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 2015  ottobre 20 Martedì calendario

MEGLIO FISCHI CHE FIASCHI


[Damiano Michieletto]

Preferisci i fischi o gli applausi? «Gli applausi, ovviamente. Ma ho visto applaudire spettacoli mediocri. E fischiare capolavori». Su YouTube, nella famosa scena dei ringraziamenti a Londra, è divertente vederti impassibile mentre ti inchini davanti ai fischi. «I fischi sono una scuola di carattere».
Damiano Michieletto dice di avere «il carattere caparbio ma sognatore dei veneti». A tavola, di fronte al mare di Pesaro, beve due spritz con la grigliata di pesce. «Sono nato a Scorzè». Il paese delle bibite gassate? «Sì. E vivo a Treviso. Ma è in tutto il Veneto che mi riconosco». Sei leghista? «Vuoi scherzare!».
Tra applausi e fischi, Michieletto, a 40 anni, è il regista italiano più innovativo e più ricercato nel mondo. Anche il più pagato? «Non credo. Lavoro per le rate del mutuo. Sono concreto». Ho letto che da ragazzo aggiustavi biciclette. «Frequentavo l’officina di mio zio. Ancora adesso mi piace lavorare con le mani. E con le biciclette gareggiavo». Ti piace correre? «Anche come metafora».
Michieletto è stato invitato per tre anni consecutivi a Salisburgo, più di Ronconi e Strehler. E l’anno prossimo tornerà a Londra. Dal 2003 ho contato 24 produzioni, applaudite e fischiate, in Italia, Svizzera, Germania, Spagna, Giappone e Cina. La sua agenda è piena almeno sino all’anno 2020.
Sei come Figaro? «Ti ho detto che mi piace correre. Ma so dire di no». Per rispettare gli impegni? «Ho un amico imprenditore che a Treviso installa pavimenti. Quando gli ho detto che spesso devo rifiutare le offerte di lavoro mi ha rimproverato: “Tu sei matto, bisogna correre”. “È vero”, gli ho risposto, “ma la velocità è impiegare bene il poco tempo che ci è dato”. La velocità è il contrario della fretta».
Ricominciamo dai fischi: senza l’indignazione per la scena dello stupro, il tuo Guglielmo Tell sarebbe stato lodato ma dimenticato. «Non c’è indignazione pubblicitaria che tenga se il prodotto da reclamizzare vale meno della réclame».
Vuoi dire che i fischi bisogna meritarli? «Voglio dire che ci sono fischi che promuovono e fischi che silurano. Il peggio è lo spettacolo che addormenta il pubblico, tranne nel momento dell’aria famosa: “La donna è mobile / qual piuma al vento”. Quell’applauso è peggio del fischio, è ammiccamento ruffiano, è un imbroglio concordato e senza emozioni».
È molto veneto anche parlare di futuro sorseggiando spritz. «Sto scrivendo un musical: la storia di una donna italiana che, diventata anziana, ricorda com’era e si guarda com’è. Ed è un racconto musicale, tutto attraverso le canzoni degli anni Sessanta». Sei troppo giovane per quelle canzoni. «Sì, ma da ragazzo scrivevo ballate di circostanza e i miei modelli erano i cantautori, De André, De Gregori, Guccini, Dalla, Paoli e Luigi Tenco». Hai mai inciso? «Vinsi un concorso attraverso Radio Italia e fu un’emozione straordinaria sentire che in radio passavano la mia canzone. Si intitolava Ballata». Ne scrivi ancora? «Mi piacerebbe, ma per altri». Per chi? «Malika Ayane ha una voce bellissima».
L’anno prossimo porti al Piccolo L’Opera da tre soldi: riscriverete le canzoni di Kurt Weill? «Sarà un’edizione tutta nuova. A partire dalla traduzione di Roberto Menin». Sarà inevitabile il paragone con Strehler. «La regia è una di quelle cose belle e pericolose a cui non puoi togliere il pericolo senza perdere anche il bello». Ti farai fischiare? «Nella prosa non si fischia».
Hai rischiato di più facendo de La gazza ladra una Alice nel paese delle meraviglie che trasformando Il ventaglio di Goldoni in un personaggio-ventaglio in carne e ossa che parla con i sonetti di Shakespeare. L’opera è più mummificata della prosa? «Il pubblico della lirica resiste di più. Ma alla fine il risultato è lo stesso».
Lavori border line, sai di rischiare la parodia ambientando al San Carlo Il ratto dal serraglio sullo yacht di un camorrista. «La parola camorrista io non l’ho usata». Be’, catena d’oro, panzona, occhialoni firmati, asciugamani zebrati, accappatoio col collo di pelliccia e cocaina. «Sì, ma era Mozart e non Gomorra. Anzi, lì c’era più Mozart del solito». L’eccesso piacerebbe a Mozart? Nel tavolo accanto c’è un tipo devastato dai tatuaggi... «No, quell’eccesso no». Damiano ha un tatuaggio sulla schiena: Keep the Dreams Alive. Lascia vivere i tuoi sogni. «Ti chiedo: secondo te, Mozart oggi si farebbe tatuare?».
Michieletto non lavora come Carmelo Bene che amputava e sottraeva, al punto da eliminare, per esempio, Romeo da Romeo e Giulietta. Lui ambienta Così fan tutte in un bordello per scambisti, oppure Rossini in manicomio, sino al Guglielmo Tell che a Londra è stato fischiato perché «non c’è lo stupro nell’idea “conservata” dell’opera. Nel testo, i soldati invasori costringono le ragazze del villaggio a “ballare”. Ma ti pare che in Bosnia, in Iraq, in Siria si sono limitati a far ballare le donne?».
Non corri il pericolo di lavorare “contro” la musica? «Al contrario, provo a tirar fuori tutta la potenza che c’è nella musica. Pensa a Mozart e al suo Don Giovanni. Pensa a cosa c’era nella sua testa e dunque a cosa c’è nella sua musica». L’erotismo sfrenato di Mozart? «Ma nel bellissimo libretto c’è solo quel che l’epoca permetteva».
E nella tua testa cosa c’è? «Il paesaggio della Valle Padana, senza reti, cancelli e villette. È la mia origine». Lo rimpiangi? «Non sono passatista e neppure lamentoso. Al contrario mi piace correre. Ti ripeto: sono veneto». Cosa ti ha impedito di diventare leghista? «Mio padre: terza elementare e 12 fratelli, ha fatto l’operaio. Ma non alla catena di montaggio: era quello che leggeva i contatori».
È un mestiere che meriterebbe un film, come Il postino. «Erano uomini allegri e discreti che potevano entrare in tutte le case». La famosa bonomia veneta? «Anche i dipinti, dal Veronese al Tiepolo, sono allegri, magari malinconici, ma sempre leggeri». Dunque i numeri del contatore non erano solo aritmetica. «Erano i diari dei consumi». E infatti il padre di Damiano si mise a fare politica e divenne sindaco per il Ppi. «Un politico, come un regista, non ha paura di essere contestato». Anzi cerca, previene e sfida la contestazione che, come a teatro, «tanto più è insidiosa quanto meno è rumorosa». Già, movimenti delle ciglia, mezzi sorrisi, insofferenze impercettibili a tutti tranne che al regista che sempre fonda il suo successo sulla seduzione. «Il fischio è l’ammissione che l’opera è viva ed emozionante e dunque insidiosa e pericolosa».
Chi ti ha insegnato lo stupore? «La scuola Paolo Grassi di Milano». Più della laurea in Lettere a Venezia? «Molto di più». Come ti mantenevi a Milano? «Facevo il pizzaiolo». Allora sai cucinare bene. «Solo le pizze».
Ti sei sposato all’età di 26 anni, ora sei separato e hai due figli: «Viola di 13 anni e Daniele di 8». Sei cattolico? «No». Li hai battezzati? «Sì». E che cosa ti ha detto Viola quando ti hanno fischiato a Londra ? «Papà, però tu le vai a cercare». Ti riconosci in questa frase? «Sì».
Ti rifaccio la domanda dell’inizio: meglio i fischi o gli applausi? «Il paradosso è proprio che ci sono due cose impossibili da sopportare: convivere con i fischi e fare a meno di essi».