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 2015  ottobre 23 Venerdì calendario

I BENI CONFISCATI ALLA MAFIA FINISCONO AI MAFIOSI

In Italia, il Paese dei paradossi, i beni confiscati alla mafia tornano ai mafiosi, che escono dalla porta e rientrano dalla finestra. Nessuno sa, nessuno controlla, nessuno sanziona. Una recente indagine svolta dalla Direzione investigativa antimafia ha svelato che su 10 mila immobili confiscati in via definitiva più di 1.300 risultano occupati, di cui 300 dal malavitoso o dalla sua famiglia. Solo in 570 casi è stata emessa l’ordinanza di sgombero, che non è detto sia stata eseguita. E poi ci sono 8.500 immobili (quindi la quasi totalità della parte restante) «per i quali non si dispone di elementi certi – si legge nella relazione della Dia – e di cui non si può escludere l’occupazione».
Al danno, poi, si aggiunge la beffa. Con il sequestro o la confisca, il malavitoso non è più tenuto a versare l’Imu, pur restando, in sostanza, a casa sua. Spesso e volentieri non paga nemmeno l’affitto, perché la macchina della burocrazia non dà indicazioni su chi deve riscuoterlo. In alcuni casi, addirittura, affitta "in nero" il bene e, ovviamente, non versa le tasse su questo reddito. In pratica, grazie a questo meccanismo distorto, quello che dovrebbe essere uno strumento di lotta alla criminalità organizzata, diventa uno strumento di evasione fiscale: il malavitoso non solo non perde nulla, ma ci guadagna.
Così facendo si alimenta il senso di impunità. La Capitale vale come esempio. Su 1.038 beni confiscati in via definitiva dalla sede romana dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anabsc), 380 risultano occupati e di questi 155 sono occupati dal prevenuto, imputato o dai suoi familiari. Ma la situazione è estendibile a tutte le regioni italiane. I centri operativi della Dia di Bari, Napoli, Catania, Caltanissetta, Catanzaro, Salerno, Milano Messina, Brescia hanno eseguito dei controlli a campione, ne è emerso uno scenario a dir poco sconfortante. Per quanto riguarda il distretto di Bari, ad esempio, l’appartamento sequestrato al clan Stramaglia in una frazione limitrofa è stato affittato a terzi dalla sorella dell’indagato. Quello confiscato al boss sul lungomare Colombo di Palermo è attualmente occupato dai suoi parenti. Stesso discorso per [...] capo indiscusso del clan di Sessa Aurunga: nell’appartamento della cittadina in provincia di Caserta, confiscato dall’autorità giudiziaria, abitano i suoi familiari. Spostandosi a Reggio Calabria il discorso non cambia: l’immobile in via [...] confiscato al boss della zona reggina [...] e quello del comune di Taurianova confiscato a [...] ad oggi ancora nella lista dei latitanti più pericolosi d’ Italia, sono abitati entrambi dal loro parentado. Anche gli esponenti della ’ndrangheta trasferitisi in Lombardia hanno subito un duro colpo al loro patrimonio. Solo sulla carta, però. Gli appartamenti di Roberto [...] nel quartiere Cimiano di Milano, e quello di Pasquale [...] a pochi passi dai padiglioni dell’Expo, sono tuttora occupati dalle loro famiglIe.Ma sonio tanti, tantissimi, gli appartamenti in uso a parenti di primo o secondo grado dei boss dalla Val d’Aosta alla Sicilia.
Il primo campanello d’allarme l’aveva suonato, lo scorso gennaio, la Procura nazionale antimafia e la Direzione nazionale antimafia, presentando la loro relazione annuale. All’esito di una verifica disposta dalla Procura di Torino era emerso che praticamente tutti i beni immobili sequestrati e/o confiscati in sede di misure di prevenzione, rimangano nel possesso dei proposti/prevenuti e/o dei loro congiunti».
A fronte di questa situazione la Dna ha avviato un monitoraggio su tutto il territorio nazionale. Ebbene, dall’indagine della Dia è emerso che i dati forniti dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati non sono omogenei e aggiornati. Anabsc scarica la responsabilità sugli altri, precisando di non essere in grado di accertare chi siano gli occupanti qualora l’amministratore giudiziario non abbia redatto la relazione finale o nei casi in cui si chiedano "lumi" su beni la cui confisca è anteriore al 2010, perché all’epoca la gestione del settore era in mano all’Agenzia del Demanio.
Secondo l’Agenzia, gran parte delle occupazioni sono attribuibili al Tribunale, che dispone il sequestro, ma non ordina contestualmente lo sgombero dell’immobile. Tuttavia, anche in presenza di un ordine di sgombero, l’Anabsc spesso non presenta la richiesta alla prefettura, giustificandosi con la carenza di personale. La prefettura, a sua volta, non esegue lo sgombero, trincerandosi dietro le ragioni di ordine pubblico, e se lo esegue, lo fa almeno dopo anni. Alla fine di questo "scaricabarile", il malavitoso ringrazia. A frenare l’esecuzione degli interventi c’è anche il rischio che arrivino sentenze favorevoli ai proprietari dopo che il provvedimento di confisca è diventato definitivo successo inoltre che i familiari del malavitoso siano riusciti a dimostrare che i beni ritenuti intestati a loro fittiziamente fossero provento di regali. Ad esempio, la moglie di Antonio Iovine, latitante arrestato pochi anni fa, ha esibito bigliettini che accompagnavano i "doni”, ottenendone così la restituzione.
Quando lo sgombero viene eseguito, spesso i malavitosi, prima di abbandonare i propri appartamenti, saccheggiano tutto il possibile, finanche l’impossibile. Un vero e proprio sfregio. Gli immobili, così devastati, sono inutilizzabili. I lavori di ristrutturazione diventano antieconomici e in men che non si dica vengono occupati da sbandati o disperati. Per esempio, in provincia di Caserta, il sindaco di un comune venne denunciato perché permise di asportare dai familiari del boss porte, finestre, sanitari. La giustificazione addotta fu di aver interpretato la norma in un modo diverso: la confisca colpisce le mura, ma non tutti gli accessori racchiusi in esse. Non sono rari neanche i casi di edifici trasformati radicalmente, realizzando più appartamenti da quello originario, o riunendone due in uno. A quel punto cosa che magari ora è diventata la zona notte, lasciando cucina e bagno al malvivente.
C’è poi la difficoltà nel trovare enti come onlus a cui affidare gli immobili, per via dei costi di gestione o della scarsa remuneratività del bene. Per trasformarli invece in caserme, uffici comunali o dello Stato, spesso ci vogliono oltre 20 anni.