M.Cristina Ceresa, Il Sole 24 Ore 21/10/2015, 21 ottobre 2015
L’ENERGIA NASCE DALL’ULTRAPICCOLO
Fonti di energia alternativa 2.0 crescono. Sono quelle che prendono spunto ancora una volta dalla saggezza della natura come già il sole, il vento e l’acqua ci hanno suggerito. Ora però i modelli sono le piante con lo scandire della fotosintesi, o il grafene e pure la perovskite. Così, la ricerca ci sta conducendo in un universo parallelo per produrre ridotte scale di energia, ma con importanti ricadute sulla nostra quotidianità per gestire al meglio, per esempio, le richieste dell’ambito domestico e urbano che assorbono circa un terzo del consumo complessivo di ogni Nazione. È la bellezza dell’Internet of things a suggerirci i bisogni: piccoli dispositivi che si attiveranno con poca energia, ma tendenzialmente green, che non intaccano l’equilibrio della biosfera. È questa la strada intrapresa da uno dei più attivi centri di ricerca italiani in tema di energie alternative: l’Istituto Italiano di Tecnologia con sede a Genova e diramazioni in tutta Italia. Le cui sperimentazioni in ambito nanotecnologico e molecolare stanno dando buoni frutti tanto da far nascere promettenti startup.
Come Piezoskin, guidata da Francesco Guido, ricercatore del gruppo coordinato da Massimo De Vittorio, direttore del Centro per le nanotecnologie biomolecolari Iit di Lecce che sta iniziando a produrre foglioline harvester capaci di convertire energia meccanica da pressione, deformazione e movimento in corrente elettrica.
Le dimensioni delle foglioline, pari a qualche centimetro quadrato, portano a generare energia sin da una leggerissima brezza o dal respiro umano. I test sembrano promettenti: 100 metri quadri di superficie corrispondono a 1 kW di potenza installata in grado di generare in un anno fino a 4400 kWh di energia elettrica, più del fabbisogno di una famiglia. Ambiti di applicazione legati al settore edile (copertura di pareti, tetti, cavedi…), ma anche gallerie e mezzi di trasporto tradizionali o indumenti, permetteranno di generare quantità di energia aggiuntiva senza emissioni nocive. Prevista anche l’estensione in ambito marino per raccogliere l’energia dal movimento delle acque.
Da Pisa, i Graphene Labs rispondono a un’altra importante necessità del mercato, quella di stoccare l’energia. E lo fanno con un prototipo di batteria al grafene che pare abbia prestazioni superiori del 25% rispetto ai dispositivi di accumulo di elettricità attualmente in uso. Il trucco è spalmare il grafene ridotto a inchiostro su un supporto di rame a formare l’anodo. Il settore automobilistico plaude anche per i bassi costi di produzione, ma non è meno attenta l’industria dell’elettronica di consumo.
A Milano il centro IIt sta già producendo, anzi stampando, sottilissime lastre di fotovoltaico organico molecolare in grado di generare elettricità anche da luce artificiale, che diversamente andrebbe semplicemente sprecata. Questo tipo di pannelli fotovoltaici sono realizzati con inchiostro di polimeri applicati su fogli di plastica, che vengono stampati con una rotativa, secondo un procedimento analogo a quello della stampa dei giornali. Si chiama Ribes Technology la startup che si sta occupando del go to market di questa invenzione dalle infinite applicazioni: smartphone, tablet o smartwatch potrebbero ricaricarsi in modo continuo, sistemi di sorveglianza non avrebbero bisogno di cablaggi, e lo stesso varrebbe per ogni tipo di sensore. Possibili ricadute ci sono anche in ambito medico: i pazienti potrebbero indossare indumenti in grado di monitorare senza alcun cavo alcuni parametri vitali come il ritmo cardiaco e la pressione. Nell’industria alimentare si potrebbero avere dei packaging dinamici e modificabili in tempo reale o etichette intelligenti controllate a distanza nei supermercati.
Nel frattempo un’altra scoperta potrebbe cambiare il mercato dell’energia rinnovabile arrivando a costruire le cosiddette celle fotovoltaiche tandem, con alla base la perovskite ibrida. «Il nostro risultato – spiega Annamaria Petrozza, senior scientist dell’Iit – porta a una nuova architettura del dispositivo che consente di accoppiare la cella al silicio sulla deposizione di diversi strati ultrasottili di semiconduttori (fra cui ossidi di titanio e perovskiti) a temperature sotto i 120C, sfruttando l’utilizzo di uno strato di nanosfere di carbonio (fullerene) per estrarre la corrente elettrica».
M.Cristina Ceresa, Il Sole 24 Ore 21/10/2015