Simone Cosimi, DLui – la Repubblica 17/10/2015, 17 ottobre 2015
COM’È SELVAGGIO IL WEB
Non è più il cybercrimine di una volta, confinato ai grandi gruppi industriali e distante dalla nostre vite. Oggi le minacce sono per tutti e vengono sia da chi ruba dati aziendali, sia da chi sottrae informazioni intime, preferenze sessuali, numeri di carte di credito. Dal Sonyleak del 2014, clamorosa breccia nei server della branca Usa della multinazionale giapponese, allo scandalo Ashley Madison (37 milioni di utenti colpiti e qualche suicidio), fino al furto delle schede clienti di Jp Morgan Chase (79 milioni)e eBay (145 milioni), passando per la casalinga che apre un messaggio infetto mentre chatta con le amiche.
Il mercato è redditizio, fare i criminali in rete conviene. Secondo dati Trustwave, hacker e cracker (la definizione più esatta, per i pirati informatici) hanno ritorni del 1.400% rispetto all’investimento iniziale. Per McAfee, azienda leader nella sicurezza, l’impatto sull’economia mondiale si aggira sui 450 miliardi di dollari.
Il punto è che anche un criminale in erba può fare danni enormi acquistando l’occorrente per disattivare gli antivirus: programmi trojan, vettori d’infezione e crittografia sono merce facile, nel mercato nero del web. Spesso sono bombardamenti a grappolo, infezioni su larghissima scala che sfruttano la debolezza di un’infrastruttura. Internet, pensata 50 anni fa. Nel secondo trimestre 2015 si sono abbattuti sugli utenti italiani 10 milioni di malware (programmi “cattivi”) per 4 miliardi di minacce (dati Trend Micro). Gli attacchi si scatenano sempre più via mobile. Il boom dei ransomware (i programmi che infettano e chiedono un riscatto, in inglese musoni) nella messaggistica degli smartphone lo conferma. WhatsApp, con i suoi 900 milioni di utenti, è al centro di frequenti allarmi per virus che si autoinstallano aprendo allegati multimedia e prendendo in ostaggio alcune funzionalità del telefonino. In tal caso, come per Cryptolocker, che colpisce i pc, sembra che l’unico modo per uscirne sia pagare in Bitcoin. Non fatelo, ci sono altri mezzi.
Tra hacktivism anti-multinazionali, cyberwar e banditismo, quasi sempre manca consapevolezza. Clusit, associazione italiana per la sicurezza informatica, rileva che nell’ultimo anno il 39% delle aziende ha subito almeno una violazione e nel 40% dei casi non si è capito quale fosse il punto vulnerabile. Il saldo mondiale? Tra perdita dati e blackout ai sistemi, dice Emc Global Data Protection Index, 14 miliardi di dollari.