Maurizio Porro, Corriere della Sera 27/10/2015, 27 ottobre 2015
I 25 ANNI SENZA TOGNAZZI
Siamo orfani inconsolabili della commedia all’italiana e Tognazzi, morto senza preavviso, come dissero i figli, la notte del 27 ottobre 90, mentre curava la depressione col Teatro, era stato il massimo non eroe di quella galleria di italiani segnati dalle furberie di chi corre verso la piccola borghesia nascondendo inconfessabili complessi, come aveva intuito, tra api regine e grandi abbuffate e controsessi, Marco Ferreri. Tragedie, farse, commedie di uomini ridicoli e paradossali, piccoli mostri quotidiani che insegnano al figlio come fregare il prossimo. Unico settentrionale (cremonese come il torrone) con voce nasale fra i colonnelli della gran commedia, Tognazzi era cresciuto nel lavoro d’équipe della rivista dividendo la passerella e poi il video con Vianello, come poi amerà il film di gruppo (Amici miei), facendo spesso a metà con l’aristocratico Gassman. Non rifiuterà partecipazioni da non protagonista: il comico di Io la conoscevo bene , l’anarchico di Il padre di famiglia, il sarto sordomuto di Straziami ma di baci saziami, il cardinale di In nome del Signore. Capace di perdere la moglie al gioco (Alta infedeltà), aveva coraggio per accettare ruoli scomodi: chi poteva giurare su Il federale e che Il vizietto sarebbe stato un best seller? Tognazzi non si tirava mai indietro, accettava registi deb, si misurava egli stesso dietro la cinepresa senza deludere, fu primo trans gender di nome Madame Royale, il primo scambista in Cuori solitari. Resta quello sguardo magnificamente inespressivo, suo copyright, che è la cosa più difficile per un attore intelligente ma che pesca nella meschineria all’italiana, completa anche di una certa pìetas che poi traduceva, complici i classici piaceri (già mania della cucina, in anticipo) in ilarità, simpatia e complicità.