dell’accoglienza dei migranti.
Altre condanne, cioè quattro anni per usura, sono arrivate per Fabio Gaudenzi e Raffaele Bracci, considerati vicini all’ex Nar Massimo Carminati. Quattro anni per corruzione invece sono arrivati per Emanuela Salvatori, ex funzionaria del comune e responsabile per l’attuazione del piano nomadi di Castel Romano.
• Altri cinque imputati verranno giudicati con rito abbreviato. Oltre all’ex assessore capitolino alla Casa Daniele Ozzimo, si presenteranno in aula il prossimo 26 novembre, l’ex consigliere comunale di Centro Democratico, Massimo Caprari, Paolo Solvi, collaboratore dell’ex presidente del municipio di Ostia Andrea Tassone, e Gerardo e Tommaso Addeo, collaboratori di Odevaine. Per tutti l’accusa è di corruzione [Valentina Errante, Il Messaggero 4/11].
LA PARTE CIVILE
• Mercoledì il prefetto Paolo Tronca, commissario al comune di Roma, ha firmato la dura costituzione di parte civile di Roma capitale, preparata dagli avvocati Rodolfo Murra ed Enrico Maggiore. «Mafia Capitale – si legge nel documento - risulta aver mutuato dalla Banda della Magliana alcune delle sue principali caratteristiche organizzative». L’atto di costituzione di parte civile fa anche i conti di quanto è costata la Mafia a Roma. Non solo per le tante gare pilotate, ma anche per la diffusione dell’usura, che il comune combatte tramite il finanziamento di Sportelli anti usura: «1078 sono le persone che hanno ricevuto assistenza tramite gli sportelli anti usura nel 2010, 671 nel 2011». E il costo medio annuale per ogni singolo sportello «risulta variare tra i 20 e i 40mila euro». Soldi che il Comune di Roma avrebbe potuto risparimiare [Sara Menafra, Il Messaggero 5/11].
• A chiedere di costituirsi parte civile c’è anche la Regione Lazio: «L’inchiesta Mafia Capitale ha avuto l’immenso merito di dare volto e concretezza a un sistema che aveva vissuto Roma - ha dichiarato ieri il governatore Zingaretti - non c’è dubbio che l’inchiesta della Procura offra un quadro compiuto di un sistema, e questo rappresenta un contributo determinante nella battaglia della legalità». Tra coloro che chiederanno di costituirsi anche la Legacoopsociali, un tempo fortemente influenzata dal ruolo di Salvatore Buzzi, leader di una delle principali cooperative sociali romane, e l’associazione antimafia Dasud. Don Luigi Ciotti ha annunciato la presenza anche dell’associazione antimafia «Libera» [Sara Menafra, Il Messaggero 5/11].
• Anche dal Viminale oggi è giunta la richiesta di costituirsi parte civile nel processo: l’ambito è quello dell’accoglienza dei profughi negli affari di Carminati e Buzzi. Ormai tristemente celebre la frase del re delle coop: «Con gli immigrati si guadagna più che con la droga» [Corriere.it 5/11].
• Ma la lista delle parti che stanno chiedendo la costituzione di parte civile al processo è lunghissima: conta anche un rifugiato politico pachistano di 23 anni e 37 nomadi di Castel romano [Corriere.it 5/11].
IL POOL DELLA PROCURA
Ci sono magistrati con esperienza ultradecennale nella lotta alle mafie, ma anche esperti di corruzione e di reati finanziari, nel pool di pm che affronteranno da giovedì il processo Mafia Capitale. A capo della squadra, Giuseppe Pignatone, dal 1974 in magistratura e dal 2012 a capo della Procura di Roma che un tempo era “porto nelle nebbie” e nel 2014 ha scoperchiato la presunta Cupola che condizionava il Campidoglio e gli anti locali. Pignatone ha indagato sulla strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone e sull’ex presidente della Regione Sicilia,Totò Cuffaro. Per anni ha lavorato accanto a Michele Prestipino, ora procuratore aggiunto a Roma, che in Calabria ha seguito molte inchieste sulle ‘ndrine. A rappresentare l’accusa ci sono altri tre pm. Uno è Paolo Ielo, che ha iniziato la carriera nel pool di Mani Pulite e prima ancora si era occupato del processo sulla Metropolitana milanese che coinvolgeva Bettino Craxi. Altro pm del pool è Luca Tescaroli, che rappresentò l’accusa nel processo per la strage di Capaci e ha seguito anche l’indagine per l’omicidio di Roberto Calvi. Infine Giuseppe Cascini, in passato titolare delle indagini sulle scalate Bnl e non solo [Valeria Pacelli, il Fatto Quotidiano 5/11].
IL NODO DELL’ASSOCIAZIONE MAFIOSA
• «Sai cos’è che mi fa proprio vomitare? È l’associazione mafiosa, mi avessero dato banda armata va bene...ma l’associazione. Te lo dico io, questa Mafia capitale è nata per nascondere altre cose». È tutta in questa frase di Massimo Carminati intercettata dal Ros dei carabinieri, la battaglia che sta per aprirsi in un’aula di giustizia tra procura e avvocati. Tra i pm che hanno condotto la mega inchiesta romana e i difensori degli imputati ai quali viene contestata l’associazione mafiosa. Sì, perché se per Carminati l’accusa di mafia è un’onta insopportabile, per i penalisti che dovranno cercare di smontare la pesante contestazione, sarà una battaglia sul filo del diritto, visto che in ballo c’è il rischio di condanne pesantissime [Cristiana Mangani, il Messaggero 5/11].
• Il procuratore Giuseppe Pignatone che sull’argomento si è espresso più volte, è convinto che esista una mafia autoctona, romanissima, dotata degli “indici rivelatori” della tipica struttura associativa mafiosa. L’obiettivo della sua procura è di riuscire laddove gli inquirenti hanno fallito nei confronti della Banda della Magliana, per la quale l’aggravante mafiosa è stata esclusa dal giudice.
E davanti alla Commissione parlamentare antimafia, ha ribadito perché anche questa romana è mafia. «Perché presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali fin qui conosciute, ma consente di ricondursi al paradigma criminale dell’articolo 416 bis del Codice penale, in quanto si avvale del metodo mafioso, e cioè della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza. Le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali». Roma è certamente una realtà particolare, infatti - evidenzia ancora Pignatone «la forza di intimidazione non ha un territorio fisico istituzionale o sociale privilegiato, ma viene ugualmente percepita e subita da chi con essa abbia rapporti» [Cristiana Mangani, il Messaggero 5/11].
LA RELAZIONE DEL PREFETTO MAGNO
Durante il processo verrà analizzata e utilizzata come prova anche la relazione della commissione prefettizia insediata col precedente prefetto (prima dell’arrivo di Gabrielli) Marilisa Magno. Il documento è stato desecretato lo scorso 2 novembre. Si tratta delle mille pagine con cui la commissione prefettizia chiedeva senza mezzi termini di “sciogliere” il Comune di Roma per infiltrazioni mafiose. Quel documento che «mi sarei tagliato una mano per averlo», ha detto l’ormai ex assessore Alfonso Sabella, ricostruisce l’organigramma di Mafia Capitale, in particolare gli uomini cerniera tra Carminati, Buzzi, la politica e le istituzioni romane.
Sul tavolo del ministero dell’interno non arrivarono quelle mille pagine, ma la relazione “temperata” dell’attuale prefetto di Roma Franco Gabrielli che ha optato per una soluzione più soft, e che ha portato lo stesso Gabrielli a occupare un ruolo di primo piano nella gestione degli affari, anche politici, della città di Roma. I bene informati danno la relazione al centro del processo entro le prime quattro udienze.
LE DIFESE
Le difese invece dal canto loro si sono già attivate con tutti i mezzi disponibili e anche per via mediatica: la Camera Penale di Roma ha denunciato 96 tra cronisti e direttori di giornali cartacei per aver divulgato le carte dell’inchiesta prima del tempo. Una denuncia monstre che lo scorso 24 settembre è stata presentata dal presidente della Camera Penale Francesco Tagliaferri e dal collega Giovanni Pagliarulo, che coinvolge i cronisti che nella prima e nella seconda tranche di mafia capitale hanno scritto articoli sulle mosse della procura di Roma.
Sul versante processuale invece è già stata depositata dal legale di Salvatore Buzzi la lista dei testimoni di cui intende avvalersi in aula l’ex ras delle cooperative: parlamentari, ministri, sottosegretari e magistrati per un totale di 282 nomi inseriti.
L’avvocato Alessandro Diddi ha inserito tra gli altri Giuliano Poletti, ministro del lavoro, gli ex sindaci Ignazio Marino e Gianni Alemanno. Poi Gianni Letta, Nicola Zingaretti, il vice ministro all’Interno Filippo Bubbico e magistrati come Raffaele Cantone e Alfonso Sabella, oltre allo stesso prefetto Gabrielli. Nella lista compare anche Luciano Casamonica, cugino del boss defunto, noto per il funerale, Vittorio.
LE RIPRESE SOLO ALLA RAI
Via libera alle riprese audio e video, ma non in diretta. Oltre alle registrazioni dell’aula il collegio ha autorizzato quelle di alcuni degli imputati che hanno dato il consenso: tra loro Carminati, Buzzi, Odevaine, Brugia, Pedetti e Giovanni De Carlo. A fare le riprese però sarà solo la Rai, con l’obbligo di distribuire i filmati alle altre tv. La Ianniello motiva la scelta anche con «l’interesse sociale rilevante del processo» [Corriere.it 5/11].
BREVI RITRATTI DEI PROTAGONISTI, DAL FATTO QUOTIDIANO DEL 3/11 –
• CARMINATI – Massimo Carminati, con tutte le licenze, è il “Nero” di Romanzo Criminale divenuto capo, secondo l’accusa, della presunta Mafia Capitale. È accusato di aver guidato il gruppo che retribuiva stabilmente politici e amministratori pubblici, faceva incetta di appalti e intimidiva chi si metteva di traverso. Nato a Milano ma cresciuto a Roma, 57 anni, Carminati è detenuto a Parma al 41-bis. Giovane neofascista legato al fondatore dei Nuclei armati rivoluzionari, Valerio Fioravanti, Carminati negli anni 80 è entrato nell’orbita della banda della Magliana. È stato processato e assolto per l’omicidio di Mino Pecorelli, il tentativo di depistaggio attribuito a Licio Gelli e ai generali piduisti dopo la strage del 2 agosto ‘80 a Bologna e l’omicidio dei due militanti milanesi d’estrema sinistra Fausto Tinelli e Lorenzo Iaio Iannucci. È stato condannato a sei anni nel processo alla banda della Magliana e a quattro, nel 2010, per la misteriosa rapina del ‘99 al caveau del Tribunale di Roma. Bottino: circa 50 miliardi di lire in oro e gioielli oltre a documenti riservati.
• BUZZI Salvatore Buzzi, 60 anni, romano, ha avuto almeno tre vite. Una da piccolo truffatore che girava su un’auto di lusso e finì per uccidere il suo complice, bancario, con 47 coltellate. Condannato a 30 anni, poi ridotti a 14 e 8 mesi, diventa un detenuto modello, il primo laureato in carcere. Arriva la grazia e nella terza vita diventa il numero uno di un vero e proprio impero costruito attorno alla cooperativa di ex detenuti “29 Giugno”, che vive di commesse pubbliche e aderisce alla “rossa” Legacoop. Secondo la Procura, Buzzi, detenuto a Tolmezzo (Udine) in regime duro (41-bis), è un “colonnello” di Mafia Capitale: “organizza e gestisce, per il tramite di una rete di cooperative, le attività economiche della associazione nei settori della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico e negli altri settori oggetto delle gare pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo, si occupa della gestione della contabilità occulta e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti”.
• CORATTI – Mirko Coratti, 42 anni, romano, si è dimesso dopo gli arresti del dicembre 2014 da presidente (Pd) del consiglio comunale di Roma. A giugno è stato arrestato per corruzione, è ai domiciliari. “Me so’ comprato Coratti, gioca con noi” annunciò al telefono Buzzi, intercettato. Avrebbe ricevuto promesse e denari, anche stabilmente, per favorire le coop di Mafia Capitale, in particolare per gli appalti della municipalizzata Ama (ambiente).
• ODEVAINE Luca Odevaine, 59 anni, romano, arrestato nel dicembre scorso, detenuto a Torino, è stato capo di gabinetto dell’allora sindaco di Roma Walter Veltroni, capo della polizia provinciale di Roma e membro del Tavolo migranti del Viminale. Più volte ha cambiato cognome cambiando in “o” una “e”, è stato condannato per droga in gioventù. Risponde di corruzione aggravato perché “stabilmente retribuito”, secondo l’accusa, dal gruppo.
• GRAMAZIO Luca Gramazio, 35 anni, è accusato di partecipazione in associazione mafiosa. È stato arrestato lo scorso giugno. Prima capogruppo del Pdl al Comune di Roma, poi consigliere di Forza Italia alla Regione Lazio, è il figlio del più noto Domenico Gramazio, già parlamentare e picchiatore del Msi, per tutti “il pinguino”. Secondo l’accusa era “al servizio” di Mafia Capitale, aveva una “funzione di collegamento con la politica”.
• PANZIRONI Franco Panzironi è stato ad dell’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, dal 2008 al 2013 quando era sindaco Gianni Alemanno cui è legato anche politicamente. È stato condannato di recente a 3 anni e 8 mesi per la cosiddetta Parentopoli dell’Ama. Arrestato nel dicembre 2014, è accusato di associazione mafiosa. “Pubblico ufficiale a libro paga, partecipa all’associazione fornendo uno stabile contributo per l’aggiudicazione di appalti”.
• TREDICINE Giordano Tredicineè un rampollo della discussa famiglia che a Roma gestisce i camion bar, arrivata dall’Abruzzo negli anni 60. Consigliere comunale del Pdl (poi Forza Italia) con oltre 5 mila preferenze, vicepresidente dell’Assemblea capitolina, è finito ai domiciliari nella retata del giugno 2015.
È accusato di corruzione per i rapporti con le coop di Salvatore Buzzi. Massimo Carminati lo rispettava: “Viene dalla strada”, diceva.
LA POLEMICA DI GIULIANO FERRARA SUL TERMINE “MAFIA CAPITALE”
Se dici che la dizione Mafia Capitale è una bojata, senza mezze misure, ti attiri un quasi completo isolamento, la reputazione del reprobo e le querele dei magistrati inquirenti. Perché salire questo piccolo Calvario? Per amore della verità, anzi della controverità, l’unica superstite nel confusionismo del Giornalista Collettivo. Ieri, mentre le agenzie rilasciavano la notizia che il solito giudice a Berlino, il gup di Palermo, aveva assolto Calogero Mannino nel processo parallelo, stralciato, sulla trattativa stato-mafia (perché l’imputato “non ha commesso il fatto”), leggevo Giovanni Bianconi nel Corriere della Sera. Bianconi è cronista giudiziario più che Collettivo; è convinto come i suoi colleghi che quando il procuratore capo romano Guseppe Pignatone ha annunciato a un convegno del Pd romano che in fatto di criminalità mafiosa a Roma se ne sarebbero a giorni viste delle belle, e quando poi sono scattati gli arresti e le accuse e le diffusioni pilotate degli origliamenti all’insegna della parola d’ordine Mafia Capitale contro l’ex ergastolano redento Salvatore Buzzi e il Riina della pompa di benzina Massimo Carminati (non la famiglia ma un distributore Agip era la sede dirigente di questa associazione da me ribattezzata la Corleone dei cravattari), ecco, allora giustizia è stata fatta, e giustizia antimafiosa.
Oggi si apre il processone, maxiprocesso dicono, e vedremo che cosa ne verrà fuori. Il dibattimento pubblico è occasione a volte di chiarificazione. Ma questo dibattimento, come tutti quelli di argomento mafioso-antimafioso, è a regime mediatico-giudiziario un po’ speciale. La mia modesta tesi, e scandalosa, la conoscete. A Roma c’era, specie in un ambito democratico e progressivo, quello della redenzione sociale dei carcerati e del mondo cooperativo, ma con forti trasversalismi che interessano la destra di lotta e di governo, gli alemannoidi, una diffusa tendenza pratica alla corruzione di funzionari, imprenditori, manager che ruotavano intorno al bilancio pubbico del Comune: avidità, mezzi truffaldini, pubblici ufficiali e funzioni pubbliche piegate, con le buone e con qualche elemento di grottesca e vernacolare intimidazione (tipo “je do ’na martellata”), il tutto a scopi di arricchimento sociale delle cooperative, a scopi di potere e di arricchimento privato di redditi e patrimoni. Tutte cose da colpire con i rigori di una legge che pretende costituzionalmente il giusto processo, cioè l’accertamento per vie giudiziarie corrette di responsabilità penali e personali. Con l’aggiunta, sconosciuta ai codici più seri e moderni del nostro, dell’associazione per delinquere, un reato appunto associativo che spesso confonde le responsabilità e consente non giusti ma ingiusti (proceduralmente) processoni o maxiprocessi. C’è poi il discorso sulla corruttela assistenzialista e sulla spesa pubblica facilmente fuori controllo, che emerge in altri ma contigui termini anche dalla gestione siciliana dei beni confiscati ai mafiosi, con il sospetto di corruzione fin dentro la magistratura e altro. Ma non voglio sottilizzare. Diciamo che allo stato degli atti e delle intercettazioni una associazione a delinquere secondo il codice penale è ipotizzabile e non scandalizza.
Perché dunque il bollino mafioso? Perché teorizzare, tra sociologia urbana e diritto positivo, che quella romana non è delinquenza o corruzione in atti pubblici ma una forma, come riferisce il Bianconi Collettivo, “originale e originaria” di mafia con la maiuscola e il nome di Roma associato? [Giuliano Ferrara, Il Foglio 5/11].