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 2015  novembre 04 Mercoledì calendario

AVANTI IL PROSSIMO


«Okay, next?». Nico Rosberg era atteso alle tre del pomeriggio, ma arriva alle tre e zero uno. È in lieve ritardo e si comporta di conseguenza: entra al Jumeirah Hotel, stringe la mano a tutti, chiede dov’è la stanza per cambiarsi. Glielo comunicano con prontezza, anticipando ogni suo possibile segno d’impazienza. Lui registra e apprezza l’efficienza: «Okay, next?».
Parla tedesco coi tedeschi, francese coi francesi, spagnolo con gli spagnoli, finlandese se potesse e inglese con gli altri. Ma con GQ, che lo incontra in esclusiva a Francoforte durante il Salone dell’auto, si esprime in un italiano immacolato, una lingua che deve essere l’idioma dei sorrisi e dei colori, a giudicare dall’espressione beata che gli piglia in viso mentre racconta, e ogni tanto persino corregge: «“Elaborare”, dici? Mmh, non ne sono convinto. Secondo me il verbo giusto in questo caso è “processare”», s’inerpica lui, pilota Mercedes, a lungo spina nel fianco del compagno di scuderia Lewis Hamilton nella conquista del titolo 2015, durante un discorso sui denominatori comuni rintracciabili nei vari sport.
Indossa con naturalezza un abito di Hugo Boss su un corpo da fantino con additivi aggiunti, massiccio e delicato allo stesso tempo: una quarantotto elegante, sembrerebbe. Per il resto ha capelli biondi e fini, il modo di fare controllato, la sensazione generale di una centratura d’intenti e di emozioni maschile ma non pesante, per niente affettata: il soprannome Britney, affibbiatogli a inizio carriera dai colleghi della Formula Uno, appare sinceramente gratuito, o quantomeno ingeneroso, certamente parziale. Al contrario, Nico sa essere diretto, quasi ruvido, sugli aspetti umani quando gli appaiono poco funzionali al raggiungimento di un obiettivo: «Scusa, ma dovrò già rispondere alle domande del giornalista, non mi va di chiacchierare», dice per esempio – in tedesco – al fotografo che gli si avvicina con curiosità da tifoso, alla fine dello shooting.
C’è pure una troupe della tv tedesca RTL che sta girando uno speciale su di lui e lo riprende in ogni momento. Compreso quello in cui s’avvicina al tavolo del buffet e addenta cinque o sei considerevoli tortini al cioccolato, unica debolezza dimostrata in questa prima ora d’osservazione.
Sul punto di sederci a fare due chiacchiere arriva il suo addetto stampa personale, Georg Nolte, che inizia a descrivere questo campione di 30 anni, marito dal luglio 2014 e padre dallo scorso agosto, come se si trattasse di un brand. Dice che «i capisaldi dell’esistenza di Nico sono cinque: famiglia, continuità, alimentazione, impegno, amici», e ci manca solo che a un certo punto faccia spegnere le luci e partire le slide.
Figlio del pilota finlandese Keke Rosberg e di una donna tedesca, nato in Germania ma cresciuto a Montecarlo, studente modello della scuola internazionale di Nizza, Rosberg è un esempio di europeo paradigmatico, integrato, completamente Schengen dentro. «Gran parte di me, però, è assolutamente italiana», spiega, «i miei compagni di scuola, a Nizza, che poi sono gli amici più importanti della mia vita ancora oggi, sono tutti milanesi».
Al suo matrimonio con Vivian Sibold, amica d’infanzia e fidanzata di sempre («eccola qui la “continuità”», sottolinea), c’erano cinque testimoni, tutti italiani. Persone ormai sparse per il mondo, come accade a chi nasce e cresce nel Principato di Monaco. Tanto che oggi, si compiace, «in ogni circuito che tocco ho degli amici da portare a cena».
Che poi viene da chiedersi cosa facessero ’sti ragazzini, in quella strana infanzia dorata sotto il regno del principe Ranieri. Scorrazzavano in bicicletta sui pontili d’attracco degli yacht? Giocavano a pallone per strada, sul tornante di fronte al Grand Hotel Hairpin? «Ci trovavamo in spiaggia alle sei del mattino – dopo una notte in bianco passata a studiare, e prima di un compito in classe – e facevamo dei gran partitoni di calcio. Poi tutti in acqua, finché il pulmino privato della scuola veniva a prenderci», racconta. «Il calcio mi piace ancora, ma non ho mai avuto talento. Il che è strano: per come la vedo io, chi guida bene la macchina è anche bravo a tennis, a golf, in tutto. Perché in fondo il principio è lo stesso. Devi processare quello che vedi e azionarti con una modalità sofisticata».
In compenso, a tre anni giocava perfettamente a tennis, una specie di fenomeno. Finché un giorno a Ibiza, a quattro anni, dentro un gokart e sulle ginocchia di papà, è esplosa la passione per l’automobile.
Nato a Wiesbaden il 27 giugno 1985, giusto quattro giorni dopo la vittoria di suo padre al Gran Premio di Detroit, s’infila in tutta la tipica gavetta finché, nel 2002, vince il campionato Formula BMW. A17 anni si guadagna un test con la Williams, diventando il più giovane pilota a guidare una F1. Debutta in Bahrain nel 2006, centra il primo podio nel 2008 in Australia, e nell’ottobre del 2010 passa alla Mercedes, con la quale totalizza 25 podi e 11 vittorie.
Nico Rosberg schizza come un dannato, ma se la vede brutta solo una volta, il 21 agosto di quest’anno, quando la gomma posteriore della sua monoposto W06 esplode al termine della seconda sessione di prove sul circuito belga di Spa e va in testacoda. «Non ho pensato nulla, in quel momento», dice, «semplicemente mi sono cagato addosso. Guardavo il muretto e speravo di non andarci a sbattere contro. Nient’altro».
Strada e adrenalina sono due concetti che non vanno per forza assieme, fuori dal circuito. Anzi. La sua macchina preferita è una Mercedes Pagoda azzurra degli Anni 70, che tiene in una casa di famiglia ad Aix-en-Provence, nel Sud della Francia. Sostiene che con le auto che fanno oggi, per sentire qualche emozione bisogna spingere fino ai 250 km/h, e anche di più. Con la Pagoda, già a 80 si percepisce il bradisismo del motore, il rombo dei giri che salgono. «Quando la usiamo, io e mia moglie ci vestiamo a puntino perché su un oggetto così bello mica puoi salire con le sneakers», racconta. «Io mi metto una bella giacca, lei un abitino carino da giorno, e facciamo un giro sul lungomare, con la capote abbassata. Mi vesto da italiano, da italiano elegante».
Gli piacerebbe iniziare a collezionarle, le auto classiche. Anche per investimento: «Non c’è nulla che si rivaluti così», dice, dimostrandosi un attento lettore di Forbes, «più dell’arte e dei vini pregiati». Altri settori d’interesse: «il muro», dice, unico minuscolo strafalcione lessicale per intendere invece “il mattone” (ha appena acquistato una casa a Londra). E poi la gelateria che ha aperto a Ibiza insieme alla moglie, Vivi’s creamery, sul porto vecchio.
Sedersi fuori dal mio locale con un gelato al pistacchio in mano e veder passare la gente è un piacere infinito», racconta. Libidine paragonabile a quella che prova di notte, nei club dell’isola: «In discoteca sono instancabile: il locale chiude, la gente se ne va, e io sono ancora lì. Di notte, nessuno mi distrugge».
Altri batticuori li va a cercare nella nautica, grazie all’offshore di dodici metri che ha appena comprato e attraccato a Ibiza: «L’ho preso usato, aveva dodici anni, prezzo buono». Poi gli scacchi, altra fissa. E il backgammon, «il gioco ufficiale di famiglia». Leggenda vuole che ai tempi della Williams i suoi test psicoattitudinali fossero risultati i migliori di sempre, nella storia della scuderia. Un talento naturale, insomma. Alla domanda se in casa, da ragazzino, lo avessero mai considerato speciale, una specie di genio o un tipo strano, Nico Rosberg si schermisce. «Assolutamente no. Semplicemente, faccio bene le mie cose».
Una pr dice che il tempo è finito, sono le cinque e zero uno e Rosberg ha un’auto che lo aspetta alle cinque e zero cinque per portarlo a un evento Mercedes. Lui si alza, stringe la mano, ordina un branzino al vapore: «Okay, next».