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 2015  ottobre 20 Martedì calendario

ERRI DE LUCA ASSOLTO. C’È LIBERTÀ DI PAROLA, HA DIRITTO DI DIRE CHE LA TAV VA SABOTATA

Cronometro alla mano, la lettura della sentenza è durata 30 secondi. Sul piano giudiziario era il tempo massimo da dedicare a un’inchiesta che non aveva ragion d’essere, a un processo che mai si sarebbe dovuto fare. Erri De Luca viene assolto con la formula più piena possibile, perché il fatto non sussiste. L’accusa di istigazione a delinquere commessa a mezzo stampa cade. Come è giusto che fosse. Il pubblico applaude. Lo scrittore si fa abbracciare dai suoi sostenitori. «Mi sento meglio, non solo per me ma per l’aria, l’ossigeno civile che si respira in questo Paese».
Era il 2013, ultimo di tre anni piuttosto brutti in Val di Susa a causa delle contestazioni contro l’erigenda linea ferroviaria Torino-Lione. C’erano stati scontri violenti tra forze dell’ordine e manifestanti, quasi ogni settimana si verificava un attacco all’ormai celebre cantiere di Chiomonte. Questo era il contesto, condito da timori molto diffusi che nell’Italia della crisi, la «resistenza attiva» all’alta velocità fosse la palestra di una nuova eversione. «La Tav va sabotata. Le cesoie sono utili a tagliare le reti... Hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa». Le frasi incriminate invece erano queste.
I pubblici ministeri che hanno dato seguito alla denuncia presentata da Ltf, la società che gestisce i lavori, preoccupata per l’incolumità dei suoi dipendenti, ci hanno messo uno zelo spiegabile forse con lo spirito di quei tempi, che all’inizio del dibattimento apparivano già lontani, superati dal naturale spegnersi della protesta violenta. Ma era subito apparso chiaro che l’aula del tribunale non era il luogo dove discutere di opinioni passate inosservate ai più. La tesi che dopo le due interviste ci fossero stati nuovi tentativi di sabotaggio, in un periodo dove i sabotaggi erano all’ordine del giorno, dava a De Luca una importanza esagerata. Il nesso tra causa ed effetto era impossibile da stabilire.
Il processo cominciò con una discussione vocabolario alla mano sul significato della parola sabotaggio, proseguì con un interrogatorio dell’imputato basato su libri, articoli di giornale, tweet, dotte citazioni, da Joseph Conrad e Salman Rushdie. È finito nell’unico modo in cui poteva finire. La procura di Torino ha perso una occasione quando dopo aver illustrato le ragioni dell’accusa, ha chiesto otto mesi di condanna invece dell’assoluzione. Erri De Luca invece non se l’è lasciata scappare, facendosi paladino della libertà d’espressione. È apparso ovunque. Ha pubblicato un libro che riassume la questione Tav in modo molto di parte. Si è paragonato a Orwell, Pasolini, Rushdie e Goethe, sostenendo che in questo modo si sopprimeva l’articolo 21 della Costituzione italiana e il diritto di «manifestare liberamente il proprio pensiero».
Stima e sostegno non gli sono mancati. Il mondo culturale della Francia, la sua seconda patria, si è mobilitato. «A Parigi ho ricevuto attestati di solidarietà a tutti i livelli istituzionali» ha detto ammiccando a una telefonata di François Hollande a Matteo Renzi sul suo conto che se confermata rivela la scarsa considerazione che Oltralpe hanno della nostra giustizia. L’unico cruccio è stata la presunta freddezza dei colleghi scrittori italiani. «Se ne prenderanno la responsabilità». Ieri molti suoi sostenitori hanno avuto l’impressione che stesse provando a farsi condannare con dichiarazioni spontanee che in realtà erano un riassunto delle puntate precedenti. «Il verbo sabotare è nobile e democratico... La Tav va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa di una comunità minacciata».
Negli ultimi tempi anche lui si è fatto prendere la mano da una situazione vantaggiosa, ostentando una superiorità morale che gli ha alienato qualche simpatia. In una intervista a Le Monde si è paragonato a Voltaire lamentandosi dell’Italia «dove l’idea che gli scrittori debbano beneficiare di una impunità morale non è ancora evidente, neppure a sinistra». Ieri si è molto risentito quando gli è stato chiesto davanti a telecamere francesi perché non avesse ritenuto di incontrare gli operai minacciati da attentati e sabotaggi o di rispondere a una loro lettera. «Una manovra del potere. La lettera era falsa, inventata da un giornalista».
Il passato dello scrittore, ex militante di Lotta continua, i suoi scritti spesso enfatici sugli anni Settanta rievocati con nostalgie estetizzanti, non sono mai entrati nel dibattimento. E neppure il testo redatto alla fine del 2013 per l’agenda di Magistratura democratica che fece discutere per una implicita e presunta apologia del terrorismo. Erri De Luca non meritava questo processo. Libere fesserie in libero Stato.