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 2015  ottobre 21 Mercoledì calendario

QUELLE ACROBAZIE TRA SERBIA E CINA

Era la mattina del 13 febbraio 2013 e sulla Popolare di Spoleto, piccola banca di provincia e unica a essere rimasta indipendente in Umbria, cadde la scure di Bankitalia: commissariamento. Era il secondo nella pur breve storia dell’istituto. Ed era tutto tranne che che un fulmine a ciel sereno: arrivava dopo due anni di braccio di ferro tra il dominus Giovanni Antonini,vero padre-padrone della banca che la guidava da più di 10 anni, e Via Nazionale.
Dall’estate 2011 gli ispettori spediti da Bankitalia avevano riscontrato pesanti irregolarità nella gestione della banca, che era tutt’altro che solida. E avevano dato l’ultimatum: azzeramento dei vertici o commissario. Il riottoso (alla moral suasion di Bankitalia) Antonini, poi finito anche agli arresti per tentata corruzione di un giudice del Tar, se ne uscì con una mossa da furbetto: si dimise dalla banca, ma si fece nominare a capo della cooperativa Scs, che la medesima banca controllava. Le porte girevoli.
La banca, a fine 2012, faceva acqua da tutte le parti: insufficiente la liquidità (con uno sbilancio del 200%) e la tenuta patrimoniale (con un totale di 510 milioni di crediti deteriorati, pari al 16% degli impieghi); completamente disatteso il piano industriale, la vecchia gestione sembrava per lo più interessata a dare soldi agli amici (come all’azienda edile locale Baronci che pur in dissesto continuava a essere finanziata dalla Bps mentre tutte le altre banche rientravano dei fidi).
A Spoleto, sotto la vecchia gestione Antonini, piacevano le “relazioni pericolose”: da quelle, creditizie, con il rampante immobiliarista Danilo Coppola; a quelle, societarie, con misteriosi finanzieri serbo e cinesi. Il caso più clamoroso è quello della Partecipazioni Immobiliari, società riconducibile a Silvia Necci, la moglie di Coppola. Un prestito incagliato, da 2,5 milioni, concesso in soli due giorni e con garanzie traballanti. Le cose iniziano a mettersi male: sempre nel 2012 la banca chiede al mercato prima 30 milioni, con un aumento di capitale, e poi altri 70 con un bond convertibile. Nel frattempo, si consuma il divorzio con il socio storico Mps (la banca senese deteneva il 25% e un accordo di bancassurance) e la cooperativa controllante Scs dovrebbe tirar fuori 100 milioni per ricomprarsi la quota. Ma visto che la Scs quella somma non ce l’ha, ci vogliono nuovi soci. Tutti i contatti, scoprirà poi Bankitalia, si riveleranno «di dubbia affidabilità». Come quello con un tale Zoran Markovic, investitore serbo che alcune voci volevano addirittura gestore del tesoro di Slobodan Milosevic, il dittatore morto sette anni fa (rumor però smentito dall’avvocato di Markovic).
A quel punto, arriva Bankitalia a fermare il dissesto della banca dove alla guida era salito Nazareno D’Atanasio, scomparso imprenditore locale ma ritenuto anch’egli vicino ad Antonini. Tuttavia anche dopo l’arrivo dei commissari alla Spoleto, ben tre per dipanare l’intricata matassa, i soci della Scs, legati alla vecchia gestione Antonini cerca di rimettere le mani sulla banca. Fioccano i ricorsi da parte dei soci della Scs (la cooperativa ha circa 20mila piccoli azionisti): sostengono che il commissariamento sia illegittimo. Uno di questi viene anche accolto dal Consiglio di Stato. Dalle mosse degli ex soci Scs, parte della galassia Antonini, inizia l’azione della Procura che è arrivata a lambire il governatore della banca centrale. Ma in realtà il tribunale amministrativo di secondo grado aveva rilevato soltanto delle irregolarità nell’iter burocratico e non contestava la bontà del commissariamento.
A luglio dell’anno scorso, bussa alla porta della Bps la fantomatica Nit Holding, finanziaria di Hong Kong già salita alle cronache perchè tempo prima che si era candidata a investire in Mps. A Siena aveva promesso la cifra monstre di 10 miliardi di euro ma tutto si rivelò un bluff. Poi il procuratore di Nit in Italia, il duca Rodoldo Varano di Camerino, compare a Spoleto: 100 milioni per comprare la Scs e altri 140 per salvare la banca. A garanzia si mostrano estratti conto di fondi presso la Zao Bank di Mosca, del gruppo Unicredit. Esultano i soci della Scs che minacciano pure querela quando i commissari osano rifiutare una così prodigiosa offerta. Peccato che, si scoprirà poi, quelle carte fossero falsificate e i soldi inesistenti.
Le uniche due offerte serie per salvare la PopSpoleto sono del brianzolo Banco Desio e della Clitumnus, newco di imprenditori locali. Ma in Via Nazionale, dopo i casi Banca Marche e Tercas, preferiscono evitare o ridurre al minimo gli incroci banche-imprese. E la banca umbra finisce al Desio.
Simone Filippetti, Il Sole 24 Ore 21/10/2015