Avvenire 27/10/2015, 27 ottobre 2015
ORLANDI, OTTO MESI DIFFICILI PER IL CAOS DIRIGENTI
Avanti così «si muore». È solo l’ultimo, e mal digerito, grido di dolore lanciato lo scorso 22 ottobre dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi. Ma in questi mesi «difficili» per le agenzie fiscali, da quando a marzo scorso la Consulta ha giudicato illegittimi 767 dirigenti, fino alle tensioni sottotraccia per la scelta di alzare il tetto per l’uso del contante, lady Fisco si è più volte, e pubblicamente, spesa a difesa dei 40mila dipendenti dell’agenzia, con un attivismo che non sembra piacere a una parte di governo e maggioranza. Il pomo della discordia, che ha inasprito i rapporti con l’esecutivo, è stato proprio la gestione del caos dirigenti, scoppiato il 17 marzo dopo la sentenza della Consulta che ha retrocesso le figure apicali delle agenzie fiscali (in tutto circa 1.200, compresi i dirigenti delle dogane) che non hanno raggiunto il ruolo attraverso concorso pubblico ma attraverso la reiterazione, in alcuni casi decennale, di incarichi a tempo.
Per circa 600 dei dirigenti tornati funzionari, che hanno anche perso il trattamento economico dirigenziale, il governo ha previsto, con misure agganciate al decreto enti locali approvato in estate, la soluzione transitoria degli incarichi a tempo, in attesa del concorso che, come indicato con i decreti attuativi della delega fiscale, dovrà concludersi entro il 2016. Nel frattempo il concorso ancora non è stato indetto (serve un decreto del ministero dell’Economia) e si è scelta la via di evitare in ogni modo la sanatoria: quindi non ci sono garanzie per i dirigenti declassati di tornare al proprio ruolo. Tanto che nelle ultime settimane c’è stata una vera e propria fuga di figure dirigenziali verso il privato. Ma la maggior parte dei 767 è pronta alla battaglia legale, per vedersi riattribuire ruoli (e relativi stipendi): in circa 400, infatti, avrebbero già promosso cause civili, citando in giudizio sia l’Agenzia sia la Presidenza del Consiglio, nella persona del premier, per non aver attuato la normativa europea che vieta per i contratti temporanei una durata superiore a 3 anni.