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 2015  ottobre 27 Martedì calendario

RUGBISTA IN CARRIERA


Ci sono diversi motivi per praticare un certo sport. Christian Benetton, 44 anni, figlio di Carlo, seconda generazione rampante nell’omonimo gruppo, ha imparato a giocare a golf soltanto per amore. Buona golfista era la sua futura moglie e lui, ruvido ex rugbista, s’è prontamente adeguato, contribuendo anche a indirizzare in un certo modo il suo destino professionale.
Presidente di Olimpias, braccio dell’universo Benetton che cura elaborazione e tintura di materie prime per abbigliamento e produzione capi, dallo scorso gennaio è anche vicepresidente di Verde Sport, società che copre il ramo sportivo del gruppo e cioè il rugby professionistico con la squadra bianco-verde di Treviso, le attività sociali de La Ghirada e l’Asolo Golf Club, rinomato 27 buche che ospita tornei ed eventi.

Golfista sui campi e alla scrivania con dietro una storia singolare, dunque.
«A Roma nove anni fa ho incontrato Carola, professione tributarista, amica di mia cugina Sabrina, e non ci siamo più lasciati. Lei mi ha seguito in Veneto e io ho ricambiato prendendo lezioni di golf. Oggi ho un 19 di handicap che migliorerei se avessi più tempo, Carola è ora mia moglie e abbiamo tre figlie di otto, sette e sei anni».
Future golfiste?
«Per ora sci, tennis, danza, ma spero che crescendo scelgano uno sport di squadra».
Vuol dire che gli sport individuali sono noiosi?
«No, ma io ho sempre amato quelli collettivi. Il golf è bello ma giochi soltanto contro te stesso, anche se riconosco che mi ha insegnato autodisciplina».
Ma batte ancora un cuore rugbista?
«Ho giocato a rugby fino a 17 anni, nelle giovanili della Benetton, in ruoli di sacrificio e contrasto fisico. È uno sport stupendo che insegna correttezza e rispetto delle regole. Poi ho mollato: dovevo decidere che fare da grande».
Titolare nelle giovanili per talento o per il nome?
«Alla lunga nello sport giochi se vali. Il nome non garantisce il posto in squadra, fra l’altro nei primi anni ho preso anche tante botte dagli avversari proprio perché sapevano chi ero!».
Non le capita di sognare ancora, magari senza botte, di fare qualche meta?
«No, ma mi è rivenuta voglia di tornare in campo, magari provando con il touch rugby, dove non ci si butta sull’avversario ma ci si limita a toccarlo».
E mete in campo professionale?
«Sono concentrato sulle mie responsabilità, a cominciare da Olimpias, nata negli anni Ottanta come fornitore esclusivo di Benetton e che ora, con 2.500 dipendenti diretti, e altri 17 mila indiretti, fattura 400 milioni di euro. Due terzi del fatturato lo ricava da Benetton, un terzo da altre aziende. Poi c’è lo sport...».
Sport inteso come lavoro?
«Certo. L’impegno in Verde Sport, presieduto da mio zio Gilberto, ha diverse facce professionali ma noi teniamo molto anche a quelle sociali con La Ghirada, la città dello sport di Treviso, 220 mila metri quadri aperti gratuitamente 365 giorni l’anno, dove da quattro anni ci occupiamo d’attività motoria nella prima infanzia. Poi c’è il piano di diffusione in tutto il Veneto di basket, volley e rugby. E ci inorgoglisce anche il master, nato in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, in Strategie per il business dello sport, che prepara i futuri «quadri» del sistema sportivo».
L’abbigliamento, United Colors of Benetton e Sisley, rappresenta il 20 per cento del fatturato: ridimensionamento irreversibile?
«Negli anni il gruppo ha differenziato con autostrade, aeroporti, autogrill, compagnie agricole eccetera, l’abbigliamento però resta la nostra storia, la rivoluzione che, a partire dalla tinteggiatura dei capi, ha cambiato le regole di produzione. Continua a essere fondamentale».
Cos’è per lei lo stile Benetton e qual è il suo stile personale?
«Lo stile Benetton è casual e colorato. Ed è il mio stile: non sono trendy, mi piace stare comodo e amo i pantaloni vistosi, verdi o gialli, in ogni stagione».
Niente abiti formali?
«Li uso poco. In consiglio d’amministrazione basta la giacca».
Nei suoi otto anni americani ha lavorato anche per un’azienda di software. Che rapporto ha con rete e social network?
«Mi arrangio... L’esperienza americana è stata importante: adoro Boston, meno New York perché devi vivere sempre al 100 per cento e ti consuma».
Seguiva anche lo sport Usa?
«Tifavo per i Boston Bruins nell’hockey: lì si menano di brutto!».