Massimo Lopes Pgna, La Gazzetta dello Sport 27/10/2015, 27 ottobre 2015
BARGNANI: «L’ESTATE ROMANA MI FARA’ TORNARE MAGO DI BROOKLYN»
La palestra è ancora in New Jersey, ma non per molto: da febbraio gli allenamenti si faranno a Brooklyn. Intanto Andrea ha trovato casa a downtown Manhattan, a metà strada: logisticamente ottimale. Peccato per la contrattura alla coscia sinistra che gli ha fatto saltare la pre-season («Niente di grave, non c’era danno muscolare e mi sono sempre allenato, a parte due giorni», rassicura), per il resto ha la fiducia di tutto l’ambiente. A partire dal coach, il ruvido Lionel Hollins: «Il suo passato? Non m’interessa, come non sono interessato al giudizio di altri allenatori. Per me conta solo ciò che Bargnani mi può dare. Era a disposizione e ci siamo presi una chance: un’ottima chance. È un lungo che sa tirare, passare e palleggiare e può giocare in post. È un ragazzo di grande talento». Con un giudizio così, si parte, anzi si riparte (oggi scatta la nuova stagione Nba) nel migliore dei modi.
Andrea, come l’hanno convinta a traversare il ponte e venire a Brooklyn?
«Mi trovavo in una situazione nuova, perché non ero mai stato free-agent e francamente non era il momento migliore per essere senza contratto dopo anni in cui avevo saltato tante partite. Ho messo tutto quanto sul piatto e valutato».
Una decisione esclusivamente tecnica, non certo economica perché guadagnerà meno di 3 milioni in due anni.
«Esatto. Ho un grande rispetto nei confronti dell’allenatore e dei miei compagni. Quando li affrontavo come avversari ho sempre avuto tanta stima per gente come Lopez, Young e Joe Johnson: mi piace il loro modo di interpretare la pallacanestro. Poi, ma solo dopo, vengono altri fattori, come il bellissimo palazzo in cui giochiamo, il tifo e la città in cui vivi. Avevo ricevuto altre offerte, ma preferisco non fare nomi. Presto scoprirò se ho fatto bene a venire qui».
Si può aggiungere anche la voglia di rivalsa nei confronti dei Knicks?
«No, perché significherebbe che sono arrabbiato con New York. E invece non è così. Ho ricevuto critiche eccessive? Ma quelle fanno parte del nostro lavoro. Non vado in campo per rivalermi di certi giudizi, fra l’altro basati sul nulla. Dentro di me ho mille motivazioni che mi tengono avvelenato giorno dopo giorno e mi fanno allenare come un matto. Mi ritengo troppo intelligente per farmi coinvolgere da certe situazioni».
Però quando il 4 dicembre andrà al Garden, un minimo di stimoli in più l’avrà?
«Sì, certo. Ma per altre ragioni, non certo per vendetta. A me stranisce sempre tornare dove ho giocato. È già accaduto con i Raptors: lì fu molto emozionante e lo sarà anche al Garden. I fischi di Toronto al mio ritorno? Capitò solo il primo anno e comunque riservarono quel trattamento pure a Bosh. Sono cose che succedono, se volevo la tranquillità mi cercavo un impiego in banca».
Come si trova con i Nets?
«Benissimo. Il coach mi chiede di giocare da 4 e da 5. Nei nostri schemi non c’è molta differenza fra i due ruoli, che sono intercambiabili. Perfetto per me che posso ricoprire entrambe le posizioni. Minutaggio? Non posso saperlo, ma sono ottimista».
Obiettivo personale?
«Divertirmi e giocare con continuità. Gli ultimi anni sono stati frustranti. Voglio lavorare e diventare più forte».
Dopo l’ottimo Europeo con la Nazionale ha dimostrato che se sta bene, può tornare a fare il Mago.
«Quando sono in salute, ho sempre combinato cose positive. È fondamentale, però, allenarsi senza interruzioni. In azzurro è stato fantastico: è un bellissimo gruppo. Abbiamo trasmesso un bel messaggio. Potevamo fare di più ma abbiamo centrato il pass per il preolimpico. E poi tanta gente si è appassionata. Me ne sono accorto passeggiando per Roma, non certo una città di basket. L’attenzione che abbiamo avuto non la riscontri neppure se fai 60 punti per tre partite di seguito in Nba».
Chi vincerà il titolo?
«Odio i pronostici. Per rispetto ai campioni bisogna dire Golden State. Ma la finale potrebbe essere Cleveland-San Antonio».
E chi sarà la sorpresa?
«Non saprei. Ma come ha dimostrato Atlanta l’anno scorso, ormai conta molto la chimica. Per carità aveva giocatori forti come Millsap e Horford, ma nessuno all’inizio pensava che gli Hawks potessero disputare una grande stagione. Il modo in cui si passavano la palla li ha trasformati in una delle migliori. Oggi il collettivo conta sempre di più, rispetto a dieci anni fa».
E giocare di squadra sarà fondamentale anche per voi, perché molti esperti vi mettono in fondo al ranking Nba.
«Esatto. Dipenderà da come ci comportiamo in campo. Il talento ce l’abbiamo: Lopez, Johnson, Young, mica sono gente scarsa. Se troviamo la chimica, appunto, e stiamo uniti siamo una bella realtà. Sono contento di essere a Brooklyn, non la cambierei con nessun altra. Tutto il resto l’ho messo alle spalle e non conta. Guardo avanti e basta».