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 2015  ottobre 23 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Matilde Hochkofler (con la collaborazione di Luca Magnani), Anna Magnani. La biografia, Bompiani, 2013, pp

Notizie tratte da: Matilde Hochkofler (con la collaborazione di Luca Magnani), Anna Magnani. La biografia, Bompiani, 2013, pp. 396, euro 19.

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Dopo la vittoria dell’Oscar per la rosa tatuata ricevette un telegramma da Flora Volpini: «Tuo Oscar ha finalmente messo un limite fra curve e arte. Brava brava».

Il telegramma di congratulazioni per l’Oscar ricevuto dal figlio di Suso Cecchi D’Amico e un amico, sedicenni: «Tutti i nostri complimenti e la nostra solidarietà. abbasso le bone». Risposta di Magnani: «Alla vostra età ci vogliono anche le bone».

La madre di Anna Magnani, Marina Magnani, figlia di un usciere del tribunale e di una sarta, entrambi ravennati poi trasferiti a Roma, rimase incinta a vent’anni senza essere sposata. Anna Maria Magnani nacque il 7 marzo 1908 alle 13 e 30 all’Asilo Materno di via Salaria 126, istituzione benefica che dà ospitalità alle «madri nubili, minorenni o giovani». Il padre della bambina, si legge sul certificato di nascita, era un uomo «non coniugato, non parente né affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento». Non la riconobbe mai.

«Non l’ho mai conosciuto. Di lui so soltanto che è calabrese, che si chiama Del Duce».

Dopo la nascita, la mamma partì per l’Egitto e lasciò la bambina a Roma con i nonni. Il 13 ottobre del 1913 al Cairo nacque la sorellastra Yvonne, soprannominata Mina.

«Ma quante volte ve lo devo spiega’ che non sono stata raccattata per strada, che ho fatto fino alla seconda liceo, che ho studiato pianoforte otto anni, che ho frequentato l’accademia di Santa Cecilia? O come quando sostengono che sono nata da padre egiziano in Egitto».

Nel 1923 andò a conoscere la madre: «Mi piacque subito. Adoravo il suo modo di parlare, di raccontare le cose. Ha un senso fantastico dell’umorismo, mia madre. Se vuole è capace di farti ridere fino alle lacrime per ore intere. E che temperamento! È una donna nobile e coraggiosa. Conobbi anche mia sorella. Aveva cinque anni meno di me e andava a scuola. Andavamo al ristorante, al cinema. Mamma viveva con un ricco austriaco in una casa splendida. Ogni giorno andavamo a mangiare in palazzi lussuosi. Purtroppo non riuscii a conquistarla veramente nonostante la gioia di essere con lei e il lusso che mi circondava. Mi venne presto il desiderio di ritornare a Roma. Adesso mi rendo conto che a quindici anni non potevo pretendere da mia madre le coccole che mi aveva fatto mia nonna quando ero piccola. Ero troppo grande, ormai, per pretendere di essere ancora una bambina».

Sul terrazzo della casa dei nonni, in via San Teodoro, a Roma, gerani e polli: «Ricordo che avevo una gallina. Era piccola, tutta nera, con un ciuffetto di piume sulla testa. Una sera, dal fondo della mia stanza, sentii che mia nonna la voleva ammazzare. La nascosi nel mio letto e dormii con lei tutta la notte».

Da bambina leggeva molti romanzi di cappa e spada.

«Come io sia riuscita a frequentare la scuola rimarrà sempre un mistero. Non facevo i compiti, non studiavo le lezioni, eppure riuscivo sempre grazie alla mia straordinaria memoria. Mia nonna non si chiedeva come mai, sola fra tutti i ragazzi di sua conoscenza, non facessi i compiti».

Una volta sua madre tornò dall’Egitto e scoprì che la bambina, in terza elementare, suonava bene il piano ma non sapeva le tabelline: decise di mandarla in collegio dalle suore francesi.

Dopo aver lasciato il ginnasio, iniziò a studiare all’Accademia di Santa Cecilia. Quando scoprì che nello stesso palazzo aveva sede anche la Reale Scuola di Recitazione Eleonora Duse, prese parte agli esami di ammissione. Tra gli esaminatori, Silvio D’Amico, che disse al figlio Lele: «Oggi è venuta da noi una ragazza. È bravissima, è un vero talento, ma io non riesco a prenderla sul serio perché è uno sgorbietto, assomiglia pari pari al patriarca di Gerusalemme». Comunque Anna Magnani fu ammessa e iniziò a studiare recitazione nell’autunno del 1926.

«Ho scelto questo mestiere perché avevo voglia di essere amata, di ricevere tutto l’amore che avevo sempre mendicato. Non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla tra una lacrima di troppo e una carezza in meno».

Lasciò la scuola di recitazione a metà del secondo anno (dovrebbe durarne tre) perché era entrata nella compagnia drammatica di Dario Niccodemi. Disse: «Devo tutto a Vera Vergani, la più bella signora del mondo, un esempio di disciplina e di correttezza».

Paga giornaliera che riceveva come attrice al Teatro Manzoni di Milano: 25 lire. Aveva solo 19 anni.

Nel 1929 morì sua nonna: «Da quel giorno ebbi il coraggio di ribellarmi, di fare uscire da me stessa quello che prima era sempre rimasto nascosto, di gridare quando ne sentivo il bisogno, di tacere quando ne avevo voglia. Sì, quel giorno era nata la Magnani».

Il primo grande amore della sua vita, il regista Goffredo Alessandrini. Si conobbero nel novembre 1931 al bar Savini, in Galleria, a Milano. Lui era con degli amici e la notò seduta al tavolo vicino, aveva capelli nerissimi con la frangetta, sotto la sua sedia ringhiava un cane Pomerania nero. Gli dissero che era un’attricetta di nome Anna Magnani e gliela presentarono. Siccome avevano vissuto entrambi per qualche tempo in Egitto, scambiarono poche battute in arabo. La rivide l’anno dopo in una recita della compagnia Baghetti. La avvicinò per chiederle di doppiare Greta Garbo: «Due mesi dopo seppi che aveva inventato la storia per rivedermi. Potevo serbargli rancore? No di certo, ne ero già troppo innamorata».

Per stare vicina ad Alessandrini, che stava girando un film alla Cines di Roma, rinunciò a una tournée che l’avrebbe portata in giro per tutta Italia.

Nel 1934 la prima apparizione al cinema, nel film La cieca di Sorrento.

«La conobbi a Torino nel 1934. Lavoravo insieme a Goffredo Alessandrini. Facevamo Don Bosco. E Alessandrini, allora non erano ancora sposati, mi parlava sempre di questa Anna. Anna qui, Anna là, Anna su, Anna giù. E un giorno nei corridoi del trucco sentii una gran risata, come non ne avevo sentito mai, e vidi passare, come una folata, una donna bruna con un incredibile vestito verde e una pelliccia di leopardo. Una scena indimenticabile. Questa era Anna» (lo sceneggiatore Sergio Amidei).

Alessandrini le sconsigliava il cinema dicendo che non era fotogenica.

Il matrimonio di Anna Magnani e Goffredo Alessandrini, il 3 ottobre 1935, in Campidoglio. Testimoni di lei: Rosina Iannone, infermiera, e il di lei marito, Pasquale Pirro, centurione della Milizia in divisa. Alessandrini ha 31 anni. Nel certificato lei dichiara di averne 26, ma ne ha uno in più. L’8 dicembre, dopo il viaggio di nozze a Venezia, si scambiarono la promessa alla presenza del parroco della chiesa di San Roberto Bellarmino, a Roma. Il matrimonio in chiesa lo avevano voluto i genitori di lui.

Goffredo Alessandrini le concesse l’apparizione di pochi secondi in una scena di massa del film Cavalleria: in lontananza, in abito aderente, irriconoscibile con una parrucca bionda. Interpretava una cantante applaudita dagli spettatori.

Dopo due anni il matrimonio andava già molto male: lui sperperava soldi in automobili (tanto che il rivenditore Giggetto Pietravalle era diventato amico di famiglia) e in più la tradiva. Una delle amanti è Olivia Fried, attrice bionda e minuta, conosciuta sul set di Eravamo sette sorelle. Un giorno la Magnani arrivò durante la lavorazione e le fece una scenata davanti a tutti. Dopo, Paola Barbara, collega della ragazza, vedendo l’amica in lacrime, andò a cercare la Magnani per dirgliene quattro: la trovò al bar, appoggiata al bancone, il cagnolino in braccio. Lì perse tutta la sua baldanza. La Magnani, guardandola: «C’hai paura?». Ascoltò le sue rimostranze e poi, con aria addolorata: «Ma stai zitta, piscialetto, non sai che la Fried è l’amante di mio marito?». Quindi le offrì un cappuccino.

Nel 1940, dopo mesi di tradimenti, Goffredo Alessandrini la lasciò per andare a vivere con l’attrice Regina Bianchi, conosciuta sul set di Ponte di vetro. L’amore tra la Bianchi e Alessandrini durò venti anni, durante i quali nacquero due figlie.

«Quando seppi che mio marito aveva delle avventure galanti e usciva con altre donne per poco non impazzii. Minacciai, urlai, piansi, mi disperai. Ero al fondo della disperazione. Non mi restò che separarmi».

Il giorno della separazione Alessandrini le regalò una cavalla: «“Te la regalo perché ti somiglia”, mi disse, “Ha una groppa generosa e le gambe storte e magre”. Era bellissima. Si chiamava Via dell’Impero e non riuscii mai a domarla veramente».

Massimo Serato, ventiquattro anni, bello, amico di Alberto Sordi. Anna Magnani lo incontrò nel salotto di Ottorino Visconti, cugino di Luchino Visconti. Se lo fece subito presentare e presto lo invitò nella sua casa di Mandela, dov’era solita trascorrere il fine settimana.

Dopo l’annuncio della guerra, durante il primo allarme antiaereo, Massimo Serato quasi svenne. La Magnani passò ore a preparargli camomille e a insultarlo per farlo smettere di tremare.

Anna Magnani non voleva che Massimo Serato frequentasse Alberto Sordi, convinta che lo avrebbe spinto ad avventure sentimentali.

Incinta di Massimo Serato, avrebbe dovuto recitare in Ossessione: «Non so i motivi per cui l’inizio delle riprese ha tardato tanto. So che, sempre in attesa del via, sono rimasta a Ferrara per un mese, mese e mezzo. Intanto però la mia pancia cresceva ed è finita che hanno dovuto prendere Clara Calamai». Il figlio Luca nacque il 23 ottobre 1942. Disconobbe subito la paternità di Alessandrini, ma dovette dichiararlo con il cognome del marito a cui era ancora legalmente sposata.

Quando finì l’amore con Massimo Serato, il figlio Luca si ammalò di poliomielite.

Per Roma città aperta volevano affidare il ruolo di Pina a Clara Calamai. Ricorda Sergio Amidei: «Noi protestammo, ma i produttori sembravano irremovibili. Fu solo per l’intervento del produttore Peppino Amato che si arresero e si convinsero ad affidare quella parte ad Anna Magnani».

All’inizio, quando venne a sapere che per Roma città aperta le avrebbero dato centomila lire in meno di Aldo Fabrizi, disse di no.

Magnani a proposito dell’ultima scena di Roma città aperta: «Non ho fatto prove. Con Rossellini, che è stato quel grande regista che è stato, non si provava. Lui sapeva che, preparandomi l’ambiente, io poi funzionavo. Durante l’azione del rastrellamento, quando sono uscita dal portone, all’improvviso sono ripiombata al tempo in cui per Roma portavano via i giovani». Diverso il ricordo di Amidei: «La scena famosa della morte, Anna la girò ripetendola più volte, cascando sull’asfalto e sbucciandosi gomiti e ginocchia, dalle undici alle quattro del pomeriggio. La stessa sera era a fare la rivista al Valle. Questa era Anna Magnani. Altro che attrice istintiva! Una professionista, ecco che cos’era».

A un certo punto Anna Magnani pensò di adottare Vito Annichiarico, che nel film interpretava il piccolo Marcello. Questi ricorda: «Una madre vera che era una poveraccia, una madre adottiva ricca. Per me sarebbe stata una pacchia».

«Io amo tutti gli animali. Un cane è bello, è poesia, è natura, è autentico, non mente. Trovo che lo sguardo di un animale, la sua dolcezza, la sua stessa presenza sono veri come tutti i miracoli che ci offre ogni giorno la natura».

La storia d’amore tra la Magnani e Rossellini iniziò l’anno dopo Roma città aperta. Litigate memorabili, soprattutto per il personale dell’Hotel Excelsior, dove lui abitava. Una volta si sentì la Magnani gridare: «Esci fuori, esci fuori da lì sotto che te devo menà!». I camerieri pensavano che parlasse a uno dei suoi cani, invece era Rossellini a essersi infilato sotto il letto per sfuggire alla sua furia.

La volta che, all’Hotel Excelsior di Napoli, la Magnani accusò Rossellini di averla voluta uccidere colpendola di taglio con una bottiglia. Quello rispose di averla presa non di taglio e senza intenzione di farle troppo male.

Le riprese del film Il bandito quasi andarono a monte proprio in una delle ultime scene. Amedeo Nazzari avrebbe dovuto lanciare in faccia alla Magnani il liquido contenuto in un bicchiere (vodka nella finzione, acqua nella realtà). L’attore, stanco di bere a ogni prova mezzo bicchiere e gettare il resto alla controfigura, durante la scena con la Magnani ne mandò giù meno del previsto e le lanciò una copiosa spruzzata sul viso. Quella cominciò a sbraitare: «Amedè, tu l’hai fatto apposta, volevi ridere alle mie spalle!». Poi rivolta al regista Lattuada: «Alberto, questo me vo’ cecà». Nazzari, seccato, lasciò il set. Dovettero intervenire il regista e il produttore, De Laurentiis.

Magnani voleva che Rossellini tornasse al più presto dalla Germania dove stava lavorando al film Germania anno zero. Così il regista decise di girare gli iterni a Roma. Gli attori tedeschi di Berlino Est che arrivavano a Roma magri ed emaciati, grazie alla pastasciutta e al cibo italiano, cominciarono a ingrassare: le riprese furono posticipate di quindici giorni, in attesa che, messi a dieta, dimagrissero di nuovo.

«La Magnani aveva questa terribile cosa di riportare tutto alla Magnani. L’attore è quello che sa mettersi in altri panni, lei invece portava sempre i panni della Magnani» (Suso Cecchi d’Amico).

Mentre girava L’onorevole Angelina con Luigi Zampa si lamentava per l’incapacità di un giovane che avrebbe dovuto fare la parte di Filippo Garrone, il figlio del palazzinaro. Al regista che cercava di spiegarle di non poter cambiare attore all’ultimo minuto, rispose: «Il mondo è pieno di facce nuove. Non è questa la regola del vostro nuovo cinema, che chiunque può recitare basta che abbia la faccia giusta?». E poi, indicando un giovane Franco Zeffirelli: «Quello stronzetto là. Vedi se sa spiccicare due parole. La faccia ce l’ha. Se no vai per strada e lo trovi».

Nel contratto del film Molti sogni per le strade aveva fatto scrivere che il suo lavoro cominciava alle 11 di mattina. Gli altri attori iniziavano tutti prima, perché alle 16 faceva già buio. Quando Mario Camerini le chiese di presentarsi con un’ora di anticipo, dati tutti i soldi che prendeva, se ne andò a casa e si diede malata per cinque giorni.

Con i guadagni del film Molti sogni per le strade acquistò il terreno del Circeo dove fece costruire una grande villa.

Per tranquillizzare la Magnani, convinta che avesse una relazione con Ingrid Bergman, Rossellini proprio davanti ai suoi occhi spedì all’attrice straniera un telegramma per interrompere ufficialmente le trattative per un film. Subito dopo, di nascosto, le inviò un altro telegramma per ritrattare il precedente.

Una mattina del 1949, mentre erano all’Hotel Excelsior, Rossellini disse di voler scendere per portare a spasso i cani. Nell’atrio consegnò gli animali a un cameriere, salì su un’automobile che l’aspettava con le valigie già pronte e andò all’aeroporto a prendere un aereo per gli Stati Uniti. Andò a Hollywood per chiedere alla Bergman a recitare in Stromboli. Anna Magnani gli spedì un telegramma: le tornò indietro con la scritta «Destinatario sconosciuto».

Anna Magnani chiamava Ingrid Bergman «la traffichina».

Mentre Rossellini girava Stromboli con la Bergman, Anna Magnani prese parte al film Vulcano del regista William Dieterle.

«Non faceva mistero con nessuno della sua rabbia e ogni sera si metteva sulla punta dell’isola, quella da cui si scorgono in lontananza le altre isole Eolie, e mandava colorite maledizioni in direzione di Stromboli, dove l’idillio tra Rossellini e la Bergman aveva il suo momento magico» (Rossano Brazzi a proposito di Anna Magnani ai tempi di Vulcano).

Dieterle, sorpreso dall’imbarazzo della Magnani nel girare una scena d’amore con Rossano Brazzi. L’attrice vorrebbe che fosse tagliata e confessa che in tutta la sua carriera non ha mai baciato i suoi partner, a eccezione di Nazzari ne Il bandito.

Anna Magnani aveva il 35 di piede.

Le scarpe predilette erano quelle di Salvatore Ferragamo. Per le occasioni importanti si faceva vestire da Emilio Schuberth. Per gli abiti di tutti i giorni si rivolgevaalla sartoria della sorelle Botti di via Tevere.

Voleva fare Macbeth con Vittorio Gassman. Lo convocò più volte a casa sua, finché al quinto appuntamento «aggirandosi come una pantera fra i cuscini e i gatti del suo salotto, con la tazza di caffè tintinnante a ogni gesto, mi proclamò tout-court che il progetto di Macbeth era una “stronzata” e che dovevamo mettere in scena La signora delle camelie».

Tra i cani di Anna Magnani: Lula, una bassottina collerica; Luigino, bassotto poi regalato a un tedesco; Pietruccio, bassotto, forse morto avvelenato e sepolto nottetempo alla Piramide di Caio Cestio; Gnaffa, pechinese, affidato all’amica Egle Monti; Nick Carter, siberiano nero, regalato alla baronessa Berlingieri; Micia, una lupa mordace; Pippo, barboncino bianco.

La prima di Vulcano, il 2 febbraio 1950, al cinema Fiamma di Roma, in una serata di beneficenza. Erano presenti anche ministri, ambasciatori e personalità varie. La proiezione fu interrotta più volte per inettitudine dei tecnici. Poi a un certo punto si diffuse la notizia del parto della Bergman. I giornalisti lasciarono la sala prima della fine. Assente Anna Magnani, la spettatrice più attesa: informata dei disguidi tecnici appena uscita di casa, aveva deciso di non andare.

«Anna è come un cavallo di razza. Bisogna tenerlo chiuso nel suo box fino all’ultimo momento, che non sappia nulla e non veda nulla, e intanto gli si deve preparare una pista perfetta. Al momento della corsa si può lasciarlo andare a briglia sciolta. Vincerà di sicuro» (Luchino Visconti).

Durante la lavorazione di Bellissima Anna Magnani si innamorò di un giovane elettricista conosciuto sul set, Ezio Lavoretti, già sposato. Gli prese in affitto un piccolo appartamento vicino casa, con grandi rimostranze della moglie abbandonata. Agli amici che cercavano di dissuaderla: «Il mio più grande difetto è il bisogno di sentirmi amata. L’amore? Se io avessi trovato veramente il grande amore, avrei rinunciato a lavorare».

Durante le riprese di Bellissima trovò una cucciolata di gattini pieni di pulci. Mentre Visconti le spiegava una scena, lei si mise a ripulirli uno per uno. Il regista, stanco della scarsa attenzione, si alzò, ne acciuffò uno e lo scaraventò in un cespuglio. La Magnani, senza fiatare, si alzò, riprese l’animaletto sulle ginocchia e continuò il suo lavoro. Al regista: «Se ti azzardi a farlo un’altra volta giuro che non mi rivedi più finché campi».

«Sarò presuntuosa, ma io non credo di recitare. Io non recito. Recito male se provo a recitare. Vivo quello che faccio o credo di viverlo che è lo stesso» (Anna Magnani).

La volta che Anna Magnani invitò Totò a pranzo. In casa prepararono un grande banchetto, andarono a comprare un pesce enorme a Terracina, tutti erano in agitazione. Ma Totò all’ultimo momento telefonò che non poteva andare: fu depennato per sempre da eventuali altri inviti.

Anna Magnani al fotografo di scena Ciccio Alessi: «A piccole’, quando me fotografi a me, te devi mette dall’alto».

Nel 1952 fu costretta a prendere la cittadinanza di San Marino per sciogliere definitivamente il suo matrimonio con Alessandrini, dato che in Italia non c’era ancora il divorzio.

Ad aprile del 1952 andò per la prima volta in America. Appena arrivata in albergo a New York telefonò al suo amico Indro Montanelli: «Non me lascia’, non me lascia’… Co’ ’st’ascensori che se chiudono da soli». Montanelli andò di corsa e restò con lei durante la prima conferenza stampa.

Con Montanelli al ristorante di Sugar Ray Robinson. Il pugile, sapendo dell’arrivo dell’attrice, voleva essere presente. Appena la vide le andò incontro a braccia aperte. Lei ci si rifugiò dentro e, rivolta ai suoi amici con una smorfia sbigottita: “Ammazzalo, che muscoli!”».

Sugar Ray Robinson consegnò alla Magnani una serie di fotografie con dedica: «Dovete metterne una in ogni stanza della vostra casa. E guai a voi se, quando vengo, ce ne trovo altre di altri uomini». «Bene», rispose lei che non aveva capito niente: «Mangiamo?», chiese facendo con la mano il gesto di chi si porta qualcosa alla bocca. «Sì» rispose Robinson, a sua volta senza capir nulla, «se ce ne trovo un’altra di un altro uomo, me lo mangio!». «Bene!» concluse lei «allora mangiamo!».

«Bette Davis mi ricevette a letto, ci abbracciammo, parlammo insieme per più di un’ora. Questa grande attrice ha, nella vita, una vitalità che sconcerta, di fronte a lei mi sentivo un agnello» (Anna Magnani).

L’incontro con Marlon Brando, che le aveva telefonato una sera mentre lei era ancora a New York. «Arrivò con un viso dolce e timido, e con una rosa infilata in un piccolo strumento africano. Ci guardavamo incuriositi. Pensavo di veder arrivare il Brando delle grosse interpretazioni, violento e profondo. E lui guardava me. “Pensavo di incontrare una donna alta e fatale, con una grande vestaglia”, disse. Mi sentii imbarazzata. Ero tutta il contrario. “Lovely”, aggiunse prendendomi le mani».

Secondo il copione della La rosa tatuata il suo personaggio avrebbe dovuto essere «furioso, quasi pazzo» in una scena con l’attrice Virginia Grey. La avvertì: «Quando interpreto situazioni di questo genere sono veramente furiosa fino alla pazzia. Quindi cerchi di non aver paura». Anche gli operatori la avvisarono: «Stia attenta, la Magnani fa tutto sul serio». Al ciak le diede una borsettata in faccia, poi la prese per i capelli eccetera. Alla fine la abbracciò dicendole: «Eccellente». Ricorda la Grey: «Mentre stavamo girando la odiavo con tutte le mie forze. Mi sembrava che la testa mi si fosse staccata dal collo, non avevo mai avuto a che fare con nulla di simile. Ma il complimento che mi ha fatto è il più bello che abbia ricevuto nella mia carriera».

Quando, in collegamento da una terrazza di Manila, Marlon Brando annunciò l’Oscar per la miglior attrice ad Anna Magnani, il teatro Pantages, dove si stava svolgendo la premiazione, scoppiò in un applauso di quattro minuti.

Dopo l’affondamento dell’Andrea Doria, alla paura di volare aggiunse anche quella di prendere la nave.

Beveva caffè in continuazione e fumava sempre.

Dopo la vittoria dell’Oscar acquistò negli Stati Uniti una jeep.

Quando nel 1956 non prese la coppa Volpi per Suor Letizia si offese e si arrabbiò con l’amico Luchino Visconti, che era in giuria. Non gli parlò più per anni, finché una volta, incontrandolo in un negozio di Rioma, gli buttò le braccia al collo dicendo: «Finiamola!».

Grande ammiratrice di Petrolini, dell’attore possedeva la cassetta del trucco: «Dentro ci sono anche le dita finte che adoperava per Ofelia: "L’amore è facile, non è difficile, se ha da succedere, succederà". È la cosa più cara che ho. Di tanto in tanto, con un gesto, una smorfia, un’impennata, mi sembra anche di possederne un pezzetto d’anima».

Al termine delle riprese di Wild is the wind, durante le quali si innamorò di Anthony Franciosa, decise di lasciare il suo fidanzato, Gabriele Tinti. Lo fece per lettera, dagli Stati Uniti, pregandolo di non farsi trovare a casa quando sarebbe tornata a Roma.

Anthony Franciosa, che durante le riprese e la relazione con la Magnani si sposò con Shelley Winters (la quale poi scoprì il tradimento e fece una scenata agli amanti, sopresi in hotel).

«Che cosa penso di Hollywood? Cosa volete che ne sappia di Hollywood? Nulla» (Anna Magnani).

«Amore mio, eccoti la mia prima lettera da Roma! Come stai dolce muso mio? Che fai? Che succederà di te? Io non sto bene, anche le mie notti sono insonni e solo il tuo caro e dolce telegramma mi ha ridato un po’ di vita. Mi dice quanto mi ami e quanta voglia tu abbia di essere con me, di rivedermi. Siamo, credo, a quattordicimila miglia l’uno dall’altro. Eppure ti vedo ugualmente. Riesco a vedere la tua faccia. Ti vedo per le strade di Hollywood, la simpatica Hollywood che a noi piace tanto. Ti rivedo entrare nel mio camerino, in albergo e poi a New York. Rientrando a Roma non ho avuto nessuna emozione. Mi sembrava di averla lasciata la settimana prima e perciò con nessuna smania di rivederla» (lettera di Anna Magnani ad Anthony Franciosa).

«Ho pianto una settimana quando i russi misero Laika dentro lo Sputnik, pregavo la Madonna perché la salvasse. Quando morì ne rimasi sconvolta come se avessero fucilato un bambino» (Anna Magnani).

Tennessee Williams diceva che Anna Magnani era ossessionata dall’età. Si arrabbiava se le si vedevano le rughe sul collo, ma si offendeva a morte se le applicavano un cerotto dietro la nuca per tenerle stirata la pelle sulla gola.

Continui screzi con Marlon Brando sul set di Pelle di serpente. «Marlon è un grosso bambino che sa diventare un temporale nero. Mi somiglia talmente che ho paura a giudicarlo. È un artista nato e quando si presenta in scena con il suo viso, il personaggio c’è già tutto. Un giorno in cui era molto svogliato gli dico: "Marlon, se mi butti giù non te la perdono perché tu hai una faccia che ti salva sempre, mentre gli altri devono crearsela e faticare"».

«Sono diventata "la Magnani" per caso: ma ora che ci sono voglio che si dica "la Magnani ha cattivo carattere"».

Nonostante sul lavoro discutessero spesso, tra Brando e Magnani c’era un’attrazione non dichiarata ma intensa. Lui era intimorito dall’attrice, che aveva 16 anni di più. Lei, invece, cercava spesso di incontrarlo da sola. Racconta Brando nella sua biografia che ciò avviene un pomeriggio: « Senza alcun incoraggiamento da parte mia, cominciò a baciarmi con grande passione. Mi sentii in dovere di restituirle i baci, ma appena tentavo di sottrarmi lei si stringeva ancor di più e mi mordeva il labbro. Continuavamo a oscillare avanti e indietro, mentre lei cercava di portarmi verso il letto. Alla fine per staccarla da me, l’afferrai per il naso e cominciai a strizzarlo con tutte le mie forze. Presa alla sprovvista, fece un balzo e io riusci a sfuggirle».

Per il film Risate di gioia avrebbe voluto Paul Newman nella parte che poi andò a Ben Gazzara. Invece non gradiva il suo vecchio amico Totò, perché secondo lei declassava il film.

«Ho impiegato molto tempo, e ho faticato per diventare la Magnani. Ora sudo e fatico per continuare a esserlo» (Anna Magnani).

Dopo aver visto Accattone al Festival di Venezia, gettando le braccia al collo di Pasolini: «A Pier Pa’, m’hai da fa’ fa’ un firme co’ te». Il regista si mise subito a scrivere Mamma Roma.

Quando Sophia Loren vinse l’Oscar per La ciociara: «Uno ha tirato fuori che a Bette Davis e a me l’Oscar l’hanno dato perché eravamo vecchiotte mentre la cosa difficile è strapparlo quando si è giovani e belle. Non sono volgarità queste? Non parlo per me. Io non mi considero un’attrice. Se piglio fuoco brucio bene, se no non c’è niente da fare. Ma denigrare Bette Davis perché non è più giovane mi sembra troppo».

Sul set di Mamma Roma apprezzò molto il direttore della fotografia Tonino Delli Colli perché aveva indovinato le luci per il suo naso, che lei chiamava «sciabola».

Gran parte della critica considerò Mamma Roma un’occasione persa. Si sfogò allora la Magnani: «Anche con Pasolini ho fatto la buona e il risultato è stato Mamma Roma, un film anche commercialmente sbagliato. E su chi cade la colpa di simili sbagli? Su di me. Tutti danno la colpa alla Magnani se quei film sono falliti. In Italia c’è uno strano sistema: quando il film viene male ne va di mezzo l’attrice. Si dimentica pure che io non sono un’attrice di mestiere, che riesco a combinare qualcosa solo quando sono libera di fare quello che voglio come uno scrittore quando scrive o un pittore quando dipinge, che non posso obbedire alla tecnica, devo inventare. E poi mi hanno rotto le scatole con questi eterni ruoli di popolana isterica e rumorosa».

«Odio la vivisezione. Sono sorpresa che l’umanità non faccia niente per abolirla perché, al contrario di quello che sostengono i medici, è del tutto inutile. Poi le corride, uno spettacolo morboso, intollerabile, di puro sadismo» (Anna Magnani).

A Zeffirelli che voleva farle fare a teatro Chi ha paura di Virginia Woolf? oppose un no secco. Ricorda il regista: «Mi sbatté letteralmente la porta in faccia con un ultimo avviso: "Non rompermi più con queste stronzate americane"». Quando il dramma andò in scena trionfalmente alla Fenice di Venezia, con Sarah Ferrati, arrivò sconvolta nel camerino di Zeffirelli: «Figlio di puttana. Questa parte era scritta per me! Mi dovevi obbligare. Mi dovevi strozzare. Mi dovevi prendere a schiaffi come faceva Rossellini. Lui lo sapeva come trattare una stronza come me! Chi me la riscrive ora una parte come quella?!».

Applausi a scena aperta nel debutto teatrale de La lupa (regia di Zeffirelli). Indro Montanelli, suo amico, la attendeva in camerino: «Me la vidi tornare che sembrava una lupa davvero, una reduce dall’inseguimento di una muta di cani, i cernecchi ritti e in disordine, le pupille dilatate dal terrore. Mi s’appese al collo e, mentre gli applausi seguitavano a scrosciare in sala, diceva battendo i denti: "Non ce la faccio più, portami via! Portami via! Non ce la faccio più"».

«Per Anna il contatto col pubblico resta sempre un’"ora della verità" che le fa cadere la maschera dal volto e la rivela qual è sempre stata: una creatura timida, irresoluta e umbratile, che qualche volta cerca di far paura agli altri per far coraggio a se stessa» (Indro Montanelli).

Zeffirelli, giudicato negativamente dai critici romani per la messinscena di Romeo e Giulietta, reagì male ai loro commenti. In risposta quelli annunciarono che avrebbero boicottato tutti i suoi spettacoli della stagione. Così non erano presenti quando Anna Magnani debuttò al Quirino con La lupa. Per farsi perdonare, Zeffirelli le regalò una collana con 18 giade, verdi come i suoi occhi: tante quante erano state le chiamate a scena aperta tributatele dal pubblico quella sera.

Nel 1969 Goffredo Alessandrini, da cui era legalmente separata da vent’anni, la citò in giudizio chiedendole gli alimenti. Voleva anche la restituzione degli immobili del valore di una quarantina di milioni di cui era venuta in possesso alla morte del padre. Alla fine lei gli concesse un assegno mensile di centotrentamila lire, che gli versò fino al 1972, quando fu pronunciata la sentenza di divorzio.

«Toglietemi tutto. La carriera, la politica, Mike Bongiorno, il Festival di Sanremo. Ma l’amore no. L’amore è la pioggia, il vento, è il sole e la notte. L’amore è respiro e veleno» (Anna Magnani).

Federico Fellini davanti alla Magnani provava sempre «un po’ di soggezione con quell’aria fosca da regina degli zingari, le lunghe occhiate silenziose, scrutatrici, gli scoppi di risa rauche nei momenti inattesi».

Anna Magnani aveva il terrore delle malattie, si informava, comprava le dipense di medicina e si faceva le diagnosi da sola. Il figlio Luca: « Alla fine era diventata quasi una vittima della sua ipocondria. Quando si è ammalata i medici non l’hanno presa subito sul serio».

Il 5 settembre 1973 fu operata alla clinica "Mater Dei" per un tumore al pancreas ormai in metastasi. Morì alle 18 e 25 del 26 settembre. La radio interruppe le trasmissioni per annunciare la sua morte. Il 28 settembre i funerali nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Roma. Tumulata dapprima nel cimitero del Verano, nel 1988 fu spostata al cimitero di San Felice Circeo, dove aveva la villa tanto amata.

Nell’orazione funebre alla cattedrale di St. Patrick di New York Tennessee Williams ricordò Anna Magnani che di notte portava il cibo ai gatti randagi: « Per lei, che non faceva mistero di preferire gli animali alla gente, era un rito. Sono sicuro che il fantasma di un gatto affamato di Roma siede qui fra noi in questa cerimonia di addio a una grande anima, la nostra cara Anna».

«Ho recitato la parte dell’aggressiva, ma non lo ero. Di qui le mie collere. Ho recitato la parte della pavida quando invece ero un leone. Di qui le mie collere. Ho recitato la parte della coraggiosa quando invece ero un agnello. Di qui, ancora, le mie collere. Povera pazza! Se oggi dovessi morire, sappiate che muoio ricca perché ho capito tutto questo. Sappiate che le mie collere erano solo rivolte contro di me» (Anna Magnani).