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 2015  novembre 04 Mercoledì calendario

MI SPEZZO MA NON MI PIEGO

Ci pensi mai ai radicali dopo di te? «Sempre e mai». Finiranno con te? «Confido molto nell’attività transnazionale». Leader? «Ci sono. Lavoriamo dal Nepal a New York, da Bruxelles alla Birmania...». Hai paura di morire? «Semmai di vivere troppo». Ti trattano da sopravvissuto: “è vecchio, ha stufato, ha rotto i c...”. «Lo dicevano anche quando ero giovane. È la prova che non sono poi così vecchio». Sostengono che sei diventato prolisso. «Torrenziale, ripetitivo... Lo dicevano i comunisti già nel 1970. E ora dicono pure che sono morto». Ti trattano, da vivo, come fossi morto. «E sono pronti, da morto, a trattarmi da vivo».
E Marco Pannella, che pure non è un italiano canterino, accenna a una canzone: «“Ma pecché, pecché ogne sera/penzo a Napule comm’era/penzo a Napule comm’è”. Questa canzone da un po’ di tempo mi torna nella mente, anche in sogno, come una febbre musicale». Malinconia? «È la durata, il passato che ci segue tutto intero, galoppa al nostro fianco: penso a com’era e penso a com’è».
La durata di Bergson-Pannella significa che il grosso Mangiafuoco logorroico è, nel flusso di coscienza, anche lo scheletro di Pinocchio imbavagliato, con il girocollo nero e il lunghissimo naso affilato. Significa che si può entrare e uscire in qualsiasi punto della sua vita e ritrovarlo sempre intero e nuovo, mentre beve la sua orina in tv oppure adesso, a casa sua, mentre in T-shirt bianca e mutandoni mi dice: «Il digiuno mi ha mangiato i muscoli perché il corpo ha buon gusto e, quando mangia se stesso, scarta il grasso. Perciò ho queste orribili chiazze di grasso».
La durata, secondo Marco, «è la forma delle cose». Com’era, lo so. Ma ora com’è? «L’Italia non è mai stata così corrotta, non parlo del reato, ma del “cum-rumpere”: guastare, disfare, decomporre. E le stanze in via di Torre Argentina sono vuote, tecnicamente abbiamo dovuto licenziare tutti».
Una volta il finanziamento pubblico veniva distribuito ai passanti in banconote con il timbro: “Soldi rubati”. «Ora ci arriva pochissimo per Radio Radicale». È molto ascoltata e Massimo Bordin è “la voce” della politica. Perché non ne fai una radio commerciale? «Gli editori ci sarebbero, ma hanno paura del nome “radicale”. Dicono che li schiaccerebbe».
Renzi? «La rottamazione era solo una faccenda di generazione: “ora tocca a noi giovani”, scemenze così». Mattarella? «Ci controlliamo sempre da lontano». Papa Francesco? «Una meraviglia. Ci capiamo. Gli ho detto che forse nelle sue letture non c’è Bernanos». Antifascista e anticomunista, denunziava les imbéciles: radicale anche lui? «Cattolico e radicale».
Tra i grandi vecchi della politica italiana, morto anche Ingrao, c’è Cossutta: «Ha avuto per noi un certo amore, ricambiato». Radicale anche lui? «Non è un quaquaraquà. Mi ricorda le visite che mi faceva il vecchio Bordiga».
Vittorini, Pasolini, Modugno... «ma anche Napolitano, quello del secondo messaggio alle Camere». Da vecchi si diventa radicali? «Accade ancora. È un bel modo di invecchiare».
Al contrario, “il monello” Emma proprio adesso che le stanze sono vuote... «Non è per questo che viene poco. Anche se è la meno adatta a capire se stessa». Di’ la verità, è dura senza Emma. «Mi raccontano che ha pianto...».
Con Marco c’è, sempre, Matteo Angioli, che gli presta la giovinezza. «Siamo come Virgilio e Dante» dice Matteo, che ha appena compiuto 36 anni. L’amore scoppiò per mail, 16 anni fa, quando Matteo era in Nuova Zelanda, e fu un’educazione sentimentale radicale, perché, come diceva Pasolini, i due furono «imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarsi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare». Ricordo loro che ho letto le mail e penso che mai più questi due hanno raggiunto quella intensità. Ecco perché Marco voleva – «e vorrei ancora» – pubblicarle: «Perché lì c’è il futuro radicale».
Non pubblicato, il libro-fantasma è diventato gossip sulla presunta omosessualità di Pannella. Marco parla di amore e mai di sesso, «non distinguo, non mi importa». Matteo ha smentito con un’intervista al Corriere, ma «so bene che Marco passa per essere il primo frocio d’Italia». Potresti vivere senza Matteo? Potresti vivere senza Marco? Dicono: «Quando Dante, alle soglie del Paradiso, vede Beatrice e riconosce i segni dell’antica fiamma, si volta per trasmettere a Virgilio la sua emozione “ma Virgilio n’avea lasciati scemi/di sé, Virgilio dolcissimo patre/Virgilio a cui per mia salute die’mi”». Dicono ancora: «Raccontato da Benigni, il distacco tra i due ci ha divertito e commosso».
La Beatrice di Matteo è fiamminga, si chiama Laura Hart ed è, con tutti i suoi master, così radicalmente radicale da sembrare davvero «vestita di color di fiamma viva». Non di Dante, ma di Benigni, Pannella dice: «È un grande poeta italiano».
Ha 85 anni e due tumori, «uno qui», dice portandosi la mano al polmone sinistro, «e l’altro qui», dice portandosi la mano al fegato. Ma ne parla solo se glielo chiedi e con allegro compatimento per chi «mette in scena il melodramma della malattia». E ne parla come se nei guai fossimo noi che gli chiediamo «e come stai?» e non lui che risponde «sto benissimo». Il coraggio della malattia «è in fondo una questione di buona educazione», e chi conosce Marco Pannella non può sbalordirne. «Nel gusto, nella cultura, nel garbo è un uomo di grande eleganza intellettuale», diceva Sciascia, «anche se» – aggiungeva – «è costretto a gridare».
Il codino che, dice, «mi consente di non far diventare gialli i capelli», è una civetteria, come i tanti abiti di un sarto abruzzese e la collezione di cravatte vintage floreali di Yves Gerard. «Sono come la bretelle del filosofo Siegfried Kracauer che legavano le idee più fantasiose alla terra più ferma». Queste cravatte antipartitocratiche, libertarie, antiproibizioniste, quando non stanno al suo collo «dormono e fanno sogni allegri». Dice: «Sto attento al corpo». Vanità? «Rispetto».
Nella soffitta che «è di Mirella: io ci sto e lei paga le tasse», sotto il ritratto del prozio monsignor Giacinto e tra mille ingombri, fumiamo i toscanelli, «70 al giorno» che sono alla grappa, e dunque Bacco impedisce al tabacco di puzzare: il fumo diventa pro-fumo».
Alla trattoria Il Lucano ordina melone: «Mangio melone quando lo sciopero della fame non è totale». Ammiccando, il cameriere infila 20 grammi di prosciutto. Pannella, ricambiando l’ammiccamento, finge di non accorgersene.
Tra i tanti che lo salutano – «Pannella, mi raccomando, mangia» – uno gli acchiappa le mani: «Sei il solo che con la politica invece di arricchirti ti sei impoverito». Risponde: «Il solo? Non credo». E allora proviamo, senza fortuna, a trovarne altri: «Forse Berlinguer». Pannella ha venduto tutto: «A Teramo, tra case e terreni, avevamo dieci proprietà». E a Roma? «Due appartamenti».
Non vedevo Pannella dal 2013, quando, ricoverato, pareva in fin di vita. Mi dà piccoli pugni sulle braccia, qualche pizzico, una carezza sulla guancia. Con il Dalai Lama, nell’ultimo incontro, si sono toccati per più di mezzora: «Se fai qualcosa che non mi piace vengo a Roma e ti do un morso», gli ha detto il capo del Buddismo tenendogli la mano come quei vecchissimi ragazzi di Françoise Hardy che «font ensemble des projets d’avenir, les yeux dans les yeux/ et la main dans la main». Radicali anche loro.