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 2015  ottobre 27 Martedì calendario

LA PARTITA CHE SI GIOCA SULLA TESTA DI TELECOM – C’é

un russo, un brasiliano e un francese e tutti quanti guardano a un italiano, mentre uno spagnolo fa da spettatore. Ma non è una barzelletta, bensì una storia che rischia di diventare seria. Il russo è Mikhail Fridman, patron di Vimpelcom che in Italia controlla Wind, che si è fatto avanti in Brasile come sensale interessato alle nozze tra Oi e Tim Brasil.Industrialmente un’operazione che potrebbe sprigionare sinergie per oltre 7 miliardi di euro e che, se fossero dissolte le incognite che pendono sul “campione nazionale” dalle finanze d’argilla, potrebbe rivelarsi anche un ottimo affare sotto il profilo finanziario. Fridman, vocato alla finanza, l’affare l’ha fiutato tanto più che, se l’operazione andasse in porto, sarebbe lui ad avere la parte del leone, entrando sul mercato brasiliano delle comunicazioni da “padrone” del primo gruppo nazionale per dimensioni, sia nel mobile (con Tim Brasil che è già il secondo player del comparto) sia nel fisso (dove comunque Oi ha ancora molto da lavorare).
Il brasiliano è Btg Pactual, l’aggressiva banca d’affari, advisor e azionista di Oi, che le ha pensate proprio tutte.
Due anni fa Btg Pactual stava lavorando all’ipotesi di “spezzatino” di Tim Brasil che sarebbe stata spartita tra i concorrenti su piazza: appunto Oi, Claro-Slim e Vivo-Telefonica. Poi si era parlato dell’acquisizione della controllata di Telecom Italia da parte di Oi, velleitaria e improbabile nelle condizioni di finanza stressata in cui versava (e versa tuttora) il “campione nazionale”. Quindi si era giunti a più miti consigli, con la disponibilità a discutere una fusione con Tim, accettando - apparentemente - anche l’idea di una maggioranza italiana. E ora Btg trasmette il messaggio del cavaliere bianco-nero russo, che in cambio del controllo è disposto ad aprire i cordoni della Borsa, mettendo sul piatto 4 miliardi di dollari purchè, appunto, si celebrino finalmente le nozze con Tim Brasil.
Il francese è Vincent Bolloré, il presidente di Vivendi che un anno fa è uscita dal Brasile, cedendo Gvt a Telefonica, la quale ha strapagato l’operatore in fibra ottica del Sud del Paese pur di strapparlo a Telecom Italia, di cui era il primo azionista. Bolloré, che in finanza non è secondo a nessuno, ha ereditato a maggio da Telefonica la quota residua in Telecom, ma in pochi mesi è salito fino a oltre il 20%, mettendo insieme un pacchetto che nessuno, da solo, aveva avuto dai tempi dello Stato-padrone e senza pagare premi per il controllo. Arnaud de Puyfontaine, il ceo di Vivendi che è l’ambasciatore designato a trattare gli affari della compagnia in Italia, richiesto di esprimersi sul tema Tim Brasil, ancora l’estate scorsa, se ne era uscito con un sibillino: «Bisogna essere realisti».
Lo spagnolo, che apparentemente sta alla finestra, è Telefonica. Per rafforzarsi, a caro prezzo, in Brasile, ha dovuto mollare la presa su Telecom Italia, ma il suo presidente, Cesar Alierta, con Bolloré ha intrecciato un ottimo rapporto, tant’è che tra i due sono in corso ragionamenti seri di convergenza tlc-media e che Vivendi ha anche preso una quota, poco meno dell’1%, nella multinazionale iberica dei telefoni. Se alla fine Telecom decidesse di uscire dal Brasile (e se si sbloccasse la cessione di Telecom Argentina), magari si potrebbe tornare a parlare di un’aggregazione italo-spagnola, che avrebbe il perno in Vivendi, probabile primo azionista dell’entità combinata.
L’italiano, ovviamente, è Telecom Italia, al centro di un vortice di interessi del quale si stenta ancora a comprendere i contorni, ma oggetto più che soggetto di una partita che si sta giocando sopra la sua testa.