Fabrizio Salvio, SportWeek 17/10/2015, 17 ottobre 2015
BENEDETTI ERRORI DI GIOVENTÙ
[Marco Benassi]
Ciò che non uccide ti fortifica, diceva più o meno Nietzsche in Ecce Homo. Marco Benassi, senza averlo mai letto, lo ha preso in parola. Protagonista l’anno scorso di due errori tanto marchiani quanto sanguinosi per sé e la squadra, il ventunenne centrocampista è risorto meglio di prima, a giudicare da una titolarità quasi indiscussa nel Torino di questa prima parte di campionato e dal gol segnato al Palermo: un destro al volo da fuori area che ai più ha ricordato quello di Van Basten in Olanda-Urss, finale dell’Europeo ’88. Puro colpo di fortuna? Un tiro del genere bisogna avere innanzi tutto voglia di provarlo, e lo provi solo se hai sufficiente autostima per pensarlo.
Reduce dal doppio impegno con l’Under 21 di cui non a caso è capitano, nell’anticipo di stasera contro il Milan, Benassi guida col piglio del leader i vari Baselli, Belotti e Zappacosta, compagni di Nazionale e di club e fiore all’occhiello della campagna acquisti estiva di un Toro che anche grazie a loro si è piazzato nei piani altissimi della classifica.
Però da quei due errori bisogna partire. Vogliamo ricordarli?
«Trenta novembre dell’anno scorso, derby contro la Juve in casa loro. Giochiamo una partita fantastica, mancano 20 secondi alla fine e siamo 1-1. Mi danno palla sulla fascia, potrei calciarla via e sarebbe finita, invece provo a giocarla, mi chiudono in due, vado a terra e l’arbitro non fischia, Vidal al limite tocca a Pirlo che arriva a rimorchio e infila il nostro portiere».
E uno. Il secondo?
«Marzo di quest’anno, in Europa League contro lo Zenit San Pietroburgo. Due “gialli” in meno di mezz’ora per altrettanti falli stupidi e vado fuori già nel primo tempo».
Il più grave dei due?
«Anche se a causa di uno ci abbiamo rimesso il derby, dico l’espulsione contro lo Zenit. Dopo quella volta mi sono dato una regolata a livello disciplinare. Contro la Juve non ho sbagliato solo io».
Quante volte, però, ha ripensato a quel pallone perso?
«Tante. Sono stato male per mesi».
A fine partita, nello spogliatoio, qualcuno le disse qualcosa?
«Sì: dal presidente Cairo a mister Ventura all’ultimo dei compagni, ripeterono tutti la stessa cosa: “Sono errori che può commettere chiunque, questa è l’età giusta per sbagliare”. Avevo 20 anni, e allora come oggi ho ancora parecchio da imparare. Ma se non giochi, come fai? Per questo ringrazierò sempre il mio allenatore: dopo certi errori la prassi è metterti a sedere con la solita scusa: “È giovane, rischia di bruciarsi”. Lui, invece, mi ributtò dentro subito».
La fa arrabbiare molto questo ritornello di tanti allenatori italiani?
«Mi fa arrabbiare sì, perché, ripeto, se non giochi non sbagli e se non sbagli non impari. Non puoi diventare giocatore solo guardando gli altri. Dappertutto, in Europa, se uno è bravo gioca, indipendentemente dall’età. Da noi è diverso perché ci sono più pressioni da parte dell’ambiente – società, tifosi, stampa – e un allenatore preferisce affidarsi ai vecchi credendo di andare sul sicuro. Del resto da noi i figli restano in casa fino a 30 anni: è logico che nel calcio un ventenne sia considerato un bambino. Io sono sicuro di una cosa: un errore come quello nel derby non lo ripeterò più».
Quando gioca in Nazionale contro i suoi coetanei stranieri, nota differenze sul piano della personalità tra voi italiani e loro?
«Eccome. Sono più scafati, più furbi. Sanno fare fallo senza farsi vedere dall’arbitro, buttano via palla quando serve: piccole cose che fanno la differenza e che, appunto, impari solo giocando».
Dopo lo Zenit Ventura disse: «Errori simili avrebbero potuto abbattere giocatori più esperti. Marco ha dimostrato di avere carattere e ora è pronto per diventare un giocatore importante». Cosa vuol dire avere carattere?
«Andare a testa alta nonostante l’errore. Tornare in campo senza paura, sapendo che mi verranno concesse altre occasioni».
Ma lei è così freddo di natura?
«D’impatto sono caldo, mi viene difficile reagire con razionalità davanti alle situazioni. Il calcio mi ha aiutato: ricordo che a scuola ero molto più teso».
Allora è riuscito a sconfiggere la tensione che la divorava prima di partite importanti?
«Non parlerei di tensione o stress, ma di adrenalina. Ci sto lavorando ancora. Con lo Zenit sono stato cacciato perché avevo troppa voglia di prendere la palla e ho fatto due falli stupidi. L’anno scorso facevo più di quello che dovevo, correvo dietro a tutti. Ventura mi ha spiegato che in questo modo sprecavo energie. Il mister è un maestro: non ordina, convince».
E con sua moglie? Giovane com’è, l’adrenalina sarà schizzata a mille.
«No, Giusy l’ho conquistata con molta tranquillità».
Cosa deve fare il calcio italiano per dare più spazio ai suoi giovani?
«La rosa da 25 senza limiti per gli Under 21 e coi 4 cresciuti nel vivaio è già un buon segnale da parte della Federazione, specie se limita l’invasione straniera. Perché io vedo che la Lazio prende un serbo (Milinkovic-Savic) nello stesso ruolo occupato benissimo dal mio coetaneo Cataldi, e la cosa mi lascia perplesso. Se uno bravo ce l’hai in casa, perché vai a prenderlo da un’altra parte? Poi farei queste benedette squadre B, perché una cosa è giocare fino a 18 anni in Primavera, un’altra è confrontarsi a quell’età con giocatori più smaliziati in un campionato vero e proprio».
Del suo Toro, però, non può lamentarsi: siete in 4, dell’Under 21.
«Sì, oltre a me ci sono Baselli, Belotti e Zappacosta. La società ha investito tanto sui giovani italiani. Cairo ha speso per me 3 milioni e mezzo per la sola metà del cartellino: la cosa mi riempie d’orgoglio».
Chi è il leader dello spogliatoio?
«Tanti. Gazzi, uno di poche parole ma capace di farsi sentire; Glik, Vives, Moretti... Il bello del nostro spogliatoio sta nel fatto che, proprio perché ci sono tanti giovani, ognuno può esprimere la propria opinione, sicuro che nessuno gli dirà mai: cosa parli, tu, che sei un ragazzino?».
Chi dei suoi compagni in Under 21 vedrebbe titolari nelle rispettive squadre di club?
«Rugani nella Juve e Bernardeschi alla Fiorentina. Del gruppo dello scorso biennio, Viviani, oggi al Verona. Uno così forte, in A doveva starci da un pezzo».
Il più forte nel suo ruolo, quello di mezzala?
«Iniesta. Di lui mi piace la naturalezza con cui fa le cose più difficili. Dei giovani italiani ammiro Verratti e Florenzi. Il gol che ha fatto il romanista al Barcellona, un tiro da 50 metri in corsa, può farlo solo uno che non ha paura di sbagliare. E Florenzi non ha paura di sbagliare perché, come me, ha un allenatore che non guarda la carta d’identità quando si tratta di fare la formazione».