Pietro Cheli, Amica 21/10/2015, 21 ottobre 2015
ANDIAMO A PALAZZO
Si vede da lontano. Arrivando dal centro di Roma o dall’aeroporto di Fiumicino, il Palazzo della Civiltà italiana (quello dove in cima è scolpito “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi...”) domina non solo l’Eur, il quartiere progettato a fine Anni 30 del secolo scorso per ospitare l’Esposizione Universale del 1942, che non ci fu causa guerra. Eterna promessa di un futuro mai realizzato, da oltre 70 anni questo monumento in marmo galleggiava nel cielo e sui pini della capitale finché, come per una bella addormentata, non è arrivato un gesto a risvegliarlo. Nel tempo ha ospitato attività ed eventi, senza una vera destinazione d’uso fino a due anni fa, quando la Maison Fendi ha annunciato di averlo affittato per i successivi tre lustri come quartier generale. Quando scendo dal taxi in una tarda mattinata piena di sole, nel salire la scalinata (ripresa in tanti film da registi importanti, a memoria cito Federico Fellini, Michelangelo Antonioni ed Elio Petri) mi chiedo che cosa si provi a lavorare qui dentro. Responsabilità, timore reverenziale ma anche (e soprattutto) eccitazione sono le parole che via via sentirò ripetere nel corso della giornata. La prima domanda è: come ci siete arrivati? Stavo già immaginando elucubrazioni visionarie quando, a sorpresa, scopro che è stato un caso, un colpo di fulmine, «tramite un amico di un amico», racconta Pietro Beccari presidente e amministratore delegato. «Sono arrivato qui nel 2012, ho iniziato a cercare una sede per unire tutti, il passo iniziale per creare una cultura aziendale. E mi sono reso conto che non era certo facile trovare un posto per più di 400 persone, con atelier di pellicceria inclusa. Poi, è saltata fuori questa opportunità, quasi non ci credevamo. Visitandolo il primo pensiero è stato “troppo grande, sette piani”. Ci siamo accorti che mancavano impianti, servizi ed era difficile adattare a uffici ambienti con nove metri di soffitto. Ma mi sono innamorato subito dell’idea. Così siamo qui: le idee semplici sono le più potenti».
Al piano terra, c’è uno spazio espositivo per progetti legati al made in Italy e all’artigianalità, ora si racconta con foto e installazioni la storia del palazzo: è Una nuova Roma. L’Eur e il Palazzo della Civiltà Italiana, mostra aperta dal 23 ottobre al prossimo 7 marzo.
Sopra, in atmosfere ovattate, strutture mobili (tutto può essere smontato per tornare com’era, ma più restaurato) e arredi, che riprendono le sfumature del marmo (sugli armadi in legno ci sono i motivi delle tavole di pellicceria, uno diverso per ogni piano), formano un posto di lavoro unico al mondo. Una spugna che assorbe i rumori regalando lunghi silenzi diversi e, soprattutto, un senso di protezione forte.
Banale dirlo ma un po’ di invidia viene: tanta luce (le pareti esterne sono immensi finestroni affacciati su un lungo terrazzo nascosto dalla struttura architettonica), calma e tranquillità. «È uno spazio così aperto che rende ariosi, i pensieri volano come il vento che entra nella balconata», racconta Silvia Venturini Fendi, creative director. «Mi piace pensare che sia un formicaio dove ognuno di noi fa parte di un andirivieni continuo. E poi si domina la città, ma non è uno sguardo sul dettaglio, piuttosto una visione aerea. Aldilà dei volumi che lo rendono superlativo, quello che colpisce è il rapporto con il cielo e il sole, ma anche l’aria tra gli archi. E la pioggia. Sembra di stare su una nave in tempesta: quando la natura si esprime con violenza vorrei girare un video». Un’atmosfera che facilita la creatività, quella relazione tra responsabilità ed eccitazione cui accennavo, «noi dell’ufficio stile, i primi a trasferirci, stavamo ultimando una collezione quando siamo arrivati qui a febbraio. Subito ci ha ispirato una purezza di linee».
D’altra parte Fendi nasce 90 anni fa, in un periodo in cui si afferma l’estetica razionalista, che ha in questo Palazzo una delle più note espressioni architettoniche, «e quindi i nostri colori e dettagli nonostante fossimo romani sono più geometrici che barocchi», sottolinea Silvia Venturini Fendi. A lei che ha ideato borse immortali, come Baguette e Peekaboo, viene da chiedere che cosa ispirerà questo Palazzo: «Stiamo andando verso microbag. E non è un caso», sorride. «Come dice Karl Lagerfeld dobbiamo essere pagine bianche».
Il genio creativo tedesco, da 50 anni punto di riferimento per lo stile Fendi, è presente nelle idee, nei discorsi (anche nella sagoma cartonata qui sopra) e in quell’«invito a guardare sempre oltre» che si prova camminando tra questi spazi. Visitando le varie aree, scendendo nel laboratorio di pellicceria (unica struttura sottoterra) e salendo sino alla terrazza (da cui si dialoga con i maggiori monumenti, Cupolone incluso) la sensazione è che il trasloco sia un punto di svolta tra passato e futuro, una nuova visione che non dimentica una storia lunga. D’altra parte cambiare rimette tutto in gioco, ci fa sempre trovare quell’energia che neanche immaginavamo e così mi pare sia accaduto all’azienda che a inizio autunno ha traslocato totalmente.
Per rendere tutti più partecipi Pietro Beccari insiste sul concetto di trasparenza: «Questo edificio la rappresenta. Ci piacerebbe che chi lavora qui si senta coinvolto in ogni fase, e quindi non solo informazioni sulla direzione che stiamo prendendo, ma anche scambio rapido e continuo di idee, oltre alla disponibilità ad accettare critiche». Nel progetto, a proposito mi sono dimenticato di citare l’architetto Marco Costanzi che ha fatto un lavoro eccezionale per realizzare l’effetto bella addormentata, tutto è aperto, non ci sono muri divisori tra le scrivanie, al massimo strutture in cristallo. «Qui ricominciamo tutti sotto lo stesso tetto, e quale! Non lasciamo il centro, ci sono grandi progetti: per ora le posso dire solo che la prossima primavera aprirà Zuma (ristorante giapponese nato a Londra nel 2002 con tanti locali sparsi per il mondo, ndr) negli ultimi due piani dello storico Palazzo Fendi». Mentre qui all’Eur ancora Beccari, poco prima di salutarmi, sottolinea «c’è energia positiva, aiuta a essere ottimisti. Noi dobbiamo inventare, la scorsa estate lo abbiamo fatto proponendo durante la Couture a Parigi la prima sfilata di alta pellicceria. In questi muri c’è un’estetica straordinaria come quello che facciamo: siamo un’azienda internazionale che parla con accento romano, e quindi buon gusto, ma scelte eccentriche. E poi, come dice Karl Lagerfeld, qui tra mare e città, c’è la più bella luce di Roma. Così tanta che ti fa sentire ambizioso, più sicuro di ciò che fai, sebbene io», conclude Beccari, «mi vesto sempre di nero, di blu quando sono proprio allegro». Lo era il primo giorno in cui è entrato in questo nuovo ufficio? «Certo, era il 3 febbraio e la prima cosa che ho fatto è stato un selfie, con senso di orgoglio e di excitement. L’ho tenuto e ogni tanto me lo riguardo. È contagioso, pure Karl ogni volta scatta un sacco di foto con il suo telefonino!». Anche io, ovviamente, non ho resistito.