Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 19/10/2015, 19 ottobre 2015
STEPCHILD ADOPTION
Troviamo, per favore, un altro nome? No, perché il gap linguistico fra le espressioni “stepchild adoption” e “ogni bambino deve avere un padre e una madre” è veramente troppo penalizzante. Se nei settori trainanti della società, l’espressione anglofona è sempre avvantaggiata (trovare equivalenti adeguati a “digital divide”, “quantitative easing”, “hardcore porn”), nei settori invece retrivi vincono locuzioni da età giolittiana. Mamma, papà, stepchild: da che parte sta la “natura”? L’inglese all’improvviso sa di inumanità cinica, problema che i gerghi economico-finanziari bocconiani non hanno minimamente. “Stepchild adoption” significherebbe “l’adozione del figliastro”, avere diritto di firma per questioni burocratiche che riguardano la prole del compagno o compagna. Prole che molte volte hai accudito, consolato, aiutato, divertito e ti considera e riconosce con naturalezza (qui sì che la natura c’entra) il compagno o la compagna del padre o della madre. Se, come si dice, “succede qualcosa” non sei più nessuno. Ma la regola dice che “ogni bambino deve avere un padre e una madre” e appare come la cosa più naturale del mondo. Una volta l’Homo sapiens sapiens aveva inventato la cultura, ed era una cosa che andava contro la natura, perché era capace di correggerla, cioè adattarla. Ora si celebrano le famiglie “bio”, si usano in Parlamento parole come “mamma” e “papà”: di conseguenza una quantità di cittadini, liberi e vivi, vivono condizioni che non hanno nome. A quello che soffrono, ne siano certi, si porrà rimedio. Ma avverrà lentamente: step by step.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 19/10/2015