Giovanni N. Ciullo, DLui – la Repubblica 17/10/2015, 17 ottobre 2015
POP PORNO – [SEMPRE PIÙ VIRTUALE E AMATORIALE IL MONDO DEL PORNO...]
POP PORNO – [SEMPRE PIÙ VIRTUALE E AMATORIALE IL MONDO DEL PORNO...] –
Per addicted e addetti ai lavori, tre episodi raccontano al meglio il porno d’oggi. Il primo risale all’ultimo Mondiale: mentre il Brasile veniva stracciato in casa dalla Germania per 7-1, quelli di YouPorn (mega piattaforma di sesso online) dissacravano il calcio con post tipo: «La sezione “umiliazione” del sito ora è completa». Il secondo, invece, riguarda Wikipedia: senza i soldi fatti dal suo fondatore, Jimmy Wales, con Bomis – portale che con 2.95 dollari dava l’accesso a tre giorni di foto e video hot – oggi la più grande enciclopedia al mondo forse non esisterebbe. Il terzo, infine, accadde al lancio negli States dell’assicurazione sanitaria voluta da Obama: quando il portale crollò per le troppe richieste, Pornhub (la YouTube del settore) mise a disposizione «i nostri talentuosi ingegneri». La Casa Bianca declinò l’offerta dei nerd a luci rosse, ma fu un chiaro segno dei tempi.
«Il porno è morto, viva il porno»: un mondo capace di rigenerarsi, più virtuale ma sempre vitale, che non conosce crisi di popolarità. Anzi oggi si parla addirittura di “pop porn”, di massa cioè, con un boom sottolineato dai numeri: 15% dei siti, 30% del traffico e 35% dei download a tema; 16miliardi di pagine hot, più di due per ogni abitante del pianeta, caricate ogni mese; 30mila persone che consumano ogni secondo pornografia; visitatori unici di Xvideos e YouPorn che superano quelli dei 50 maggiori siti di informazione on line. Un successo acclamato, insomma, per un porno che a sentire i sociologi è anche soft, fast e smart. Soft: perché ruota intorno al sesso, senza essere per forza finalizzato all’atto sessuale in senso stretto. Fast: perché il consumo è facile e veloce (la durata di visione dei filmati on demand non supera i 10/12 minuti, quella di permanenza su YouPorn i 9). Smart: perché è sempre più diffuso e “intelligente” grazie all’uso delle tecnologie: con le app (all’OkCupid o alla Tinder) diventate le piazze della seduzione usa e getta, mentre l’avvento dell’amatoriale e dell’esibizionismo (hot-selfie, webcam) ha trasformato ognuno di noi in una piccola “pornostar” fatta in casa.
UOMINI & BUSINESS
Certo le donne avanzano, rosicchiano fette di mercato e occupano nicchie, ma il pianeta XXX resta un mondo a predominanza di uomini. Che infatti sono il 72% degli utenti, soprattutto nella fascia 35-49enni (a smentire che sia una cosa da giovani con ormoni impazziti o smanettoni), che “comprano” l’85% della pornografia e che se lo fanno hanno un tasso di propensione al tradimento triplo rispetto alle donne, uomini che infine nel 38% dei casi in cui scaricano un’app ammettono che è per avere un rapporto sessuale “senza un domani” (curiosità: le parole più cercate quest’anno sono “teen” e “milf”, mentre Mia Khalifa è la web-star più cliccata). Così qualcuno scherzando suggeriva di chiamarlo addirittura e-entertainment: non da electronic, ma da erectile. E a dimostrare che è la domanda (maschile) a trainare l’offerta (femminile), un ultimo dato: a guadagnare nel settore sono le pornostar (fra i 400 e i 4mila euro a video) o le cam-girl (anche 5 euro al minuto), fino a tre volte di più rispetto ai colleghi uomini.
Ma di che business stiamo parlando? Cifre ufficiali non esistono, la rete e i suoi meandri non aiutano, la pirateria brucia ogni anno oltre 10 miliardi di dollari e nessuno dei grandi operatori del settore è quotato in Borsa. Con il risultato che se sugli organi sessuali delle pornostar non c’è alcun segreto, in fatto di trasparenza economica siamo a zero. Eppure c’è chi azzarda che – tra siti internet, spot e banner, app, abbonamenti premium, video, tv via cavo, pay-per-view, in-room negli hotel, linee erotiche, cam-girl, sex club e magazine – si tratterebbe di un giro d’affari che sfiora i 100 miliardi di dollari (dai 10 dei soli Stati Uniti ai circa 2 dell’Italia). PigData, li aveva definiti Wired giocando con le parole (da pig: maialino, ndr), in cui la fetta della torta più grossa è in mano a pochi operatori come l’ex-gruppo Manwin, oggi MindGeek, grande holding del porno con sedi in Lussemburgo. Dublino, Amburgo, Miami, Londra e Nicosia e ricavi netti (grazie a YouPorn e PornHub, per citarne due) in crescita esponenziale.
Eppure finora in pochi sono disposti a pagare. «Si è insegnato a una giovane generazione che non è cool, anzi è da sfigati, pagare per il sesso», dice Nate Glass, ceo di Takedown Piracy, agenzia che si occupa di lottare contro la pirateria nel settore. Lamentela che fa eco a quella lanciata da Silvio Bandinelli, il regista-produttore più impegnato nella cinematografia pornografica in Italia: «La nostra industria è stata falcidiata dalle nuove tecnologie gratuite. Le piattaforme web hanno cannibalizzato il mercato. Ed è l’ora del porno low cost». Eppure Rocco Siffredi, nume tutelare in materia, dice: «Il business è cresciuto grazie alla rete. In tanti paesi dove il porno era tabù le visualizzazioni dei siti (alla Xvideos, da record in Indonesia, Filippine e Vietnam, ndr) sono altissime. E di conseguenza i guadagni». Ed è così: il mercato si allarga e arriva dove era impensabile. Perché se da tempo in California c’è una Sex Valley, se in Europa è l’Est a monopolizzare le produzioni porno, le ultime novità sono l’avvento di una Bollywood hot e un dato sui Bric (Brasile, Russia, India e Cina) dove gli abbonamenti ai siti specializzati sono decuplicati nell’ultimo quinquennio. Proprio in Cina, infine, il caso dell’anno: il filmato porno girato nelle cabine prova di Uniqlo a Pechino. Con arresto dei protagonisti, ma tanto di pellegrinaggi con selfie davanti al negozio.
15 MINUTI DI SEX-CELEBRITÀ
«La verità è che morto un porno se ne fa un altro», dice Jack Jeremy, 27 anni, uno dei giovani informatici che a Los Angeles si occupa di far funzionare il sistema, dando agli utenti quello che esattamente si aspettano. «Così ora è tutto basato sulla geolocalizzazione e sul down to fuck, ovvero i rapporti sessuali da consumare in fretta. Ma è anche il tempo del glamcore, ovvero di film porno soft girati in ambienti raffinati. O dei contenuti ad hoc per tablet, adatti alla banda larga». Però, a sentire lui, è l’anonimato la caratteristica nuova, quella che sta cambiando le regole del gioco. «Il nome che utilizzo per lavoro? È finto. E d’altronde come potrei spiegare a mia nonna che devo guardare centinaia di migliaia di penetrazioni, di rapporti orali, di pratiche di vario genere a caccia dell’algoritmo magico”?».
«Tutti possono nascondersi, ma esibirsi al tempo stesso, grazie a uno smartphone o una webcam», dice Houston, nome d’arte di una delle più famose attrici a luci rosse degli anni 90. «Sono felice di essere stata sulla cresta dell’onda quando venivo trattata come una regina». Oggi, invece, chiunque può decidere di prendersi i suoi 15 minuti da porno-celebrità. In (How to) Make Love Like a Porn Star, Jenna Jameson sostiene la stessa cosa: «Il vero successo di questo pop porno è la comparsa dei video amatoriali, delle app e dell’esibizionismo fatto in casa». E infatti lei, cogliendo il trend, ha costruito una fortuna (30 milioni di dollari annui di fatturato) con il suo e-commerce di sex toys e gadget a domicilio, comprati ovviamente per il 90% da uomini (magari anche per le proprie compagne). Perché alla fine le fantasie contano e anche in questo nuovo porno – diventato di massa, popolare – la testa fa più del corpo. Come diceva Jeff Bridges, nel Grande Lebowski: «Gli uomini spesso dimenticano che è il cervello la loro più grande zona erogena».