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 2015  ottobre 23 Venerdì calendario

EUR – [QUEL PERFETTO TEATRO DI POSA DOVE ORA FA LE PROVE LA MODERNITÀ]


ROMA. Diceva Federico Fellini che l’Eur oltre a essere un perfetto teatro di posa, grazie alla sua atmosfera liberatoria, gli edifici fantasmi e quella leggerezza metafisica che tanto ricorda le Piazze di De Chirico, «sta diventando un quartiere bellissimo, anche perché si trova vicino a Roma». Non a Roma, bensì vicino. Come se quel singolare quartiere progettato ex novo sul finire degli anni Trenta per celebrare con una magniloquente esposizione universale il ventesimo anniversario della «rivoluzione fascista» del 1922 (Hitler aveva garantito a Mussolini che la Guerra non ci sarebbe stata prima di quella data) non fosse parte integrante della città ma un quartiere a se stante, diverso dagli altri, meraviglioso per le sue geometrie e linee architettoniche ma da guardare con un pizzico di diffidenza, considerata la sua storia. E lo spirito dei romani, mai troppo avvezzo a facili entusiasmi.
«Ma oggi quel giudizio sospeso non esiste più», racconta un anziano signore seduto ai tavoli di Palombini, da sempre conosciuto come il caffè degli affari, uno dei pochi anelli di congiunzione tra un passato ben definito e un presente quanto mai incerto. Qui venivano a prendere il caffè i più grandi registi italiani, Scola, Rosi, Antonioni, ma anche personaggi meno raccomandabili come Laudavino De Sanctis, alias Lallo lo zoppo, che nei lontani 70 spargeva terrore a Roma con la “banda delle belve”».
Un tempo veniva chiamata la «città bianca», per via degli eleganti palazzi rivestiti di marmo che splendevano di luce, oggi sembra più un quartiere fondato sull’aperitivo, dove tutto è lounge. Lo Spritz in riva al lago, l’aperitivo estivo nella splendida terrazza del Palazzo dei Congressi, il wine tasting nel Salone delle Fontane all’interno del palazzo degli Uffici, il primo edifico del quartiere a essere ultimato, nel 1939, dopo essere stato anche un rifugio antiaereo. Quello che sembra mancare è un’identità urbana, una prospettiva. Come se l’Eur fosse rimasto un luogo incompiuto e incompleto, sin dalla nascita. Con una vocazione museale non sufficiente a trasformarlo in una vera e propria città delle arti o delle scienze e una diffusione di palazzi per uffici non così importante da renderlo una vera e propria downtown capitolina. «Sarebbe già un successo avere una biblioteca comunale», ironizzano dal comitato di quartiere. La piti vicina si trova a Spinaceto.
In origine avrebbe dovuto essere il quartiere imperiale voluto dal Duce, simbolo di quella civiltà italica da illustrare al Mondo con l’esposizione universale, la celebre E42. Che naturalmente non venne mai realizzata. Ma chissà se il fascismo si rese conto di aver avuto forse la migliore generazione di architetti italiani del Novecento (Piacentini, Libera, Pagano, Minnucci, Guerrini, Romano, Moretti, Vietti), capaci di mettere in piedi dal nulla un’architettura senza tempo, talmente monumentale e contemporanea da sopravvivere alla sua stessa storia. Non a caso quando si trattò di fare i lavori per la riunificazione della città, caduto il muro, Berlino annoverò anche l’Eur tra i suoi riferimenti culturali.
Eppure pur tra mille difficoltà e dopo anni di sciagurata gestione della cosa pubblica qualcosa si sta muovendo, nel tentativo di raccontare in chiave contemporanea queste vicende di trasformazione. Un bel segnale arriva dalla mostra Una nuova Roma. L’Eur e il Palazzo della Civiltà Italiana, che apre oggi (fino al 7 marzo 2016) e inaugura la stagione del gruppo Arnault-Fendi all’interno del cosiddetto «Colosseo quadrato», uno dei monumenti più discussi della Roma moderna ma anche il punto di riferimento dell’architettura italiana della prima metà del Secolo. Progettato negli anni Trenta, inaugurato incompleto nel 1940 e poi aperto nel dopoguerra, è un sorprendente parallelepipedo quadrato interamente rivestito di travertino e caratterizzato da 54 grandi archi per facciata suddivisi in 6 file per 9. «Una suddivisione» fa maliziosamente notare un antico commerciante della zona «che corrisponde alle lettere di Benito Mussolini». Ma questa è storia passata.
«La mostra è il racconto di un’illusione, una sorta di atto d’amore per un esperimento che doveva essere bellissimo, un pezzo di città completamente progettato da urbanisti, architetti, artisti, e che di fatto è rimasto come sospeso» spiega Carlo Lococo, architetto e uno dei curatori dell’esposizione, la prima di un progetto più ampio immaginato dalla maison romana per rendere fruibile al pubblico uno spazio destinato a ospitare mostre e installazioni che valorizzino il made in Italy e la creatività italiana. «Per lungo tempo» aggiunge «il giudizio sull’Eur è stato influenzato dalla guerra. Oggi che i tempi si sono dilatati restano però capolavori assoluti, come il Palazzo della Civiltà del lavoro o Il Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera».
L’esposizione non ha velleità esaustive né didattiche ma al contrario si sviluppa per argomenti, cercando di tenere insieme visioni avanguardistiche del secolo scorso e interpretazioni contemporanee. Si comincia con la parte dedicata alla progettazione architettonica e costruzione del quartiere, con il racconto dei primi progetti, i concorsi realizzati, alcune lastre della piazza centrale e altre storie poco note, come il tentativo di costruzione della Quadriga della Vittoria fascista, i quattro cavalli dello scultore Francesco Messina (quello del Cavallo morente, esposto davanti alla sede della Rai) che avrebbero dovuto trovare posto sul frontone del Palazzo dei Congressi ma che non furono mai realizzati e i cui calchi di gesso finirono nelle mani dell’amico Giovanni Leone.
Ci sono poi le fotografie d’autore di Karl Lagerfeld, Gabriele Basilico, Fabrizio Ferri, Franco Fontana, Andrea Jemolo e Mimmo Jodice e tanti altri, perché nel corso dei decenni l’Eur è stato ossessivamente fotografato, vuoi per quegli immensi fuoriscala vuoi per quella luce e quelle ombre così nette che tanto piacevano ai fotografi americani di moda degli anni Cinquanta. Il tour prosegue idealmente con una parte dedicata al design, dove saranno esposti progetti e arredi originari dell’epoca. D’altronde basterebbe uscire dal palazzo della Civiltà del lavoro, girare l’angolo e farsi un giro tra gli arredi del Palazzo degli Uffici per scoprire i bellissimi lavori realizzati dall’architetto milanese Guglielmo Ulrich o le maniglie disegnate da Giò Ponti. E poi, naturalmente, ci sono i film.
Resta da chiedersi che cosa sarebbe stato l’Eur senza quella idea del «quartiere-città» fissata dal cinema nell’immaginario collettivo. Non solo Fellini, di cui si ricordano alcune scene di La Tentazione del dottor Antonio, l’episodio di Boccaccio 70 con il moralista Peppino De Filippo e Anita Ekberg, e di La dolce vita, con la straordinaria sequenza iniziale della statua di Cristo trasportata da un elicottero che vola sopra i tetti della Roma moderna. Antonioni trovò quelle architetture razionali perfette per ambientarvi L’eclisse, in cui comparivano Monica Vitti e Alain Delon, mentre Francesco Rosi girò da quelle parti alcune scene di Il caso Mattei, con Gian Maria Volonté. Ma il primo a inaugurare il set della città bianca fu Roberto Rossellini, che nel ’45 diresse una splendida Anna Magnani in una scena di Roma città aperta, sullo sfondo di un quartiere ancora immerso tra le rovine. Uno degli ultimi è stato invece Paolo Sorrentino, che girò una scena del suo film sulla decadenza romana nell’atrio del Salone delle Fontane. Ma all’Eur la grande bellezza c’è sempre stata.
Giuliano Malatesta