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 2015  ottobre 22 Giovedì calendario

BILL GATES. IN QUESTI 60 ANNI HA CAMBIATO IL MONDO. MA ANCHE IL MONDO HA CAMBIATO LUI

Ho incontrato Bill Gates di persona in un salotto privato del ristorante Aquaknox al The Venetian Hotel di Las Vegas. Era il 7 gennaio 2008, una data storica per il fondatore della Microsoft: poco prima era salito sul palco del Consumer electronics show, il più importante evento tecnologico al mondo, per annunciare l’abbandono della presidenza della adorata software house, fondata 33 anni prima, per dedicarsi a una nuova missione: salvare il mondo dalle malattie, dall’arretratezza culturale e dalla povertà. Non era la prima volta che lo incrociavo, ma fu a quell’aperitivo che capii chi fosse il vero Bill Gates. Un personaggio che voleva andare ben oltre la figura del tecnocrate monopolista dipinto dai media.
Nel 1975 aveva preconizzato: «Nel futuro vedo un computer in ogni casa e uno su ogni scrivania». Mai previsione fu più azzeccata: oggi desktop e portatili stanno per superare la vertiginosa quota dei 2 miliardi di pezzi. La crescita e il raggiungimento di quest’obiettivo ha permesso a Gates di ricevere la corona di uomo più ricco del mondo dalla rivista Forbes per
ben 16 volte negli ultimi 21 anni, incluso il 2015. Si stima che il suo patrimonio sia di 79,2 miliardi di dollari: 69,7 miliardi di euro. Una cifra figlia di più rivoluzioni visto che, se oggi c’è un sistema operativo che accende i nostri pc e telefonini, molto del merito è suo; se la macchina da scrivere è diventata digitale e si è compressa in una parola e in un programma, «Word», se la calcolatrice in ufficio è andata in pensione in favore delle griglie di «Excel», dipende dal suo fiuto e dalla sua azienda.
Il giorno in cui gli parlai, Gates aveva solo 15 minuti di tempo da dedicarmi. Ma, complice forse il cabernet della Napa Valley con cui accompagnava il suo racconto, resto a parlare per quasi due ore, a dipingere scenari e prospettive gesticolando con le maniche di camicia arrotolate sulle braccia. Fui così il fortunato testimone di un’altra sua previsione che oggi, a distanza di sette anni e in occasione del suo sessantesimo compleanno (cade il 28 ottobre) non può non essere ricordata. Paradossalmente, Bill Gates riteneva che la tecnologia, da sola, non avrebbe potuto cambiare il mondo. Anche se, e sono parole sue, «nel campo informatico siamo solo all’inizio e c’è ancora molta strada da fare, i computer non sono al primo posto nei bisogni umani, né tantomeno lo è internet».
Un’affermazione che, scandita dal padre dei computer, mi aveva lasciato stupefatto. Mentre lo ascoltavo mi tornava in mente una frase di Raul Follerau, filantropo francese che ha dedicato tutta la vita a sconfiggere la lebbra: «La più grande disgrazia che vi possa capitare» scriveva «è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente». Probabilmente Gates ha deciso di spezzare idealmente in due la sua vita e dedicare la seconda metà agli altri proprio per dare un senso alla prima e all’immensa ricchezza accumulata.
Così nel 2000, assieme alla moglie, ha voluto creare la Bill & Melinda Gates foundation. Un’organizzazione benefica che impiega oltre mille persone e si è posta obiettivi ambiziosi: cancellare poliomielite, malaria e Aids dai Paesi più poveri del mondo; aumentare sapere e istruzione non solo nelle nazioni in via di sviluppo, ma anche in quelle avanzate. Come? Se tutte le biblioteche americane sono connesse in rete lo si deve a lui. Gates ha affidato la guida della fondazione a suo padre William H. Gates (che ha 89 anni) e a Patty Stonesifer, ex membro della delegazione americana all’Onu. Il budget che ogni anno mister Microsoft destina alla sua organizzazione benefica ammonta a circa 4 miliardi di dollari (3,5 miliardi di euro), la metà di quanto investe il governo statunitense in progetti simili. Un patrimonio di circa 43 miliardi di dollari (38 miliardi di euro) la rende la più grande organizzazione filantropica del pianeta. Secondo lo scrittore americano Walter Isaacson, Bill Gates ha ereditato la passione e l’impegno per gli altri dalla madre Mary Maxwell (morta nel 1994) che dedicò grande parte della vita al volontariato, riuscendo a farlo convivere con i ruoli di manager ricoperti nel board della First Interstate Bank e dell’Ibm.
A questo punto, viste le sue due vite, è legittimo domandarsi se il filantropo informatico passerà alla storia per il genio per i computer o per l’impegno sociale. «Credo fermamente che tra 50 anni sarà ricordato per la sua opera caritatevole. Nessuno si ricorderà di che cosa fosse la Microsoft e della sua grande stagione imprenditoriale. La gente si sarà dimenticata persino di Steve Jobs (fondatore della Apple e inventore di iPhone e iPad). Ci saranno statue di Gates in tutto il Terzo mondo perché sarà riuscito a curare la malaria». A rispondere, a fornire questa previsione sorprendente, è il canadese Malcom Gladwell, giornalista del Washington Post e New Yorker e autore di saggi best-seller, inserito dal settimanale americano Time tra i 100 personaggi più influenti del 2005. Gladwell dice: «Nella nostra società gli imprenditori sono venerati, sono i nostri profeti, ma in verità la loro condotta è amorale perché ossessionata dai risultati dell’impresa che guidano. Dominano i mercati, ma non sono in grado di guadagnarsi il livello di santità che caratterizza chi s’interessa al sociale, agli altri». Come sta facendo Gates.
Certo, Bill Gates non è il prototipo di un santo: spesso è stato bollato dai rivali come un monopolista senza scrupoli; più di una volta la Microsoft è finita sotto la lente delle autorità che regolano la concorrenza nel mercato e non gli hanno risparmiato sanzioni. All’Antitrust di Bruxelles non è mai andato giù il legame automatico tra Windows e Internet Explorer: chi sceglieva il sistema operativo si trovava automaticamente a dipendere dal browser di Redmond. Nonostante gli impegni presi a fornire più opzioni, per molti utenti la scelta rimaneva obbligata. Risultato: una multa da 561 milioni di euro. Complessivamente, dal 2004 la Microsoft ha pagato alla Ue circa 2 miliardi di euro.
Alla fine, comunque, il padre della Microsoft ha trovato una sintesi tra le due metà della sua vita: vuole fare del bene attraverso la tecnologia. Convinto che la riduzione della povertà coincida con un più ampio ed economico accesso all’energia, ha investito in TerraPower, un’azienda che basa la sua forza su un rivoluzionario ed evoluto processo in grado di trasformare l’uranio impoverito in elettricità. Un procedimento molto più low cost del fotovoltaico e dell’eolico. Il tutto tramite un reattore di nuova generazione, che genera poche scorie e garantisce alta sicurezza.
Potrà sembrare una scelta controversa, ma è con le decisioni fuori dal coro che Bill Gates ha costruito i pilastri del suo successo. Una di queste scelte, la più importante, risale alle origini. Quando il giovane programmatore che aveva lasciato Harvard per scrivere righe di codice, si trasformò nel padre di tutti i computer. Una storia che pochi conoscono. La Ibm, nel 1980, stava cercando un sistema operativo per la sua nuova linea di computer. All’epoca c’era un programmatore, Tim Patterson, che aveva progettato il Qdos (Quick and dirty operating system), un sistema che avrebbe potuto risolvere i problemi dell’Ibm.
E qui entra in scena Gates. La leggenda narra che quando i dirigenti di Ibm si presentarono a casa di Patterson per acquistare il software trovarono solo la moglie. Lui era fuori per affari, irraggiungibile. Molte biografie non autorizzate ritengono che Patterson fosse al lago a pescare, e che a invitarlo fosse stato proprio Gates. Che contemporaneamente acquistò il software di Patterson per 100 mila dollari per poi modificarlo, perfezionarlo, ribatezzarlo MS-Dos (dove MS sta per Microsoft) e rivenderlo all’Ibm. Non cedendo il software, ma solo la licenza di utilizzo. Un modello di business che vale ancora oggi. Fu quella la svolta che reso miliardario Gates, il quale potè così distribuire MS-Dos a tutti i produttori di pc. Che da allora hanno pagato una percentuale per ogni computer venduto. Il suo sistema operativo è diventato uno standard mondiale, protetto da copyright.
Ma al di là dei traguardi tagliati in campo informatico, degli investimenti e delle sfide nel sociale, la figura di Gates affascina più di una generazione perché è il prototipo del self-made man, dell’uomo che si è fatto da solo credendo in sé stesso, nella forza delle idee e della sua cocciuta determinazione. È un po’ il paradigma, il fuoco che ispira tutti gli start-upper del mondo, Italia inclusa. Bill Gates è il loro padre putativo. Anzi, viste le 60 candeline potrebbe accettare di essere definito quasi il nonno. Ma uno di quelli lontani anni luce dalla pensione, con ancora tante energie. E storie da scrivere.