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 2015  ottobre 18 Domenica calendario

P101, COSI’ OLIVETTI INVENTO’ IL PRIMO PC

«Vedendo funzionare questa macchina, mi rendo conto che l’era della meccanica è finita». Alla fine del 1964, il giovane progettista Pier Giorgio Perotto, del laboratorio di Ricerche elettroniche della Olivetti di Barbaricina, presentò il prototipo della Programma 101 a Natale Capellaro, direttore dell’area tecnica. L’ingegnere rimase in silenzio per lunghi, interminabili minuti, prima di pronunciare quella frase. Appoggiata su un tavolo c’era l’idea del secolo: una macchina capace di fare calcoli, immagazzinare dati, elaborare contenuti. Tutto in un’unica unità, alla portata di tutti. Era il prototipo di quello che conosciamo come “personal computer”, la via di mezzo fra gli elaboratori che occupavano intere stanze e venivano manovrati da operatori in camice bianco e gli ormai diffusi calcolatori da tavolo di cui Olivetti era fra i leader mondiali. Capellaro, genio della meccanica, padre di alcuni dei pezzi più importanti della storia dell’azienda di Ivrea, come la MC14 Divisumma, dovette ammettere di trovarsi di fronte a un passaggio epocale.
La P101, in onore del suo progettista conosciuta anche come “Perottina”, sarebbe stata presentata l’anno dopo, il 23 ottobre del 1965, alla Bema, la fiera internazionale dei produttori e di attrezzature per ufficio, a New York. Confinata inizialmente in una saletta nascosta, non appena si diffuse la notizia, la macchina rivoluzionaria conquistò il pubblico. La stampa americana la battezzò come “the first desktop computer of the world”, il primo computer da tavolo del mondo. «Sognavo una macchina amichevole – spiegherà Perotto (scomparso nel 2002) – alla quale delegare quelle operazioni che sono causa di fatica mentale e di errori, una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, che immagazzinasse dati e istruzioni, semplici e intuitive il cui uso fosse alla portata di tutti, che costasse poco e fosse delle dimensioni degli altri prodotti per ufficio ai quali la gente era abituata. Dovevo creare un linguaggio nuovo, che non avesse bisogno dell’interprete in camice bianco».
Steve Jobs e Apple, ma anche Hp e Ibm arriveranno tutti anni dopo. Il primo computer della storia, strano ma vero, è dunque italiano. Opera di un team di giovani visionari e un po’ folli che con uno stile da garage americano della Silicon Valley aveva intuito il futuro. «Purtroppo la Olivetti del dopo-Adriano aveva già scelto un’altra strada – confessa, non senza amarezza, Gastone Garziera, allora “ragazzo di bottega” di Perotto, uno dei giovani progettisti della P101 insieme a Giovanni De Sandre, ricevuti mercoledì scorso dal premier Matteo Renzi a Palazzo Chigi, proprio per celebrare i 50 anni della P101 –. I dirigenti, alcuni in buonafede, altri forse in malafede, non ebbero il coraggio di osare. Guardavano all’elettronica con scetticismo, la consideravano solo uno spreco di soldi. Olivetti aveva avuto successo con le macchine per scrivere, con le calcolatrici, straordinari esempi di meccanica. Ma quando ebbe per le mani la possibilità di interpretare il cambiamento, perdette l’occasione. “La tecnologia non si fa, si compra”, era il pensiero dominante di allora. Così abbiamo abdicato al ruolo di “costruttori” e ci siamo ritrovati oggi tutti dipendenti da multinazionali che producono macchine tutte uguali. Anche oggi l’Italia avrebbe bisogno di credere di più nelle proprie possibilità e creare le condizioni perché i talenti possano esprimersi al meglio, tenendo qui i laboratori dove si costruiscono le idee». La Programma 101 fu una sorpresa, presentata come una calcolatrice e quindi sfuggita alla vendita – proprio nel 1964 – del 75% della Divisione Elettronica (laboratorio compreso), alla General Electric. La Olivetti era ormai una società sotto il controllo del cosiddetto “Gruppo di Intervento” che salvò l’azienda in crisi finanziaria: Mediobanca, Fiat, Pirelli, Imi e La Centrale. Fu l’allora presidente della Fiat, Vittorio Valletta, a usare quell’espressione che ancora a Ivrea i vecchi progettisti ricordano bene: «Nell’elettronica servono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare, l’elettronica è un cancro da estirpare». La storia di Olivetti e dell’elettronica sono andate poi come conosciamo tutti.
Incontriamo Garziera negli spazi di Tecnologic@mente, un laboratorio-museo, semplice ma di sostanza, allestito dalla Fondazione Natale Capellaro nel cuore di Ivrea. Qui i pezzi storici della Olivetti rivivono: dalle macchine per scrivere a quelle da calcolo, fino al sogno informatico di Elea 9003. Qui i ragazzi di bottega della Olivetti, come Garziera o Luigino Tozzi, continuano a coltivare il mito integrato della scrittura e del calcolo, della meccanica e dell’elettronica. La sera, con passio- ne e spirito di volontariato, si ritrovano per la manutenzione dei pezzi funzionanti, riparano quelli danneggiati che arrivano da tutta Italia. E provano – con laboratori e iniziative – a spiegare ai ragazzi i vari aspetti della tecnologia, come sia possibile unire memoria e futuro, e trasmettere l’entusiasmo di quella squadra cresciuta nello spirito della cultura industriale di Adriano Olivetti. Un piccolo, prezioso esempio da custodire e promuovere.
La P101, perfettamente funzionante, insieme alla P6060 che arriverà successivamente, è uno dei gioielli di Tecnologic@mente. Rivederla oggi, al fianco di quelli con cui scriviamo e lavoriamo, dà subito l’idea della potenza dell’innovazione e del design di 50 anni fa: grande più o meno come una macchina per scrivere, 30 chili e tutto concentrato su un unico blocco in una scrivania, con schede di memoria magnetiche estraibili, prototipi dei successivi floppy e chiavette usb. Una scelta funzionale voluta con grande intuito da Perotto e sostenuta da Roberto Olivetti, che trovò nella mano del giovane, ma già affermato designer, Mario Bellini, il mood giusto per assemblare e presentare al meglio la macchina. «Ricordo era una domenica mattina del 1965, ricevetti una telefonata da Olivetti – dice Bellini –. Era a casa sua in Foro Bonaparte a Milano con Perotto: “Se ci raggiunge, architetto, vogliamo mostrarle un progetto”. Mi fecero vedere un modello in legno, dicendomi che si trattava di una macchina nuova, ancora riservata. Avevano un progetto che la concepiva ancora come una torre da pavimento, una sorta di moderna web station, da fissare con il piombo. Ma la forza dirompente di quella nuova creatura della meccanica e dell’elettronica era invece che doveva stare su un tavolo, alla portata di tutti. Sposai il progetto: i componenti avrebbero dovuto disporsi in maniera diversa. Il design non è solo una mascherina che copre, è il modo di trasformare una serie di componenti meccanici ed elettronici, ammassi di fili e transistor in una macchina che dialoga con l’uomo. Un oggetto che può essere utilizzato con facilità da chi deve usarlo. E poi, certo, deve essere gradevole, bello. Così è stato per la P101». Negli anni furono venduti oltre 44mila pezzi, per lo più negli Usa. Lo acquistarono molti professionisti, medici, ingegneri. La Nasa ne comprò 45 esemplari per i calcoli della missione per il primo uomo sulla Luna. Olivetti era arrivata davvero in alto. «Ma l’elettronica era un male da estirpare».