Raffaella Procenzano, Focus 11/2015, 27 ottobre 2015
SESSO CONTRO SESSO
Non c’è dubbio, nella vita di tutti i giorni i maschi partono avvantaggiati. Fin dalla nascita: è stato calcolato che, in media, vengono al mondo 105 bambini ogni 100 bambine. Ma la supremazia del sesso forte non è soltanto numerica: il bagno ormonale che i maschi ricevono durante la vita prenatale li rende più decisi ed energici fin da piccoli, e soprattutto molto più propensi delle femmine a sottomettere gli altri al proprio volere. Merito del testosterone, l’ormone maschile per eccellenza (che però, in quantità minore, è presente anche nelle donne), che qualche settimana prima della loro nascita rende gli uomini – e il loro il cervello – irrimediabilmente “maschi”.
TENDENZIALMENTE PREPOTENTI. I pargoli dei due sessi, infatti, dal punto di vista neuronale sono equipaggiati in modo differente. «Inutile negarlo: il cervello umano ha un sesso. Ed è così anche in molte altre specie animali», sottolinea Adriana Maggi, tra i primi scienziati a dimostrare che gli ormoni sessuali agiscono anche sul comportamento quotidiano oltre che sui meccanismi legati alla riproduzione. «Se si lasciano alla portata di piccoli scimpanzé alcuni giocattoli, immediatamente i maschi cominciano a far muovere camion e automobiline, le femmine prendono le bambole. Proprio come fanno i bambini già da piccolissimi. Ecco la risposta a chi sostiene che le persone si comportano “da maschi” o “da femmine” solo per colpa (o merito) dei condizionamenti della nostra cultura».
Insomma, il cervello nasce maschio oppure femmina, e questo, nella pratica, ha parecchie conseguenze. Per esempio il fatto, notato da molti ricercatori osservando bambini dell’età del nido (quindi di pochi mesi), che se un bambino strappa a un altro un giocattolo è molto più facile che a compiere questa “cattiva azione” sia un maschietto piuttosto che una bimba. Riesce a imporsi non solo perché è più forte, ma soprattutto perché fin dalla tenera età cerca di costruire gerarchie basate sulla forza, alle quali praticamente tutte le femmine e anche alcuni maschi siano “sottomessi”. I bambini del sesso forte, come sanno da tempo gli psicologi infantili, iniziano infatti a conoscere il mondo e i propri simili basandosi innanzitutto su rapporti gerarchici.
STUDIO: SUCCESSI IN ROSA. Le femmine però si prendono (e alla grande) la loro rivincita durante le successive tappe scolastiche, quando l’educazione smorza e incanala l’aggressività maschile, e le prestazioni richieste agli alunni di entrambi i sessi diventano più intellettuali che fisiche. In tutti i gradi di studio, le ragazze riescono meglio: ottengono regolarmente voti migliori nelle selezioni per l’accesso alle università a numero chiuso, per esempio. Hanno più costanza nello studio e surclassano i compagni nella comprensione di un testo (il che le aiuta anche nella memorizzazione di concetti scientifici) e nell’esposizione orale (successo nelle interrogazioni, dunque).
Nonostante questo, quando entrano in competizione con un uomo, la vittoria non è affatto garantita, soprattutto in ambito lavorativo. Perché i maschi, proprio come fanno all’asilo, tirano fuori la loro arma segreta: lo spirito competitivo che li porta a cercare la supremazia in una gerarchia. Le ricerche dimostrano che gli uomini utilizzano, per esempio, l’aggressività verbale sul posto di lavoro molto più spesso delle colleghe. E un’indagine condotta dall’American Sociological Association su oltre 3 mila lavoratori Usa afferma che, mentre le donne che si trovano a ricoprire ruoli di potere soffrono più spesso di depressione rispetto alle coetanee, per gli uomini è vero l’opposto: quanto più “comandano” in ufficio, tanto meno si ammalano. Ancora una volta, la chiave di tutto è il testosterone (non per niente soprannominato dagli studiosi “l’ormone del potere”): alcuni anni fa, i ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York hanno dimostrato che le donne che hanno fatto più carriera hanno anche un livello più alto di testosterone nel sangue rispetto alla media femminile (ed è forse per questo che sono più portate al comando).
RESISTENTI E CONCENTRATI. Per non parlare degli indubbi vantaggi maschili nelle professioni che richiedono lunghe permanenze all’aperto: una recente ricerca condotta all’Environmental Ergonomics Research Centre di Loughborough (Gran Bretagna) ha misurato le reazioni di diverse zone della pelle al contatto con un oggetto freddo. Le donne dichiaravano di sentire più freddo degli uomini, soprattutto se l’oggetto veniva messo a contatto con la testa o con il busto. Insomma, che le donne siano più freddolose non è una leggenda. Senza contare che gli uomini hanno una caratteristica che può essere utile in parecchi tipi di professione, un ottimo senso dell’orientamento: se vengono abbandonati in un bosco, difficilmente si perdono, come dimostra uno studio pubblicato su Brain and Cognition da un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Iowa e condotto su un’ottantina di persone di entrambi i sessi. «Con l’uso della risonanza magnetica è stato più volte dimostrato che per fare qualunque cosa (orientarsi nello spazio, leggere, costruire un oggetto, risolvere quiz ecc.) il cervello maschile attiva fortemente poche aree, cioè si concentra di più, mentre quello femminile ne attiva moltissime, ma con meno intensità», continua Maggi. «È per questa ragione che gli uomini ragionano per obiettivi e lo fanno con più lucidità, avendo una buona visione globale del problema che stanno esaminando. Le donne, invece, a volte si “perdono” focalizzandosi su particolari secondari».
L’INTUITO DEL GENTIL SESSO. E non c’è niente da fare, le donne sono in vantaggio soprattutto in mestieri che abbiano a che fare con la “cura” altrui. Un recente studio dell’Università di Montreal, per esempio, ha dimostrato che i medici donna si prendono cura meglio dei pazienti (seguendoli in modo più continuo, prescrivendo tutti gli esami necessari) rispetto ai colleghi maschi. I ricercatori canadesi hanno però confrontato anche la produttività nei due sessi (numero di pazienti visitati): i medici del sesso forte riuscivano a gestire più persone. Ancora una volta, quindi, gli uomini si sono rivelati più “frettolosi” quando la professione richiede un rapporto personale.
L’istinto di cura è femmina anche per ragioni neurologiche. Secondo la studiosa Usa Louann Brizendine, che ha analizzato le principali differenze tra il cervello femminile e quello maschile, le donne hanno l’ippocampo (una piccola zona che è sede, tra l’altro, della memoria legata alle emozioni) più ricco di connessioni e questo consente loro di ricordare con maggiore dettaglio gli eventi che hanno risonanza emotiva. Il che le rende più comprensive. Inoltre, in genere sono molto intuitive perché leggono meglio il linguaggio del corpo. Lo ha provato un esperimento condotto da Arseny Sokolov, dell’Università di Tubinga, che ha fatto vedere (senza il sonoro) e poi sentire (senza il video) tre tipi diversi di battiti alla porta (rabbioso, normale, allegro) a un campione di persone. Le donne riuscivano a capire meglio le intenzioni di chi bussava (si vedeva il braccio e la mano) osservando solo il filmato; gli uomini invece, per comprendere l’umore di chi stava per entrare, dovevano ascoltare anche il suono delle nocche sulla porta.
LA MATERNITÀ, UNA VERA DROGA. Anche se indubbiamente in vantaggio sul lavoro, gli uomini si perdono una buona fetta di un aspetto estremamente gratificante della vita: il rapporto emotivo con i figli. Per ovvie ragioni biologiche, le donne in questo campo partono in pole position. Qualcuno ha infatti definito la gravidanza “l’unico momento della vita in cui non si è mai davvero soli” (il riferimento naturalmente non è solo alla realtà fisica – il feto è contenuto nel ventre della mamma – ma anche a quella psicologica di essere, e quindi ragionare, per due): una sensazione totalizzante che un uomo, per quanto si industri, non può provare. L’Università della Virginia ha condotto un’indagine interna sul grado di soddisfazione dei professori che prendevano un congedo parentale nei primi mesi di vita dei figli: quando si trattava di prendersi direttamente cura del piccolo la soddisfazione era sempre più alta nei professori donna. Forse a causa dell’ossitocina, il neurotrasmettitore che invade il cervello femminile nel periodo dell’allattamento, ma anche dopo che il legame con il bimbo si è formato, e che agisce come una specie di droga dando benessere. La ricerca ha anche esaminato come i professori in congedo spendevano il loro tempo: i maschi lo utilizzavano in gran parte per dedicarsi a libri e pubblicazioni scientifiche anziché prendersi realmente cura del neonato.
PIÙ VECCHIE, MA ACCIACCATE. Il discorso fatto fin qui è valido in generale, naturalmente. «Quando noi ricercatori parliamo di comportamenti maschili e femminili facciamo sempre riferimento a una media», chiarisce Maggi. «In realtà la gamma di strutture cerebrali umane è un continuum e ci sarà sempre una donna con tratti di personalità che mediamente sono più maschili, o viceversa. Se si considera la popolazione generale, le differenze tra i sessi esistono, individualmente siamo più simili di quanto sembra».
Resta un dato inconfutabile: la longevità è donna, un fenomeno che i demografi osservano almeno dalla metà del Settecento (da quando esistono questo tipo di rilevazioni). Le femmine, a parità di tipo di vita o di lavoro, vivono infatti circa 5 anni in più rispetto ai maschi: in Italia l’aspettativa di vita per una donna è di 85 anni, 80 per un uomo. La mortalità femminile è più bassa di quella maschile a tutte le età, perché il sesso “debole” ha in realtà più resistenza alle infezioni e alle malattie degenerative. Ma attenzione: secondo i dati Istat gli anni di vita al riparo da patologie sono di più per gli uomini: 60 contro 57. Le donne, quindi, pagano la loro longevità convivendo per molto più tempo con malattie invalidanti.
Allora: meglio nascere maschi o femmine? Tutto sommato, la risposta è obbligata: chi scrive è femmina.
Raffaella Procenzano