Tommaso Lorenzini, Libero 23/10/2015, 23 ottobre 2015
«IL MIO SASSUOLO NATO GRAZIE A ZEMAN E CAPELLO»
[Eusebio Di Francesco] –
Eusebio Di Francesco, il Sassuolo non è mai stato così in alto. Il vostro scudetto potrebbe essere l’Europa?
«Noi dobbiamo raggiungere 40 punti, questa società ha come obiettivo la crescita dei giovani, della squadra, del club. Poi, mai così in alto: è il terzo anno che siamo in A, prima o poi dobbiamo migliorarci».
Il presidente Squinzi a settembre ha sparato alto: “Volevo la salvezza, ora penso allo scudetto”.
«Scherzava, una battuta».
Il rapporto con lui?
«Viene spesso alle partite e si fa sentire al telefono».
Squinzi tifa Milan e qualcuno lo paragona anche a Berlusconi: anche lui le farebbe la formazione?
«No, non fa la formazione, parla pochissimo di calcio, è più esperto di ciclismo. Gli piace giocar bene e prima di tutto vincere: non è come De Coubertin. A me invece piace prima vedere il bel gioco».
Filosofia che piace a Berlusconi. E intanto domenica andate proprio a casa del Milan. Come la prepara?
«Nessuno schema particolare, pensiamo solo a noi stessi altrimenti il resto va a farsi friggere».
È questo il metodo Di Francesco?
«Serve cattiveria agonistica, come nella vita per ogni cosa che si affronta. Io credo tanto nel lavoro del campo, i miei ragazzi vogliono delle certezze e io cerco di dargliele».
Lei com’è con i suoi giocatori?
«Cerco di essere autorevole ai ragazzi ho presentato un decalogo del quale il primo comandamento è “in campo non si scherza”».
Per dirla alla Paolo Conte, “Di Francesco s’incazza”?
«Direi proprio di sì, non alla Capuano e nemmeno alla Ferguson, ma qualche volta è capitato».
Diventerà il Ferguson del Sassuolo?
«Mi piacerebbe molto, ma chissà se in Italia c’è questa cultura...».
Ritorniamo a quel 4 marzo 2014: nello stesso giorno riceve la Panchina d’argento come miglior allenatore e il Sassuolo la richiama dopo i cinque ko consecutivi di Malesani, che lo aveva sostituito. Che ricordi ha?
«Una bella giornata, la panchina è stata il riconoscimento per il campionato di B condotto sempre intesta e giocando alla grande. Poi è arrivata la chiamata e sono stato molto felice. Tutti mi dicevano che ero matto a tornare».
Più felice o sorpreso?
«Sorpreso no, non avevo mai perso contatto col ds Bonato».
Malesani l’ha mai risentito?
«In tv poche sere fa, l’ho salutato e lo rispetto molto, ma di questa vicenda non abbiamo mai parlato».
Quella squadra aveva perso 11 delle ultime 12 partite,
poi si è salvata.
«È stato un campionato anomalo in cui tutte le altre hanno corso poco e questo ci ha permeso di risalire. La vera difficoltà era riportare la giusta mentalità, la rosa era cambiata tantissimo e io in quel mese fuori ho ricaricato le pile».
E ha ricaricato le gambe dei ragazzi. Fa fare gli stessi allenamenti massacranti di Zeman?
«Zeman è stato un riferimento a livello di cultura dello sport, il rispetto di avversari, compagni, ci ha insegnato la cultura del sacrificio. E attenzione, non esistono grandi squadre che ottengono risultato senza correre».
Il boemo cosa vi faceva fare?
«La cosa più tremenda era il “1000 di carattere”. Prima facevamo 9 ripetute sul km e dovevamo stare in un tempo fra 3’15” e 3’20”. A gruppi. Poi arrivava l’ultimo km, si partiva uno per volta ogni 10 secondi e si doveva tentare di prendere quello davanti. Io partivo per primo, una volta ho fatto 2’56”. Così per quattro giorni di fila. Tutti i giorni ti alzavi la mattina e dovevi correre tu, dietro al leone, non viceversa. E il Sassuolo deve fare lo stesso».
Capello? Si ama o si odia?
«Va interpretato, io l’ho apprezzato col tempo. Da lui ho preso tante cose nella gestio-
ne. Quando lui è arrivato alla Roma, Trigoria sembrava un porto di mare: per prima cosa fece chiudere tutte le porte con un codice elettronico: non passava più nessuno. Un giorno stavamo discutendo delle multe, arriva Capello e gli dico: “Mister, c’è la multa anche per lei!”. E lui: “Di Francesco, io faccio le multe”».
E poi è arrivato lo scudetto.
«Una vittoria del gruppo. La prima cosa che ci disse Batistuta fu “sono qui per vincere”. E negli allenamenti ti ribaltava, ogni partitella facevamo a botte, nel modo giusto ovviamente, con Candela era una guerra e poi sempre a mangiare insieme ».
E oggi? La goduria più bella col Sassuolo?
«Il gol di Missiroli a Livorno quando siamo andati in serie A, una liberazione, che lascia ancor ai brividi. Il giorno prima Stefano Borgonovo mi aveva scritto una mail: “Avete paura di vincere?” L’ho fatta leggere dal capitano Magnanelli a tutta la squadra. Entusiasmante».
E quelle 7 reti prese due volte di fila contro l’Inter?
«La “sindrome da Inter”, poi ci siamo rifatti, ma è stata la seconda che mi ha lasciato di stucco. Che botta. Poi abbiamo fatto 9 risultati utilii consecutivi».
Defrel come Zaza?
«Diversi, Defrel non nasce prima punta, noi volevamo Zapata, poi è andato all’Udinese: pazienza. Ma nel mio sistema di gioco è il giocatore che può dare qualcosa in più».
Berardi se ne va alla Juve a gennaio?
«Il club dice che fine a giugno rimane e possiamo crederci al 100%».
Come si recupera uno come Acerbi?
«È rinato prima di tutto come uomo. Ora ha rispetto di sé e dei compagni, mangia alle 12 e alle 19.30, ed è sempre disponibile».
Il calcio è come la vita, la vita è come il calcio.
«Storia vera».
Eppure il Trap dice che “il pallone è bello, ma è gonfio d’aria”?
«Vero anche quello. Si è campioni in campo e fuori, mentre ci sono tanti presuntuosi che non hanno mai fatto un cazzo, come molti miei colleghi, ma straparlano».
A lei hanno dato dell’intellettuale...
«Per gli occhiali, ma ho la terza media. Però leggo e so ascoltare, Nicola Caccia mi chiamava O’Professore».
Ultimo libro letto?
«L’autobiografia di Djokovic, e Il calcio e l’isola che non c’è, di mister Ezio Glerean. Ma leggo anche i motivazionali, come quelli di Coleman, mi danno spunti per il mio lavoro e servono pure ai ragazzi che alleno».
Che non devono mai bestemmiare.
«Mai, non lo tollero, è questione di rispetto. Ogni multa 100 euro di bestemmia: ma non è una questione di soldi, da domani potrei anche chiedere un milione di euro e state sicuri che me li daranno».