Federico Fubini, Corriere della Sera 26/10/2015, 26 ottobre 2015
DECANI E NUOVE GENERAZIONI. LA MANOVRA CHE DIVIDE GLI ECONOMISTI ALLA BOCCONI
Dalla sua fondazione nel 1902 l’Università Bocconi non ha mai ambito a diventare un partito. Non ha mai cercato un proprio pensiero unico o omogeneo, se non sui valori di fondo dell’economia di mercato o del progetto europeo. Ma ieri quando il suo presidente Mario Monti (a titolo personale) ha concluso la sua mezz’ora sulla legge di Stabilità con Lucia Annunziata su Rai 3, era difficile resistere alla tentazione di vedere nella Bocconi anche qualcos’altro: una linea di punti distribuiti di traverso fra due rette incrociate.
Forse è la nemesi perfetta per degli economisti abituati a tradurre (quasi) tutto in numeri, finire ingabbiati in una formula. Ma se i docenti del più prestigioso ateneo d’Italia fossero punti in un grafico, ne emergerebbe quella che in questa fase ha tutta l’aria di essere una tendenza: più è bassa l’età dell’economista bocconiano, più risulta elevata l’intensità del suo sostegno al governo di Matteo Renzi e il suo coinvolgimento in esso; più è lontana la sua data di nascita, più diventa probabile che il docente si dimostri critico almeno sulla legge di Stabilità. Nell’università che da sempre è una riserva intellettuale della Repubblica, inizia a emergere di fronte al governo quella che sembra una linea di faglia fra le generazioni.
Il fallimento di tutti i modelli matematici nel prevedere la Grande recessione dovrebbe indurre cautela sul potere delle formule. E Monti, a 72 anni uno dei decani dell’ateneo, è sicuramente molto lontano dal prendere le parti dei propri coetanei: di recente al Corriere ha detto che una manovra pensata per creare consenso danneggia soprattutto i giovani, quelli che dovranno pagare domani per i deficit di oggi. Eppure i punti in questo grafico immaginario si distribuiscono con una certa regolarità. Il 17 ottobre Guido Tabellini, 59 anni, ex rettore della Bocconi, già candidato al posto di ministro dell’Economia di Renzi, ed economista di affiliazione italiana più influente al mondo, ha affidato al Sole 24 Ore parole severe: «Il rientro dal debito può aspettare», ha scritto, ma gli italiani potrebbero scoprire «di dover pagare un prezzo elevato in futuro». Tra l’altro, anche Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (58 e 66 anni), bocconiani benché con cattedre rispettivamente a Harvard e al Massachusetts Institute of Technology, hanno espresso in un editoriale sul Corriere dubbi sull’efficacia della manovra nel sostenere la ripresa.
Man mano che si scende con l’età, l’approccio dei bocconiani verso la Legge di stabilità sembra cambiare. Roberto Perotti e Tito Boeri hanno molto che li differenzia nella visione del mercato, nel quale il primo crede più del secondo. Ma hanno anche punti in comune: l’età (54 anni Perotti, 57 Boeri), e il fatto che siano stati entrambi chiamati da Renzi a collaborare in ruoli leggermente defilati: presidente dell’Inps Boeri, consigliere per la revisione della spesa Perotti. E di entrambi non è un mistero il disagio dopo il varo della manovra: Boeri avrebbe voluto più coraggio sulle pensioni, Perotti non apprezza una spending review senza ambizione (ma le sue dimissioni per ora non sembrano più all’ordine del giorno).
Più giù si scende con l’età dei bocconiani, più aumenta invece il consenso, il coinvolgimento e l’impegno nel governo. Tommaso Nannicini, 41 anni, anche lui consigliere economico di Palazzo Chigi, ha ricevuto pubblicamente il riconoscimento del premier per il suo contributo alla manovra. Progetti come gli incentivi alle partite Iva o le 500 cattedre per il rientro dei cervelli, inclusi nella legge di Stabilità, vengono da un gruppo di economisti formati o ancora attivi nella Bocconi e tutti 40enni. Oltre a Nannicini stesso, Maurizio Del Conte (50 anni) e i due docenti della Statale di Milano ma laureati in Bocconi Marco Leonardi (43) e il suo coetaneo Stefano Sacchi. Anche Vincenzo Galasso (48), docente di Scienza delle finanze alla Bocconi, sembra sul punto di entrare in questo gruppo a Palazzo Chigi.
Non è la prima volta che questa università esprime approcci diversi su un governo: Tabellini e Boeri criticarono persino Monti, quando il premier era lui. E lo stesso Tabellini oggi avverte: «Più che le differenze fra generazioni, contano i ruoli diversi: è normale, e positivo, che un premier 40enne voglia dei coetanei come collaboratori. Ma forse sul deficit o sul debito non la pensiamo in modo molto diverso». Fra i più giovani invece si sottolinea anche il maggiore pragmatismo di chi non ha ancora investito il proprio nome per decenni su una certa idea. Forse i più anziani hanno impressi i deficit dagli anni ’70 e i traumi finanziari del ’92 e ’95, non solo il 2011-2012. E i più giovani riflettono inconsciamente un mondo nel quale le banche centrali sono disposte (per ora) a finanziare debito pubblico per migliaia di miliardi. Certo da sempre in Italia le generazioni si confrontano, solo che stavolta lo fanno a ruoli invertiti: il potere ai giovani; l’opposizione — culturale — per gli altri.