Pietro Minto, Corriere della Sera - La Lettura 25/10/2015, 25 ottobre 2015
IL DIGILANTE
Einar Otto Stangvik è un giovane norvegese, esperto di computer per conto del «Verdens Gang», un tabloid locale. Il suo ruolo non è prettamente giornalistico o informatico, si colloca nell’intersezione tra le due aree: un abile tecnico prestato alle cause civili. Un supereroe di internet, qualcuno l’ha definito. O, meglio, un «digilante», neologismo che lega il concetto di vigilante al mondo digitale, e negli ultimi anni ha finito per definire una nuova leva di utenti internet devoti a una causa, al bene comune.
La causa scelta da Einar Otto Stangvik è la lotta alla pedopornografia online, ovvero la circolazione di contenuti illegali su internet, scaricabili da una rete di siti pirata organizzati in un far west di abusi e violenze. Per dieci mesi, il norvegese ha osservato migliaia di persone scaricare da internet file con nomi molto chiari ed espliciti e descrizioni di atti osceni tra adulti e minorenni. In 95 mila hanno risposto alla sua «chiamata», scaricandoli nel proprio computer. C’era solo un problema: era stato Stangvik a caricare online quel materiale. Quei file erano delle esche.
Il risultato di questa caccia è finito in un lungo speciale pubblicato da «Verdens Gang», i cui giornalisti hanno potuto incontrare alcune delle persone «incastrate» dalla trappola del giovane esperto informatico. Le loro reazioni — panico, diniego, cancellazione totale dei file, persino un computer gettato nell’oceano — ci dicono molto sulla percezione del traffico di dati su internet da parte di molti, ma ha anche permesso alla testata di ottenere una cruda panoramica della pedopornografia online: un traffico informatico diffuso soprattutto in Occidente con la Germania in testa alla classifica (18.107 download), seguita da Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Giappone (sono stati 2.364 i download in Italia).
Stangvik e le sue esche informatiche non rappresentano un’anomalia: da tempo la figura del «digilante» è piuttosto radicata nella cultura del web, eppure in questi ultimi mesi si sta evolvendo e maturando. Come ogni giustiziere mascherato, il «digilante» nasce in reazione a un sopruso, in questo caso la diffusione delle truffe, e può avere vari obiettivi che oscillano tra lo svelamento del colpevole alla semplice vendetta personale. In uno studio sul fenomeno pubblicato nel 2007 da un’università finlandese, si parla per esempio dello scam baiting , un tipo di reazione uguale e contraria alle truffe online: «L’anonimato online funziona in entrambe le direzioni», scrivono gli autori Lauri Tuovinen e Juha Röning, e le vittime di un abuso possono quindi sfruttare le stesse tecniche dei truffatori per scoprire i colpevoli, far loro scucire il maltolto o pubblicare le loro identità. Il tutto si basa sul baiting , ovvero la creazione dell’esca giusta: per una catena di mail fraudolenta può essere una nuova mail fraudolenta; per un circuito di pedopornografico, un film con il titolo giusto.
A volte però l’esca non basta e il «digilante» deve usare le sue capacità da hacker: è successo lo scorso luglio quando l’azienda italiana Hacking Team — che vende in tutto il mondo programmi per la sorveglianza e lo spionaggio — è stata colpita da «Phineas Fisher», anonimo hacker che ha pubblicato 400 gigabyte di documenti privati della società, rivelandone collegamenti con i governi di alcuni Stati come Azerbaijan, Kazakistan, Bahrein e Arabia Saudita. L’attacco non sembra essere motivato dalla ricerca di un tornaconto personale per «Phineas Fisher» né dalla sete di vendetta: è il lavoro di uno smanettone prestato a una causa politica, una figura che ritroviamo anche nella serie tv Mr. Robot , che quest’anno ha avuto un grande successo di pubblico e critica.
Sono azioni grandi o piccole dal respiro globale che possono anche arrivare a mettere nel mirino l’Isis, come fa «GhostSec», un collettivo di hacktivist (altra crasi, questa volta tra hacker e attivista) specializzati in «contenuti di estremisti islamici». Attivo da qualche mese, il gruppo sostiene di aver attaccato 130 siti affiliati allo Stato Islamico. Addirittura, ha raccontato l’«Atlantic», «GhostSec» avrebbe sventato un attentato a un mercato tunisino passando le informazioni che aveva ottenuto sull’attacco a una società privata specializzata locale, Kronon Advisory (uno dei suoi fondatori ha confermato questa versione dei fatti). A capo di questi «digilanti» anti-Isis c’è un tale «Mikro», un anonimo hacker europeo che ha fatto di questa battaglia la sua ragion d’essere: sconfiggere l’Isis comodamente da casa.
La tendenza al dilettantismo è uno dei principali rischi di un movimento simile: il fatto che chiunque possa — o così sembra — declinare le proprie capacità informatiche per una causa sociale o politica ha spinto molte persone a provare il mantello da supereroe di internet. Nelle ore successive all’attentato di Boston del 2013, quando due terroristi fecero esplodere ordigni durante la maratona cittadina, il sito Reddit si riempì di utenti convinti di poter trovare i colpevoli. Risultato: centinaia di immagini con frecce e cerchi a indicare «individui sospetti», persone qualunque inserite nella lista dei colpevoli solo perché dall’aspetto vagamente mediorientale. Alla fine la polizia — quella vera — trovò i colpevoli: erano due fratelli caucasici ceceni, Dzhokhar e Tamerlan Tsarnaev.
Abbiamo detto di Einar Otto Stangvik e del team di giornalisti che lo hanno assistito nel suo lavoro. Ma c’è anche Adam Steinbaugh, avvocato prestato alla lotta contro il revenge porn , materiale pornografico registrato di nascosto e pubblicato online per vendetta personale da parte di un ex partner. O, per tornare in Scandinavia, il giornalista svedese Robert Aschberg, autore di una «caccia al troll» televisiva in cui incontra utenti razzisti e abusivi, confrontandosi con le loro motivazioni. Tutti esempi che ci dimostrano come il «digilante» può fare del bene quando è controllato.