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 2015  ottobre 24 Sabato calendario

CHE PARTITA È SENZA TESTICOLI DI TORO?

Dimmi che cosa mangi e ti dirò chi sei. E se dici Churro Dog non puoi che essere americano, eh. È la specialità della casa degli Arizona Diamondblacks: una frittella di cannella con gelato, yogurt, caramello e cioccolata servita – va via come una ghiottoneria – durante gli infiniti nove inning di Major League.
Le partite degli sport americani, soprattutto baseball e football, rispetto al più sintetico basket, sai quando iniziano, ma mai quando finiscono. Le sfide del primo (162 partite di stagione regolare) possono durare sino a notte avanzata con lo stadio semivuoto, perché il giorno dopo si lavora. Dunque, nelle pause, si mangia. Tanto. Bene per il palato, meno per la salute: non sono cibi salutisti quelli che si divorano a bordo diamante.
Nel football, sport invernale, c’è la tradizione del tailgate party pre partita, ovvero grandi grigliate, con il fuoco molto spesso necessario anche per scaldarsi negli infiniti parcheggi delle città del nord. Negli impianti del baseball, anche solo per non rischiare noie con le inflessibili maschere per “ingresso di salsa” allo stadio, all’entrata nessuno si porta dietro quel piccolo pasto da ufficio che a Milano e dintorni chiamano schiscetta. E se durante le gare delle sedici giornate della stagione regolare Nfl comunque si mangia più di una volta, dall’intervallo in poi, nel baseball si metterebbero a posto bilanci di aziende in crisi con gli introiti stagionali relativi alle cibarie acquistate. Allo Yankee Stadium, lo scorso aprile, New York ha giocato contro Boston per 6 ore e 49 minuti, finendo alle 2.15 di notte, con Texeira che ha iniziato la partita che aveva 34 anni e l’ha finita da trentacinquenne... E i tifosi? Ci hanno mangiato su. Volete sapere la specialità della casa nel Bronx? Chicken Parm Sandwich, un panino di pollo con del presunto Parmigiano. Intruglio che ha successo pari a quello di Alex Rodriguez.

CE N’È PER TUTTI I GUSTI
I Giants campioni 2014, nel menu dell’AT&T Park di San Francisco, esibiscono invece patatine con aglio e prezzemolo. Dall’altra parte della baia, a Oakland, si va di Ribs & Things, quindi costoline con “cose”, che significa salse: la barbecue un must. Dai Dodgers la pietanza made in Los Angeles è il Nacho Helmet, roba da elmetto per l’alito, mentre dagli Angels ad Anaheim va di moda l’Halo Dog. Traduciamo: hot dog di carne con pancetta, fagioli, formaggio fuso e salsa pico de gallo. Una cosina dietetica... Dai San Diego Padres potete ingozzarvi di gelato: “impaninato” tra due strati di cookies, i biscottoni locali. Al Marlins Park di Miami non si vinceranno tante partite, ma fanno gli splendidi con le ricette di pesce. Il ceviche: gamberetti/tilapia servita con patate e cipolle. La provincia, poi, non tradisce mai. In cittadine zero glamour come Kansas City, ci si rimpinza di Cheesy Corn Brisket Acho, pezzoni di carnazza abbondanti intinti in creme assortite “letali” per la linea e attorniati di mais, formaggio e chi più ne ha più ne metta, sul letto di tortillas. A Detroit, casa dei Tigers e di colletti blu, il gourmet (vabbè) presenta bastoncini di bacon, mentre a Houston il cono non lo si riempie di gelato, banale, ma di coniglio con purè e mostarda dolce. Meritano poi la citazione le patatine con la salsa di granchio di Philadelphia, dai Phillies. Non le abbiamo provate, ci saprete dire... Ah, se cercate qualcosa di un po’ più cool, occhio a quello che i Colorado Rockies vendono come Rocky Mountain Oysters: non sono ostriche quanto testicoli di toro fritti. Noi vi abbiamo avvertito... Il cibo cambia da stadio a stadio, la costante è far alzare il vicino di posto e, come un domino, tutti sino all’inizio della fila per andare “a fare il pieno” tre o quattro volte a partita.

BIRRA E SODA A VOLONTÀ
E non vi abbiamo ancora parlato di bibite. La birra regna sovrana in queste tane sportive, ma le sode non sono molto da meno. La Dr Pepper è sponsor del college football, come le pubblicità che allungano i tempi non finiscono di ricordare a chi non ha avuto la fortuna di andare a rifocillarsi – pardon, seguire la partita – allo stadio, accontentandosi della tv. Le partite, qui, tranne i playoff, sono più eventi che sfide per gli appassionati, che ti snocciolano la formazione della squadra del cuore di vent’anni fa. Quelli ci sono sempre, ma la maggioranza dei tifosi, specie in mercati più piccoli di New York, Los Angeles, Miami o Chicago, rende omaggio alla squadra della propria città, si fa invidiare dai conoscenti e si gode l’atmosfera. Poi, se l’amico che ne sa confida “abbiamo vinto”, pure meglio, se però i “nostri” hanno perso, pazienza. L’avvicinamento in macchina dal paesello, l’eventuale grigliata, gli show sul maxischermo da seguire sperando in un’inquadratura, la musica a tutto volume (comunque sempre seconda alla solennità dell’inno nazionale) valgono il prezzo del biglietto. E pazienza se è diventato particolarmente “salato” per colpa delle spezie ingurgitate. Che poi, nella Nba, se il tipo estratto per l’esibizione durante i time out azzecca un canestro, allora tutto il suo settore nel palazzetto mangia gratis. Coupon a volontà. Per la prossima partita casalinga, però: gli stand dopo il fischio finale sono chiusi, non fate errori da matricole. E tornate per la prossima partita: c’è profumo di vittoria, o forse di cheeseburger.