Eleonora Degano, nationalgeographic.it 12/10/2015, 12 ottobre 2015
L’ECONOMIA GLOBALE DEL PANDA
Nella provincia cinese di Sichuan, dove abita il 75% dei panda giganti, ci sono 2.000 chilometri quadrati di area protetta. È la Wolong National Nature Reserve, hotspot della biodiversità istituito nel 1963 che ospita, oltre ai carismatici orsi bicolori, oltre 6.000 specie tra animali e piante. Circa 5.000 sono i residenti umani di quest’area, perlopiù agricoltori con alle spalle una tradizione legata alla terra, all’allevamento e alla foresta.
Da anni, complici la panda diplomacy, il turismo e l’attenzione che il China Conservation and Research Center for the Giant Panda ha portato sul territorio, Wolong è al centro di una serie di rapporti internazionali. Rapporti che un gruppo di ricercatori ha mappato usando il telecoupling, un metodo per studiare le relazioni tra diversi sistemi (umani e naturali) a livello locale e non, che ci apre gli occhi su quanto piccolo e connesso sia il nostro pianeta. I risultati sono stati pubblicati su Ecology and Society.
Secondo la Lista Rossa IUCN in natura sopravvivono circa 1.600 panda giganti (Ailuropoda melanoleuca), frammentati in popolazioni di meno di 250 individui. Ben prima della panda diplomacy, nel 1936, il primo panda a viaggiare fu Su-Lin, “Piccola bellezza” che dalla provincia del Sichuan arrivò fino a New York tra le braccia -letteralmente- di Ruth Harkness. Qualche tempo dopo, correva il 1972, Ling Ling e Xing Xing tornavano negli States con i coniugi Nixon, per essere ospitati al National Zoo di Washington.
Dalla metà degli anni ’90 molto è cambiato: la Cina non regala più i panda ma li presta, a caro prezzo, tramite i cosiddetti panda loan. Ogni panda vale oltre 700.000 € e va restituito dopo un massimo di dieci anni. Se nel 1998 erano meno di venti quelli sparsi per il globo, già nel 2010 il numero era salito a 85 tra gli zoo di Pechino, San Diego, Londra, Kobe e via dicendo. Qui entra in gioco il concetto di telecoupling: la riserva di Wolong che alleva e tutela i panda è il sistema sending, gli zoo sono i sistemi receiving, ma lo spillover? Le “ricadute”?
Le ricadute dei panda loan interessano le aree da cui partono i turisti, quelle impegnate con finanziamenti per la conservazione, o ancora i Paesi che coltivano il bambù come l’Olanda, che ne fornisce allo zoo di Edimburgo per circa 90.000 euro l’anno (ogni panda ne mangia circa 35 chilogrammi al giorno). Un altro spillover importante è legato alla scienza: nell’immaginario collettivo i panda sono riproduttori “pigri”, quando in realtà in natura il loro tasso riproduttivo non ha nulla da invidiare ad altre specie di orso. Tuttavia le femmine hanno un unico ciclo mestruale l’anno (al pari di linci, tassi, ermellini…) e la riproduzione in cattività diventa così una sfida, anche per allevare individui che possano essere poi reintrodotti in natura.
Intorno alla biologia del panda -la comunicazione tramite segnali olfattivi, l’adattamento al bambù- si formano nuovi network di collaborazioni. È nato così il Conservation Breeding Specialist Group della IUCN, la cui missione è affiancare zoo, acquari, organizzazioni e governi nella conservazione di specie a rischio. Tra gli anni ’70 e il 2000 i progressi nella ricerca hanno fatto triplicare il numero dei panda tenuti in cattività e il solo centro di ricerca a Wolong ne ospita oggi più di 200.
Spillover in negativo: trasportare panda, bambù e turisti verso Wolong o gli zoo impegnati in un panda loan ha un impatto ambientale importante. Un esempio: il Boeing 777 ufficiale che porta gli animali (il FedEx Panda Express) emette circa 29 chilogrammi di anidride carbonica per ogni chilometro percorso. Tra la capitale del Sichuan Chengdu ed Edimburgo 8.000 chilometri di distanza significano 232 tonnellate di emissioni.
Wolong è solo una delle 67 riserve impegnate nella conservazione del panda e nel tempo ha affrontato molti cambiamenti. A partire dal rivedere una tradizione legata all’agricoltura di sussistenza, traendo sì vantaggio dalle nuove infrastrutture e dal turismo ma dovendo rinunciare a parte del territorio coltivabile sui pendii montani, per permettere alla foresta di riprendersi. In cambio gli abitanti ricevono sussidi come quelli del Grain to Green Program e del Forest Conservation Program, programmi pensati per migliorare le loro condizioni di vita e per trovare nuove fonti di reddito che sostituiscano l’agricoltura e la raccolta del legname. Una sfida complessa, visto che un solo ettaro coltivato a cavolo rende a un contadino del luogo circa 15 volte di più rispetto a questo tipo di fondi.
Coinvolgere i locali anche nel monitoraggio di attività illegali nelle foreste ha portato a un cambio di mentalità, ora più vicina alla conservazione. Anche in questo caso, nell’ottica del telecoupling, Wolong guarda all’intero pianeta: la riserva è il sistema receiving, che beneficia dei finanziamenti per la conservazione provenienti dal resto della Cina, il sistema sending. Lo spillover è l’intero pianeta, come per ogni foresta che viene salvata, poiché beneficia dei “servizi dell’ecosistema” come il sequestro del carbonio.
Dopo il Natural Forest Conservation Program, a Wolong è raddoppiato l’utilizzo dell’elettricità mentre si è dimezzata la forza lavoro impiegata nella raccolta di combustibili fossili. Il calo delle attività agricole a favore del turismo verso la riserva ha avuto conseguenze tra le più importanti: è diminuito l’uso di fertilizzanti azotati (che in Cina vengono ancora prodotti usando il carbone) ed è crollato l’utilizzo di teli di plastica per proteggere le colture, che tra il 1998 e il 2007 sono scesi da 13 a cinque tonnellate l’anno.
Dagli anni ’80 il nature-based tourism, legato all’osservazione e apprezzamento dell’ambiente, è stato il settore turistico più in crescita. Sono molte le riserve che oggi ospitano turisti (Wolong, con oltre 100.000 visitatori l’anno, è tra queste) e contribuiscono a mettere in contatto gli hotspot della biodiversità con il resto del mondo. Il picco nella Wolong National Natural Reserve è arrivato nel 2006 con oltre 220.000 visitatori da Giappone, USA, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, per poi affrontare uno stop completo dopo il terremoto del Sichuan, nel 2008. Ancora oggi il settore fatica a riprendersi.
Nel 1998 dei 220 nuclei familiari di Wolong solo nove erano impegnati nel turismo: nel giro di una decina d’anni sono diventati 60, e oggi il 75% della popolazione trae beneficio diretto o indiretto dal settore, vendendo miele, carne ed erbe medicinali o partecipando a lavori di costruzione. Niente più agricoltura di sussistenza ma un’economia orientata ai servizi, che cerca di bilanciare effetti negativi e positivi.
Costruire più strade collega Wolong al resto della Cina, facilitando il trasporto di prodotti agricoli. Allo stesso tempo le infrastrutture frammentano l’habitat dei panda separando le già piccole popolazioni, ma più turisti hanno portato a un miglioramento del sistema elettrico, riducendo la raccolta del legname nel loro habitat. Nei mesi più caldi la riserva attira visitatori dall’intera Cina, specialmente dalla capitale del Sichuan, Chengdu: alla ricerca di frescura sempre più abitanti si recano a Wolong, portando nuova linfa al turismo e spegnendo i condizionatori -e le emissioni- nella grande città.
Alla nascita di un cucciolo di panda al National Zoo di Washington, nel 2012, erano 237.000 le persone collegate alla webcam sul sito web dello zoo. È questo tipo di coinvolgimento che conferma i panda loan come maggior fonte di informazioni da e verso Wolong e che attira finanziamenti come quelli che hanno pagato per progetti di rilascio dei panda in natura (come Panda International 2012). Quello che il panda è per Wolong potrebbero esserlo altre specie minacciate per altre aree sul pianeta, concludono i ricercatori: “C’è ancora molto da fare, ma il nostro studio ha messo delle buone basi per la ricerca e la gestione, in modo da aumentare in un’ottica di telecoupling gli effetti positivi e ridurre quelli negativi. Gli obiettivi sono una maggiore sostenibilità ambientale e il benessere umano su tutta la Terra”.