Guido Santevecchi, La Lettura 1/11/2015, 1 novembre 2015
I sedili posteriori di un taxi di Londra non sembrano il luogo più adatto per realizzare un’opera d’arte
I sedili posteriori di un taxi di Londra non sembrano il luogo più adatto per realizzare un’opera d’arte. Ma è successo anche questo. Era una notte del 2002, una famosa modella sussurrò a un uomo molto anziano che le sedeva accanto: «Continuo a sentir dire che fai tatuaggi. Di che si tratta?». «Vieni», rispose lui e con un bulino e dell’inchiostro le disegnò poco sopra il fondoschiena due rondinelle. La modella era Kate Moss e l’incisore Lucian Freud (1922-2011), l’artista britannico più importante della seconda metà del XX secolo. Freud aveva imparato la tecnica dei tatuaggi quando a 19 anni, durante la guerra, era marinaio su un mercantile che percorreva le rotte pericolose dell’Atlantico. «Tu che sei un fottuto artista — dicevano i compagni a bordo — facci un tatuaggio». Qualche àncora, nomi di donne amate, «a volte facevo animali, per lo più cavalli». Le prime opere di un pittore che quando fu finalmente scoperto dalla critica vendeva le sue tele per milioni di sterline, come Benefits Supervisor Sleeping , che nel 2008 uscì dai cataloghi d’arte per dominare le prime pagine dei quotidiani finanziari: fu venduta per 33 milioni di dollari a un’asta di Christie’s a New York, stabilendo il nuovo record mondiale per un artista vivente. Fece un ritratto anche a Kate Moss, che posò nuda e incinta sul suo divano per mesi. Il tatuaggio e cento altre storie sulla vita spericolata di Lucian Freud sono disseminati come in una sceneggiatura da film d’azione in Colazione con Lucian Freud , biografia scritta da Geordie Greig (Mondadori). Greig è un Old Etonian, diplomato al college dell’élite britannica, oggi dirige il «Mail on Sunday», tabloid della middle class. A Freud non piacevano le vie di mezzo, o l’aristocrazia o i bassifondi, la borghesia no. Così, la prima volta che il giornalista chiese un colloquio, Freud gli rispose: «La sola idea di darle un’intervista mi fa venire la nausea». Sempre meglio di quello che successe ad altri due aspiranti biografi: uno, alla metà degli anni Novanta, era stato autorizzato, ma all’ultimo Freud lo bloccò, pagandogli una bella somma come liquidazione. Si era reso conto di non poter sopportare che la gente conoscesse tanti particolari intimi della sua esistenza. Un altro scrittore, che stava facendo ricerche, una mattina ricevette la visita di un paio di gangster dell’East End londinese che lo sconsigliarono caldamente dal proseguire. Come faceva Lucian Freud, nominato Companion of Honour della Regina (CH) e Order of Merit (OM), a disporre dei servizi di criminali comuni? Semplice: oltre ad essere un pittore umanista era interessato all’umanità sotto tutte le forme. Scommetteva forte. E perdeva, così navigava nel mondo anche violento degli allibratori. Spesso pagava i debiti di gioco con i suoi quadri. Era nato a Berlino nel 1922, nipote di Sigmund Freud, figlio di ebrei costretti a fuggire dal nazismo. A Londra fu iscritto a molte scuole e frequentò poche lezioni. Gli piaceva disegnare, ma il padre architetto non voleva che inseguisse il sogno dell’arte. E questa opposizione naturalmente spronò il ragazzo verso la pittura. Altrimenti «sarei diventato un fantino, l’altra carriera a cui pensavo». I cavalli erano una passione, Lucian li ha montati e dipinti per tutta la vita: «Sento con i cavalli, con tutti gli animali, un legame quasi più forte che con gli esseri umani». E fu con la sua unica scultura Three-legged Horse ( Cavallo a tre zampe ) che ottenne di essere ammesso alla scuola d’arte a Londra. Perché una zampa di meno? «Ero rimasto senza pietra», rispose Lucian. Niente di psicoanalitico, in apparenza, dietro quella scelta del cavallo amato e mutilato. Lucian teorizzava che la psicoanalisi conduce alla paralisi. Però ricordava con affetto il grande nonno Sigmund che analizzava l’inconscio. «Oh sì, la sua compagnia mi piaceva moltissimo. Non era mai noioso. Mi raccontava barzellette». Ci sono più ristoranti che gallerie d’arte in questa biografia. La chiave è nel titolo: le conversazioni che l’hanno resa possibile si sono svolte a colazione. Un rito del sabato mattina che Lucian adorava e al quale tra il 2002 e il 2011 fu ammesso Greig. Quei breakfast si svolgevano da Clarke’s, in Kensington Church Street. In quello spazio tranquillo di Notting Hill, l’artista ormai anziano e celebrato, parlava di tutto: dai tempi lontani quando usciva con Greta Garbo, all’odio di Ian Fleming che lo credeva amante della moglie, al modo migliore di sferrare un pugno senza rompersi il pollice. E i lettori che hanno un po’ di consuetudine con Londra ci si ritroveranno: c’è un anglofilo che non desideri fare il breakfast a Notting Hill, pranzare da Wolseley in Piccadilly e cenare da Bibendum? Per Freud era la routine. Geordie Greig indica anche il tavolo preferito del Maestro da Wolseley: il 32, in un angolo, ma a volte il 25, più vicino all’ingresso. La cucina del ristorante non è eccezionale, ma ci si va per l’atmosfera. Freud «amava i cibi che potevano provenire dalle proprietà di campagna dei suoi amici aristocratici, come fagiani e pernici». In più di un’occasione diede spettacolo: una volta «tuonando con ostilità verso un tavolo vicino: quell’uomo legge il “Daily Mirror”». Quel lettore del tabloid laburista, per la cronaca, ne era il direttore Richard Wallace, che poi raccontò di essere stato troppo terrorizzato dal vecchio per sostenerne lo sguardo. E fece bene a incassare senza replicare, perché un’altra volta Freud, infastidito da un tale che stava fotografando con il flash, gli tirò dei grissini e poi si alzò per la rissa: aveva 84 anni e il suo avversario 40 di meno. Un’altra volta al Cuckoo Club fece a botte con il Signore di Cawdor, alle 4 del mattino: «Lucian lo colpì in piena faccia, dopodiché si sedettero a bere e fumare un sigaro insieme». Ci sono anche più amanti e scazzottate che opere d’arte in questa biografia. D’altra parte, i capolavori di Freud ci sono rimasti, mentre i suoi ricordi si sarebbero persi. Emerge che il pittore andò a letto con la maggioranza delle sue modelle (che furono circa 500). Non è certo il numero dei suoi figli, anche se ne ebbe due dalla prima moglie e ne riconobbe una dozzina avuti da diverse fidanzate. Il racconto ha deluso il critico del «New York Times», ma probabilmente Freud, se l’avesse letto, si sarebbe divertito. L’accordo però era che il materiale sarebbe stato pubblicato solo dopo la sua morte. E Greig ha mantenuto il patto. Forse anche per non ricevere la visita di un paio di gangster dell’East End.