Marco Passarello, Il Sole 24 Ore 21/10/2015, 21 ottobre 2015
DALLA PEROVSKITE AI PUNTI QUANTICI
Ora che un paese come la Germania soddisfa gran parte del fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, con punte del 78%, è facile dimenticare che solo pochi anni fa molti consideravano ridicola l’idea che queste potessero essere considerate una valida alternativa ai combustibili fossili. Se le cose sono cambiate in modo così radicale è dovuto al continuo miglioramento delle tecnologie, che ne consentono lo sfruttamento con rendimenti una volta impensabili. Ed è un progresso che non si è affatto arrestato. Nel campo dell’energia dal sole, le attese si concentrano sulla perovskite, minerale costituito da titanato di calcio, la cui struttura ha fatto da modello per un’ampia classe di materiali. In particolare, con perovskiti a base di semiconduttori si possono creare pannelli solari usando metodi di produzioni molto più semplici rispetto alle attuali celle al silicio.
L’efficienza della perovskite nel solare è cresciuta più rapidamente di qualsiasi altro materiale (passando dal 3,8% del 2009 al 20,1% del 2015). L’efficienza massima raggiungibile non è superiore a quella delle celle al silicio, ma il costo di produzione molto inferiore permetterebbe di ammortizzare il costo dei pannelli in appena due-tre mesi. Lo fa notare uno studio condotto dall’Università del Northwest e dal laboratorio Argonne del Dipartimento dell’Energia Usa, che sottolinea anche come la produzione sarebbe meno onerosa sia in termini di energia necessaria che di inquinamento ambientale.
Conseguenza della maggiore economicità dei materiali fotovoltaici sarà anche la possibilità di non limitare la generazione di energia a singoli pannelli, ma di utilizzare l’intera superficie degli edifici, che potranno così ottenere in modo non inquinante tutta l’energia di cui hanno bisogno. Persino le finestre e altre superfici vetrate e trasparenti potranno produrre energia solare, grazie a una nuova tecnologia sviluppata dall’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con i laboratori di Los Alamos. L’idea è quella di inserire nel vetro dei punti quantici, cioè minuscole particelle di semiconduttori talmente piccole da innescare un effetto quantistico. I punti quantici assorbono la luce e poi la riemettono su una frequenza infrarossa invisibile all’occhio umano. La finestra è costruita in modo di fungere da guida d’onda per quella determinata frequenza, trasportandola verso la cornice dove poi viene convertita in elettricità da celle fotovoltaiche.
Secondo Sergio Brovelli, a capo dell’équipe italiana, «la tecnologia delle finestre fotovoltaiche a punti quantici, di cui abbiamo dimostrato la fattibilità solo un anno fa, ora è diventata una realtà che può essere trasferita all’industria nel breve-medio termine, permettendoci di convertire non solo i tetti, come oggi, ma l’intero corpo degli edifici urbani, finestre incluse, in generatori di energia solare».
Un ulteriore miglioramento dell’efficienza potrà venire da tecnologie come quella presentata all’Università Ann Harbor del Michigan, ispirata all’arte giapponese del kirigami, che permette di creare complesse strutture di carta utilizzando tagli e piegature su un unico foglio. Sfruttando questa antica tecnica i ricercatori sono riusciti a creare celle la cui superficie può essere flessa in modo tale da catturare sempre la luce del sole con l’angolazione ottimale anche se il pannello non è di per sé orientabile, migliorando l’efficienza della produzione.
Uno dei problemi che rallentano la diffusione dello sfruttamento di fonti di energia rinnovabile è che la loro produzione non è costante nel tempo. Diventa perciò necessario immagazzinare l’energia in modo economico ed efficiente, in modo tale da raccoglierla nei momenti di maggiore produttività per poi utilizzarla anche quando la produzione è ferma. Ci si attende molto dai nuovi materiali che consentiranno la produzione di batterie sempre più capienti, nonché dei cosiddetti “supercondensatori”, dalla capienza simile a quella delle batterie ma in grado di caricarsi e scaricarsi a una velocità molto maggiore.
Ultimamente però si sta prospettando una tecnologia innovativa: quella delle “foglie artificiali”, che sfruttano l’energia solare per processi simili a quello della fotosintesi, producendo idrogeno a partire da acqua e biossido di carbonio. Il Caltech statunitense ha dedicato a questo tema un laboratorio apposito (il Jcap, Joint Center for Artificial Photosynthesis) che ha già ottenuto interessanti risultati. L’idrogeno prodotto potrà essere immagazzinato e riconvertito in energia.
Marco Passarello, Il Sole 24 Ore 21/10/2015