Sara Faillaci, Vanity Fair 28/10/2015, 28 ottobre 2015
I DURAN DURAN SONO TORNATI. PARLANO DI AMORI, DI DROGHE E DI MUSICA. MA ANCHE DI ANDY TAYLOR CHE A NICK RHODES NON MANCA PER NIENTE
Londra, ottobre 2004
È vero che ha scelto sua moglie sfogliando un book di modelle?
«Vero. Mi colpì la felicità nel suo sguardo. Pensai: “Questa è la ragazza che voglio vedere ogni mattina accanto a me quando apro gli occhi”».
Lei è sposato felicemente da 30 anni. Come si fa?
«Ci vuole l’amore. Se quello svanisce, tutto si raffredda velocemente: ci sono matrimoni che durano una vita e che però sono come una stanza gelida e buia. Bisogna impegnarsi per mantenere viva la fiammella. E comunque, per quanto ti sforzi, ci saranno sempre i momenti bui. La cosa che più ti aiuta a superarli è la volontà di rimanere sposati. Io e Yasmin siamo all’antica: se ti sei fatto una promessa, la promessa va mantenuta».
Così parla d’amore Simon Le Bon. Diretto, senza fronzoli, quasi inconsapevolmente profondo. Come i bambini, come i testi di tante delle sue canzoni.
Mi aveva colpito per questo già nel 2004, la prima volta che lo incontrai, emozionatissima (mi autodenuncio: conservo nel cassetto un suo poster, scolorito dagli anni passati sul muro di camera mia). Oggi, a 57 anni (compiuti il 27 ottobre, ma non li dimostra), emana la stessa intensità e sincerità sentimentale che gli ha permesso di affrontare una vita di montagne russe, e che è anche, probabilmente, il segreto di una carriera così longeva.
Sulla scena da quasi quarant’anni (37 per la precisione) come frontman dei Duran Duran, la band che ha venduto 100 milioni di dischi, segnato gli anni Ottanta e incarnato il genere New romantic, poco più che ventenne era già l’uomo più desiderato del pianeta, l’idolo delle folle e di Lady Diana. A 27 anni, contro ogni cliché, sposò la modella iraniana Yasmin Parvaneh, e ci fece tre figlie (Amber Rose, 26 anni, Saffron Sahara, 24, Tallulah Pine, 21). E proprio nella famiglia trovò un’ancora quando, alla fine del decennio, iniziò la crisi artistica.
L’album appena uscito, Paper Gods, è figlio di un percorso iniziato undici anni fa, ai tempi della mia prima intervista, quando Simon riunì i Fab Five originari (oggi sono quattro: Andy Taylor è uscito nel 2006) e chiamò a raccolta i migliori produttori e musicisti (per questo disco: Nile Rodgers, Mark Ronson, Mr Hudson, John Frusciante, Kiesza, Janelle Monáe). Una capacità di rimettersi in gioco che ha premiato: Paper Gods è stato il primo album dei Duran a entrare nella Top Ten americana dal 1993, e ha raggiunto addirittura il numero 2 in Italia, dove agli Mtv Europe Music Awards, proprio in questi giorni, la band famosa per aver rivoluzionato il video ha vinto il Video Visionary Award.
L’Italia, del resto, è da sempre il Paese che li ama di più. In tre giorni a Milano, hanno oscurato con la loro Pressure Off i concorrenti del primo live di X Factor, attirato al Grand Hotel et de Milan (dove sono state scattate le nostre foto) orde di fan – ieri ragazzine isteriche accampate fuori, oggi ultraquarantenni che possono permettersi una consumazione al lussuoso bar dell’hotel nella speranza di un avvistamento e di un autografo, accompagnate da figlie fan pure loro ma imbarazzate dalle reazioni scomposte delle madri – e fatto sgolare tutta piazza Duomo durante il concerto gratuito organizzato da Mtv.
Incontro prima Nick Rhodes, 53 anni, tastierista e mente del gruppo, e John Taylor, 55 anni, bassista, il bello di sempre.
Com’era il vostro rapporto con le donne?
Nick: «Ognuno di noi attirava tipologie diverse. A me interessavano le intellettuali, quelle con cui parlare di arte. John era più nel mondo di 007: guidava una Aston Martin, usciva con Bond girl
(Janine Andrews di Octopussy, ndr)».
John: «Dopo però ho cercato qualcosa di più profondo: complicità, amicizia (dopo una relazione con Renée Simonsen si è sposato due volte, ha una figlia di 23 anni, e vive a Los Angeles con la seconda moglie Gela Nash, fondatrice della casa di moda Juicy Couture, ndr)».
Il suo, Nick, è sempre stato un sex
appeal ambiguo.
N: «Ci ho giocato per una questione di immagine, ma sono sempre stato attratto solo dalle donne (dopo aver sposato un’ereditiera americana, da cui ha avuto una figlia oggi ventinovenne, sta con l’italiana Maria “Nefer” Suvio, 35 anni, ndr). Piacevamo alla comunità gay, certo. Ma credo che non esista al mondo una band più amata dalle donne».
J: «Già era difficile gestire le donne, mancavano solo gli uomini».
Andy Warhol aveva un debole per voi.
N: «Quando lo incontrammo eravamo emozionatissimi perché eravamo cresciuti nel suo mito».
J: «Lui ci scattò una foto e ci chiese l’autografo».
N: «Un’esperienza surreale. Poi però siamo diventati amici. La sua morte è stato un
dolore».
Quanto ha pesato, nella vostra vita privata, il fatto di essere i Duran Duran?
N: «Noi respiriamo, mangiamo, dormiamo Duran. Non è un lavoro che fai dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio, non è possibile separare la musica dalla vita. Siamo una piccola famiglia».
J: «Negli anni Ottanta la musica ci assorbiva completamente, era impensabile per noi una relazione. Poi
Simon ci mostrò che era possibile. Ci parlava di vacanze con la sua famiglia e noi, dipendenti dal lavoro come eravamo, lo guardavamo: vacanze? Ma lui e Yasmin stanno ancora
insieme. Sono stati un’ispirazione per noi».
Lei, John, ha vinto una battaglia contro la droga: come?
«Sono stato fortunato. Ho incontrato le persone giuste al momento giusto, specialisti che mi hanno rimesso in carreggiata».
Rimpianti?
J: «Non direi, perché sono felice di quello che sono diventato, e per questo posso guardare con serenità al passato: ogni deviazione è servita a raggiungere il traguardo di oggi. Quell’epoca per me è una breve parentesi in una vita straordinaria».
N: «Deve capire che a noi è mancata una giovinezza normale, a 18 anni eravamo già in tour. La mia personale fragilità era un’altra: soffrivo d’insonnia. Per anni non ho dormito».
Niente droga?
N: «Ovviamente in quegli anni eravamo tutti sulla stessa barca. Ma dopo il mio ventunesimo compleanno a New York, allo Studio 54, ho detto: mai più, non fa per me».
Chissà che festa.
N: «Non mi invidierebbe, se fosse stata in me il giorno dopo. Sono immensamente grato alla vocina interiore che mi ha detto di smettere in quel momento: ho visto troppa gente rovinarsi con la droga».
Popstar a vent’anni e a cinquanta: che differenza c’è?
J: «A cinquanta è più divertente: c’è più consapevolezza».
N: «I social media. Sono così grato di non averli avuti negli anni Ottanta: penso alla vita che deve fare oggi un giovane artista – aggiornare profili, rispondere a domande, un inferno – e mi dico che non ce la farei».
Paper Gods, dei di carta, è una canzone sul materialismo imperante: siete diventati impegnati?
N: «Non è una canzone politica, ma analitica: osserviamo, più che giudicare. Non credo alle popstar che fanno
politica: hanno sbagliato mestiere. I Duran hanno sempre cercato una interpretazione positiva del mondo, a volte partendo dall’osservazione delle cose brutte,
come in questo album».
Nick, ci parli dell’italiana con cui è
fidanzato.
«Siciliana, per la precisione. Ci siamo conosciuti a Roma, grazie a lei so un po’ di italiano, ma purtroppo parla
inglese benissimo quindi non faccio molta pratica. Vive a Londra con me».
Lavora?
J: «Guardi che stare con Nick è già un superlavoro».
N: «Vero. Ma è curatrice di mostre.
Bravissima».
Vi manca Andy Taylor?
N: «A me, personalmente, no. Penso che abbia un incredibile talento, ma
come persona non l’ho mai amato».
Si inserisce nel discorso Roger Taylor, il più silenzioso del gruppo, l’unico che per un periodo ha chiuso con la musica, e ha sperimentato l’agricoltura («Mi manca quella solitudine»).
Roger: «Quando Andy è andato via, qualcosa si è perso, un’energia. Quell’energia che abbiamo ritrovato grazie al contributo di nuove collaborazioni».
Arriva Simon e ruba la scena.
Simon: «Certo che mi manca Andy, mi manca ogni giorno. Ma non avrebbe retto il lavoro durissimo che abbiamo fatto in questi anni. Non ha il fisico, non ha la voglia. Per sfondare bisogna essere affamati».
Alcune delle strofe di Dancephobia sono recitate da Lindsay Lohan. Come è andata?
«Eravamo ospiti di un programma Tv a New York. Ci stanno truccando quando lei arriva e fa: “Sono una fan. La settimana scorsa sono andata a una festa mascherata e mi sono vestita da Simon Le Bon”. Il più bel complimento che potesse farmi».
Sposatissimo e sex symbol: la ricetta qual è?
«Puoi giocare, ma alla fine paga la sincerità. Provare a fingersi diversi da quello che si è – da giovane lo facevo – non funziona. Le donne ti apprezzano se sei naturale, e divertente».
Tra voi chi ha sopportato di più?
«Yasmin. Perché io sono un uomo e gli uomini sono più inquieti delle donne, più disfunzionali. Lei ha avuto pazienza, capacità di perdonare. Mi ha insegnato tanto».
Come avete educato le vostre figlie?
«Con regole e confini che non si possono superare. Ma non ho mai dato uno schiaffo. L’autorità in casa è Yasmin, io rappresento l’imprevedibile».
Com’è la vita con quattro donne?
«Meravigliosa. Io le amo, loro amano me».
Geloso dei fidanzati?
«No, aperto. Anche perché non mi atteggio a rockstar, sono semplicemente me stesso. Non recitare, nella vita, aiuta a vivere con meno stress».
La maggiore, Amber, fa la modella. Che ne pensa?
«Mi preoccuperei se facesse solo quello: non voglio che abbia un’immagine di sé basata solo su ciò che pensano gli altri. Ma Amber fa anche la deejay, e non si prende troppo sul serio. Sta crescendo, con i suoi tempi».
Lei non ha mai avuto paura di mostrare il suo lato femminile.
«La distinzione rigida tra uomini e donne è solo una semplificazione: la realtà è che siamo tutti un mix, e noi Duran siamo felici di essere stati tra i primi a mostrarlo. Gli insicuri hanno bisogno di appartenere a un gruppo, chi è sicuro di sé ha il coraggio di sperimentare con la sua immagine».
Femminile lo è ancora oggi, penso mentre lo guardo, sul palco di piazza Duomo, fare quelle stesse mosse su cui da ragazzina con il videoregistratore facevo il fermo immagine. Ma anche super sexy. Quando si leva il giubbotto optical e si apre la camicia nera sul petto, tra ragazze nate negli anni Settanta ci guardiamo e concordiamo: è ancora il più figo di tutti.