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 2015  ottobre 17 Sabato calendario

RISIKO NEI CIELI


Addio alle grandi città con i piedi ben piantati per terra. Il mondo cambia, punta sempre più in alto. E in tutto il pianeta, dal Far East al Medio Oriente fino alle savane africane, si sta combattendo a suon di ruspe, miliardi e archistar: un risiko senza esclusione di colpi per conquistare un posto tra le megalopoli dei cieli, gli aeroporti del futuro che cambieranno per sempre il nostro modo di volare.
Quelli di oggi, questo è il problema, sono troppo stretti. Nel 2016, secondo la Iata, saliranno su un aereo 3,6 miliardi di persone, 800 milioni più del 2011. I viaggiatori crescono del 4-5% annuo. E il network globale si è adattato, cambiando pelle.
Una volta la mappa delle rotte era un incrocio inestricabile di linee rette da punto a punto. Oggi si è trasformata in una fitta ragnatela con al centro una quindicina di scali nevralgici,
destinati a diventare il cuore e lo snodo di tutto il traffico.
La sfida del futuro dell’aviazione civile è tutta qui: prenotarsi un posto nella “serie A” dei cieli, costruendo a tempo di record le strutture multi-piste e i mega-terminal necessari per mettersi al centro di questo business dorato.
I numeri in ballo sono da brividi: al mondo, calcola Capa Aviation, la Bibbia del settore, si stanno realizzando avveniristiche aeropoli di questo tipo per 543 miliardi, una cifra pari al doppio del Pil della Grecia. L’Asia fa la parte del leone con oltre il 30% degli investimenti, ma l’Europa (18%), gli Usa (16%) e i paesi del Golfo (15%), seguono a poca distanza, in una gara che è la fotografia fedele dei nuovi equilibri geopolitici e finanziari del mondo.
I petrodollari (almeno fino a quando il petrolio valeva 100 euro al barile) hanno pagato anche in questa sfida ad alta quota. Il maggior progetto in cantiere, anzi in stato ormai avanzato dei lavori, è quello del Dubai, dove in vista dell’Expo 2020 sta sorgendo un gigantesco sogno di vetro e acciaio: il nuovo scalo Al Makthoum, in grado di servire 200 milioni di passeggeri l’anno, più del doppio di Atlanta, oggi leader per traffico. Un formicaio dove ogni 24 ore potranno transitare con valigia e carta d’imbarco 550mila persone, quasi due volte gli abitanti di Firenze. Questa cattedrale sorta dal nulla nel deserto grazie ai generosi finanziamenti (32 miliardi) dell’emirato darà da lavorare a 300mila persone e secondo le stime genererà il 24% del pil nazionale.
Costruire un mega aeroporto, del resto – come essere padrone di una squadra di calcio o di una griffe del lusso – è uno degli status symbol più plasticamente evidenti per i paesi che vogliono entrare dalla porta d’ingresso nell’elite del potere mondiale.
La Cina, non a caso, è la culla dei progetti più spettacolari. La matita di Zaha Haid ha disegnato il nuovo scalo di Pechino Daxing, ormai vicino al decollo. Una grande stella marina appoggiata su un pezzo di terra grande come tutta l’isola di Bermuda e capace di ospitare 100 milioni di passeggeri l’anno.
Lo studio di Norman Foster sta invece regalando a Città del Messico «il nuovo simbolo del paese», come l’ha definito annunciando il via ai lavori in diretta tv il presidente della Repubblica Enrique Pena Nieto. Una gigantesca “X” in vetrocemento su 4.600 ettari con 6 piste per il decollo e l’atterraggio, che consentirà alla capitale (cosa che da queste parti ovviamente conta molto) di fregiarsi del titolo di “aeroporto più grande d’America”.
La grandeur gioca un ruolo importante in tutti questi investimenti. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan ha giocato il suo prestigio sull’Istanbul Grand Airport. I camion hanno già iniziato a scalare sulle coste del Mar Nero a 35 chilometri dalla città per costruire una infrastruttura da sogno – e da 150 milioni di passeggeri l’anno – che diventerà il monumento alla gloria dell’efficienza ottomana e del suo leader. Nessuno del resto è insensibile al fascino antico del volo. Ho-Chi-Min City, per celebrare il boom economico, ha messo in cantiere uno scalo da 100 milioni di passeggeri, cinque volte quelli che passano per Malpensa. L’Etiopia sta costruendo un pezzo della sua autostima nazionale sui successi della sua compagnia di bandiera. E ora, per completare l’opera, ha lanciato il piano per varare una gigantesca aeropoli da 70 milioni ad Addis Abeba. Il mondo punta in alto. E nessuno, costi quel che costi, vuol rimanere a terra.