Maria Teresa Cometto, Grazia 22/10/2015, 22 ottobre 2015
FERMIAMO LA STRAGE DEGLI ELEFANTI
Questa volta lui non ha nome. O meglio, noi non lo conosciamo. Ma il suo branco, i suoi amici, sì, lo conoscono e sentiranno la sua mancanza, perché gli elefanti ricordano – non a caso si dice “avere una memoria da elefante” – e sono molto intelligenti.
Stiamo parlando del magnifico esemplare di elefante africano ucciso in Zimbabwe, la cui foto ha fatto il giro del mondo la settimana scorsa suscitando sdegno e commozione. Vicino al suo povero corpo accasciato a terra c’era in posa il cacciatore tedesco, non ancora identificato, fiero per il suo trofeo: potrà portarsi a casa le spettacolari zanne, che pesano oltre 50 chili ciascuna. Ha pagato 50 mila euro per un safari di tre settimane, dove ha potuto uccidere anche altri esemplari del poker offerto agli appassionati di questo “sport”: i cosiddetti Big Five includono leoni, leopardi, bufali e rinoceronti, oltre agli elefanti. Solo dall’Italia, secondo stime del Wwf, ogni anno partono 50 mila cacciatori per spedizioni di questo genere in Africa, organizzate legalmente da tour operator. Sì, perché questa volta l’uccisione del maestoso elefante appare al 100 per cento legale, a differenza di quella del leone Cecil, avvenuta in luglio, sempre in Zimbabwe. Ma legale significa anche etico? E davvero la caccia autorizzata è così innocua? Gli elefanti non sono una specie a rischio?
Eccome se lo sono, mi ha spiegato uno dei massimi esperti nella materia, John Calvelli, presidente di 96 Elephants (www.96elephants.org), la campagna lanciata due anni fa dalla Wildlife conservation society. La Wcs ha sede a New York e, oltre a gestire i cinque zoo e l’acquario della città, è un’organizzazione globale che si batte per proteggere le specie animali, con programmi in 60 Paesi. «Da 100 anni i nostri scienziati fanno ricerca in Africa e i loro dati mostrano che la popolazione degli elefanti è diminuita da 1 milione e 200 mila nel 1980 agli attuali 400 mila. In altre parole, ogni anno vengono uccisi circa 35 mila elefanti africani, 96 al giorno: ecco perché due anni fa abbiamo lanciato la campagna 96 Elephants. Insieme con la Clinton global initiative stiamo creando un movimento globale per fermare questa strage: in Europa nostro alleato è già il principe William, duca di Cambridge».
Al ritmo di 96 morti al giorno, gli elefanti africani delle foreste saranno estinti fra dieci anni, ma anche quelli della savana sono ad alto rischio. L’esemplare ucciso dal cacciatore tedesco, in una zona non protetta appena fuori dallo Zimbabwe Gonarezhou National Park, era un abitante della savana. Forse veniva dal Kruger National Park del Sudafrica, noto per ospitare maschi dalle lunghe zanne. Può aver avuto dai 40 ai 60 anni e per questo, nel dibattito aperto online sulla sua morte, c’è chi ha detto che la sua perdita non è così grave. Invece no, spiega un’altra esperta, Caitlin O’Connell, professoressa alla Stanford University: i vecchi maschi sono i saggi del branco e la loro esperienza è importante per gli altri membri. Altri sottolineano che comunque un elefante così eccezionale – con zanne tanto imponenti che non se ne vedevano di così grandi da 30 anni – vale di più da vivo, come attrazione per i turisti, che da morto. Lo stesso presidente della associazione delle guide e dei cacciatori professionali dello Zimbabwe, Louis Muller, ha detto di aver proposto di mettere i collari con Gps a questi animali, per controllarne i movimenti ed evitare che vengano uccisi. Ma nessuno l’ha ascoltato. Lo Zimbabwe è, insieme alla Tanzania, il Paese dove la caccia è un grande affare. E dove le autorità spesso chiudono un occhio. Per questo gli Stati Uniti dal 2014 vietano l’importazione di trofei di elefanti da questi luoghi. Per tutto il mondo, Italia compresa, vale il bando del commercio d’avorio del 1989. Resta però lecito il commercio di avorio derivato da animali uccisi prima di quella data. «Ma è difficile analizzare quanto sia vecchia una zanna», mi dice Calvelli. «Studi hanno mostrato che il 90 per cento dell’avorio venduto è di origine illegale. Per far sembrare antico il materiale, i trafficanti lo mettono nel caffè oppure sotto terra per un paio di settimane, così diventa scuro».
Dal 1989 al 2007 c’è stata una diminuzione della strage di elefanti, poi è ripresa. Una forte domanda viene dalla Cina, grazie al boom di nuovi ricchi: per loro l’avorio è uno status symbol. «Il nemico numero uno degli elefanti», continua Calvelli, «sono i bracconieri, che usano addirittura il cianuro: versano il veleno nell’acqua dove gli elefanti vanno a bere e così ne ammazzano a decine per volta». E Calvelli aggiunge: «Chi organizza il traffico illegale d’avorio spesso fa anche traffico di droga e di armi. I guadagni del contrabbando servono quindi a rendere più instabili i Paesi africani». Per salvare gli elefanti c’è solo una soluzione, secondo Calvelli: vietare il commercio dell’avorio tout court. «Dobbiamo aumentare i ranger nei parchi», dice l’esperto. «Ma alla fine bisogna dire che l’avorio sta bene solo addosso agli elefanti vivi».