Renzo Allegri, Chi 22/10/2015, 22 ottobre 2015
IL MAESTRO E LA SUA MUSA
MILANO – OTTOBRE
Il 30 ottobre 1943 era un sabato. Una giornata di sole, a Roma. Ma anche di paura. L’Italia era nel caos. Il 25 luglio era caduto il Fascismo, l’8 settembre c’era stato l’armistizio e la fuga della famiglia reale. Il 10 settembre i tedeschi avevano occupato la città eterna, e il 16 ottobre avevano compiuto il rastrellamento del ghetto di Roma. E in quell’atmosfera cupa e drammatica nacque una delle più belle storie d’amore del XX secolo, quella tra Federico Fellini e Giulietta Masina, figure mitiche della storia del cinema mondiale. I due si sposarono il 30 ottobre 1943, proprio mentre l’Italia, e Roma, soffrivano le privazioni e gli orrori della Seconda guerra mondiale.
Erano dei ragazzi. Lei aveva 21 anni e lui 22. Si conoscevano da pochi mesi, ma il loro amore era così grande da indurli a suggellarlo con il sacro rito delle nozze religiose, giurando davanti a Dio e agli uomini che si sarebbero amati per sempre.
Giulia Anna Masina era una ragazza minuta, graziosissima. Era nata in provincia di Bologna, ma viveva a Roma, in casa di una zia materna, molto ricca, che si chiamava come lei. La ragazza aveva studiato dalle Orsoline e frequentava la facoltà di Lettere. Ma sognava di diventare un’attrice. Si era già affermata in alcuni spettacoli teatrali dimostrando doti notevoli.
Federico era nato a Rimini. «Era un bambino speciale», mi aveva raccontato sua madre nel 1970. «Aveva una sensibilità grandissima. Aveva fatto l’asilo dalle suore e le elementari comunali. Era bravo in tutto, tranne che in matematica. Aveva un’innata predisposizione per il disegno. Amava inventare storie, di cui scriveva il testo e le rappresentava anche visivamente. Durante gli anni del liceo, per guadagnare qualcosa, con un amico aveva aperto uno studiolo, dove, per pochi spiccioli, eseguiva ritratti ai turisti. A 16 anni collaborava con vari giornali locali, scrivendo articoli e inviando vignette. A 17 cominciò a pubblicare su La domenica del corriere e su un settimanale di Firenze. Finito il Liceo si trasferì a Roma, e si iscrisse a Giurisprudenza, io e suo padre desideravamo diventasse avvocato. Ma le cose andarono diversamente».
A Roma, Federico Fellini continuò a collaborare con i giornali. Entrò a far parte della redazione del Marc’Aurelio, un bisettimanale umoristico di successo. Collaborava anche con periodici di cinema. Conobbe vari artisti, divenne amico di Aldo Fabrizi, per il quale cominciò a scrivere testi e sceneggiature. Fabrizi gli fece conoscere un dirigente della Eiar, la futura Rai, e fu chiamato a lavorare per la rivista radiofonica Terziglio, nell’ambito della quale nacquero Le avventure di Cico e Pallina, una storia a puntate in diretta con avventure e bisticci di una coppia di fidanzati. Protagonista femminile era Giulia Masina.
Federico e Giulia si conobbero verso la fine del 1942, e fu amore immediato. Grande amore. Quella sera lei tornò dalla zia in preda a una visibile eccitazione e continuava a parlare di Federico Fellini. «È strano, misterioso», diceva. «È magro come uno scheletro. Sembra un fachiro, somiglia a Gandhi. È tutto occhi; ma sono occhi profondi, inquieti, indagatori».
Era scoccato il colpo di fulmine. Anche Federico ne era stato colpito. Quella ragazzina dagli occhi languidi da bambina ferita, che si muoveva leggera come l’aria, gli era penetrata nell’anima. A un suo caro amico, il pittore Geleng, disse: «È un peperino piccolo piccolo, mi piace tanto, mi fa tanto ridere». Cominciò a chiamarla Giulietta, e quel diminutivo, che lui pronunciava con dolcezza infinita, divenne famoso in tutto il mondo, non solo per l’amore di Federico, ma anche per i film che lei inseguito interpretò.
I due innamorati decisero di sposarsi. Fellini era renitente alla leva e si faceva vedere poco in giro per la città perché rischiava l’arresto. Si nascondeva nell’appartamento dove Giulia abitava con la zia. Il matrimonio venne fissato per il 30 ottobre 1943. In seguito, Giulia confidò che fin da bambina pensava a quel giorno. Sognava di indossare un abito bianco, con lo strascico, e si immaginava di entrare in una grande chiesa romana, passando tra due ali di una folla di parenti e amici, mentre l’organo suonava la marcia nuziale. Ma la realtà le riservò una cerimonia ben diversa. Molte vie erano pattugliate dai nazisti. La gente aveva paura di uscire di casa. E Federico era in una posizione illegale: avrebbe dovuto essere sotto le armi e invece se ne stava a casa. Vicino all’appartamento della zia, abitava un monsignore molto anziano e non in buone condizioni di salute. Per questo aveva avuto il permesso di celebrare messa nella sua casa. Si chiamava Luigi Cornaggia Medici. Fu lieto di celebrare le nozze dei due giovani nel salotto del suo appartamento. C’erano una decina di invitati, tra parenti e amici. Il pittore Geleng era testimone di nozze per Federico e l’attore Vittorio Caprioli per la sposa. Nello stanzone c’era anche un vecchio armonium da chiesa e Riccardo Fellini, fratello di Federico, che studiava musica, suonò l’Ave Maria di Schubert.
Matrimonio da tempo di guerra. Niente viaggio di nozze. Solo una piccola uscita nel pomeriggio, per assistere a uno spettacolo di varietà. Cominciava alle due e mezzo, perché alle cinque c’era il coprifuoco. Vollero andare perché lo spettacolo era presentato da un loro amico, un giovane attore di nome Alberto Sordi.
Giulietta e Federico avevano un obiettivo segreto. Ognuno dei due aveva – per differenti motivazioni – la stessa meta da raggiungere: la famiglia. Federico ricordava le emozioni che il suo cuore di bambino provava quando il padre tornava dai suoi viaggi e lo prendeva in braccio. Quell’uomo era distrutto dalla fatica, ma non pensava a riposare, si intratteneva a parlare, a giocare con i figli. Federico era attaccatissimo al padre e voleva dei figli e rivivere con loro quelle sensazioni.
Anche Giulietta pensava alla famiglia. Ma in modo diverso. Lei non aveva mai conosciuto quelle emozioni. Era figlia illegittima. Suo padre, un violinista, l’aveva avuta dalla cameriera di casa. La moglie l’aveva accettata per evitare scandali, ma, quando la bambina aveva tre anni, l’aveva affidata alla sorella, che viveva a Roma ed era vedova. Giulietta era quindi cresciuta con la zia materna, che le voleva molto bene, ma aveva sofferto la mancanza del padre. Quando era diventata una signorina, la zia le aveva detto la verità. E quella rivelazione aveva acuito la sofferenza. Ora aveva una famiglia sua e sognava di cancellare quel dolore, per sempre.
Poche settimane dopo le nozze si accorse di essere incinta. Diede la notizia al marito e piansero di gioia. Trascorsero giorni di indicibile dolcezza. Ma al quarto mese di gravidanza cadde dalle scale e perse il bambino. Tornò la tristezza. Alcuni mesi dopo, Giulietta rimase di nuovo incinta. La gravidanza si presentò difficile, ma Giulietta riuscì ad arrivare al termine della gestazione. Il piccolo venne al mondo il 22 marzo 1945. Venne battezzato con il nome di Pier Federico. I due giovani genitori erano al colmo della felicità. Ma lo furono per poche ore. Vennero diagnosticate una broncopolmonite e una encefalite letargica. Federico movimentò tutti gli amici. Grazie all’aiuto di alcuni soldati americani, riuscirono ad avere un farmaco ancora introvabile in Italia: la penicillina. Il farmaco salvò Giulietta, ma non il bambino. Pier Federico visse 11 giorni. «Se ne andò il giorno di Pasqua», ha raccontato in seguito Giulietta. «Quella fu la mia seconda esperienza tragica di maternità. Il parto fu seguito da un’infinità di complicazioni che mi costrinsero all’immobilità per parecchi mesi. Credo di essere arrivata a pesare poco più di 30 chili, un disastro».
Il dolore distrusse i sogni e il sorriso. Si insinuò come un veleno nell’animo di quei due giovani innamorati. Voleva ucciderli. Non ci riuscì, ma lasciò ferite irreparabili.
Dopo quella tragedia, i due giovani sposi si buttarono a capofitto nel lavoro. Quasi a voler dimenticare le sofferenze, la tragedia. La loro professione cominciò a crescere a dismisura. Nacquero i grandi capolavori. Arrivarono i riconoscimenti internazionali. Gli Oscar.
Con il successo nacquero anche le leggende metropolitane, i pettegolezzi e forse degli errori. Federico era attorniato da attrici. Era un uomo di grande fascino. Non si sa fino a che punto abbia fatto soffrire la moglie, ma non si separarono mai.
Un giorno un giornalista chiese a Federico come ricordava il primo incontro con Giulietta e il regista rispose: «Il nostro primo incontro non me lo ricordo, perché in realtà io sono nato il giorno in cui ho visto Giulietta per la prima volta».
L’ultimo anno di vita, il 1993, era iniziato bene. Alla fine di marzo, il regista, accompagnato dalla moglie, era andato negli Stati Uniti a ricevere il suo quinto Oscar, quello alla camera. Al momento dei ringraziamenti, approfittò per fare pubblicamente una grande dichiarazione d’amore alla moglie. Era l’anno del loro cinquantesimo anniversario di nozze. Davanti alle telecamere che trasmettevano in tutto il mondo, Federico, guardando verso la moglie che era in platea e piangeva per la commozione, disse: «Nel ringraziare chi mi ha portato al successo, lasciatemi dire un solo nome, quello di un’attrice che è anche mia moglie e... ti prego, mia cara Giulietta, smetti di piangere!».
A giugno, venne sottoposto a tre interventi a Zurigo. Poi ebbe un ictus e il 31 ottobre morì.
Durante il corso di quell’anno, Giulietta, intervistata da un giornale, aveva detto: «Io voglio andare via con lui». Anche lei era molto malata. Venne ricoverata in ospedale. Ma a un certo momento interruppe le cure, diede ordine ai medici di non fornire più notizie sulla sua malattia e si lasciò morire. Volle morire per amore. Spirò il 23 marzo 1994, cinque mesi dopo la morte del marito.