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 2015  ottobre 27 Martedì calendario

La camicia, sotto il maglioncino blu, impedisce di chiamarlo descamisado. In compenso, però, c’è la barba

La camicia, sotto il maglioncino blu, impedisce di chiamarlo descamisado. In compenso, però, c’è la barba. E così il barbudo resistente Ignazio Marino si è ritrovato populista ad arringare la folla, convinto che “la democrazia si esercita in piazza”. Un Campidoglio sudamericano proprio nel momento in cui il premier è dall’altra parte del mondo e gli Inti Illimani si professano cileni renziani. È il ribaltamento di tutto, gli eroi dei due mondi che si rovesciano a vicenda. Solo che a Roma, affacciarsi da un balcone e parlare al popolo, dalle parti di piazza Venezia, è questione pericolosa, e non nei termini, per rimanere nel tema della resistenza, della tragica Moneda del socialista Allende. L’evoluzione domenicale del sindaco solitario ma non triste né final è intrisa di populismo peronista, intruglio argentino in cui dentro c’è un po’ di tutto e dove giustizialismo, anzi justicialismo, sta per giustizia sociale, a favore dei poveri e gli ultimi. Ed è ai poveri e agli ultimi, che Ignacio Marinho, ha dedicato uno dei passaggi più applauditi del suo comizio di domenica scorsa: “Chi ci ha preceduto si è servito dei poveri e degli ultimi, noi invece abbiamo servito i poveri e gli ultimi”. Ovazione per il barbudo in maglioncino. Nel repertorio sfoderato in dieci minuti di discorso ci sono tutti, ma proprio tutti, gli ingredienti del populismo sudamericano. L’evocazione della piazza, unica depositaria della democrazia (e il consiglio comunale?), e soprattutto il ricorso ridondante al nemico dei poteri forti, ai “salotti buoni”, alla politica delle “stanze chiuse”. Anche per questo, per essere più efficace, Ignacio Marinho comunica il suo “coraggio”, la “sua determinazione” all’“aria aperta”. Come che vada, il terrazzo o balcone del Campidoglio vale a questo punto, con le dovute proporzioni, il grido dei descamisados contro l’esilio del loro amato generale: “Se siente, se siente, Peron està presente”. Sembra poi incredibile, che nel momento cruciale del comizio, politicamente parlando, il sindaco non abbia lesinato un must dell’oratoria berlusconiana. E cioè la domanda retorica rivolta alla folla, di cui già si conosce la risposta. Il Condannato di Arcore usa questo espediente in ogni campagna elettorale. Ieri lo ha fatto il generale Marinho: “Mi chiedete di ripensarci?”. Altra ovazione e risposta scontata: “Non vi deluderò”. Il “non vi è deluderò”, che tradotto vuol dire “non me ne andrò neanche con le bombe”, pochi minuti dopo è stato ripetuto per altre tre volte (tipo “resistere, resistere, resistere”) a scanso di ogni equivoco interpretativo. A sinistra le suggestioni populiste di questa Seconda Repubblica, ossia il legame diretto tra leader e popolo, sono state varie, e l’ultima riguarda la rivoluzione arancione di Luigi de Magistris a Napoli. Caso a parte, invece, il paragone con il venezuelano Hugo Chavez, “dittatore del popolo”, accostato in fasi diverse sia al dipietrismo dell’Italia dei valori sia allo sceriffo di Salerno Vincenzo De Luca. Non è un caso, allora, per tornare a Marino, che il sindaco abbia concluso il comizio con una citazione del rivoluzionario per eccellenza, argentino ma glorificato a Cuba: il Che (altro parallelo con il Renzi sudamericano che ha scritto su Facebook non i diari della motocicletta ma quelli dell’aereo di Stato). Ha concluso “Ignacio”: “Siamo realisti, vogliamo l’impossibile”. Il golpe populista del Marino militare.