Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 22 Giovedì calendario

L’ULTIMA DI MARINO: VERIFICA IN AULA ACROBAZIE DI UN ARCITALIANO A ROMA

L’americano Marino s’è rivelato l’arcitaliano Ignazio. Concentrato di tutti i caratteri nazionali più tipici dei politici tradizionali. Ogni giorno una trappola.
Ogni giorno, chiuso nel suo bunker, inventa una nuova manovra. Adesso è la volta della «verifica» a cui dovrebbe seguire, in questo surrealismo magico, l’ennesimo «rimpasto». Tutto deve servire, come nella politica più politicante anche se lo slogan tradito era «Questa non è politica, è Roma», ad escludere le dimissioni che furono annunciate e subito annacquate («Ho venti giorni per confermarle»), ribadite e insieme semi-negate e pasticciate in un’infinita soap opera che in realtà è già arrivata a conclusione. Come sanno tutti e soltanto il suo interprete principale fa mostra di non essersene accorto. Per fargli trovare la consapevolezza della fine, non potrebbe bastare neppure questa perfetta formula di Baltasar Garciàn, che è stata utile a molti politici più grandi e più generosi di Marino: «È regola dell’uomo avveduto abbandonare le cose che lo abbandonano. Cioè non aspettar di essere un astro al tramonto».
La non rassegnazione alla realtà rende meno onorevole la resa di Ignazio, meno dignitosa la sua uscita di scena. E tutto ciò fa di lui un abusivo. Che non accetta l’ingiunzione di sfratto, pur essendo moroso rispetto ai cittadini che non ha saputo ripagare della fiducia e della pazienza che gli hanno accordato, e resta abbarbicato a una condizione di auto-referenzialità che non fa bene nè a lui nè alla città. Si capisce che non voglia passare per la sentina di tutti i mali. Questo è umano. Ma Marino non può pensare che tutto ciò che sta dicendo e facendo non suoni ricattatorio per il suo partito e per la città. Spazia, aricitalianamente, tra il vittimismo e lo scaricabarile sui propri collaboratori della questione dei rimborsi spese, dall’evocazione di chissà quale complotto ai suoi danni al «non sono indagato» quando invece le indagini sono ancora aperte, da delibere posticce e hard come quella sui Fori Imperiali da pedonalizzare in maniera integrale e integralista al sibillino sventolare dei suoi diari segreti. E «farò i nomi e i cognomi di chi mi ha chiesto i favori».
Vittorio Gassman diceva che la grandezza di un attore si vede dalla maniera in cui è capace di uscire di scena. Carmelo Bene, in un suo monologo, spiegò che a un attore, quando non sa che cosa dire, «non resta che sproloquiare». Ma qui manca appunto il gran teatro. E già questo «de minimis», vista la maestosità di Roma, è fare un torto a questa capitale che merita altri spettacoli - ma soprattutto un’altra politica - più all’altezza della propria storia.
Non si rende conto, l’ignaro Ignazio, che il campo in cui sta abusivamente giocando è Roma e non il Campidoglio. Mentre egli sfoglia la sua margherita, con l’alternarsi dei petali del «me ne vado» con quelli del «non me ne vado» o del «me ne vado anzi me ne resto» in una commedia così assurda che è più disperante del tragico, i cittadini sono costretti ad assistere con fastidio o con rabbia a questo esercizio. Anche perché i romani, più ancora del Pd o del governo, hanno già voltato pagina rispetto alla parentesi Marino. Ben consapevoli che se la ”causa prossima” della caduta del sindaco sono gli scontrini, la ”causa remota” di questa fine sta nel malgoverno e nell’incapacità amministrativa che ha sprofondato la Capitale nel baratro da cui tenta di rialzarsi senza voler patire sofferenze supplementari. Roma chiede soluzioni vere per se stessa - un commissario forte e poi un nuovo sindaco - al netto di improbabili «verifiche», di immaginari «neo-rimpasti», di inconcepibile «terzo tempo» dopo il fallimento della «fase 1» e della «fase 2» e mentre si aggrava ogni giorno di più lo scollamento tra la coscienza pubblica e l’incoscienza personale di chi dovrebbe rappresentare una comunità e non è disposto a farlo.
Se Marino voleva salvare la memoria di Marino, ovvero di quelle cose positive che ha immaginato o tentato di fare, doveva gestire meglio il proprio tramonto. Invece di imprigionarsi in un format da abusivo e trasmettere il messaggio per lui più nocivo e che suona così: ora non combatto più per niente e mi interessa una sola causa, me stesso.