Luciano Mondellini, MilanoFinanza 17/10/2015, 17 ottobre 2015
SGASATA DA 200 MILIONI
L’appuntamento è per mercoledì 21 ottobre, quando nella mattina americana la Ferrari esordirà alla borsa di New York. Fca, come è noto, metterà sul mercato una quota del 10% ora nelle sue mani, restando comunque il primo azionista della Rossa con l’80%, mentre Piero Ferrari avrà il restante 10%.
Sergio Marchionne in settimana ha iniziato il roadshow (per i dettagli si veda grafico in pagina) toccando importanti piazze statunitensi (New York, Baltimora, Boston) e incontrando gli investitori anche a Londra e a Maranello, dove i broker hanno potuto constatare di persona il cuore produttivo della Rossa. Secondo quanto trapela da chi ha partecipato a questi incontri (le informazioni sono blindatissime in quanto la Sec, l’autorità che monitora i mercati statunitensi, sta facendo una guardia strettissima sull’operazione), il roadshow sta andando molto bene. È quindi assai probabile che l’offerta (curata da Ubs e Bofa Merrill Lynch come banche capofila e da Allen&Company, Santander, Mediobanca, Bnp Paribas e Jp Morgan in qualità di joint bookrunner) registrerà un numero di richieste molto superiore ai titoli offerti, lasciando la bocca amara a molti investitori.
Non è detto tuttavia che in questo quadro non si realizzi un coup de théâtre degno di quelli cui Marchionne ha abituati negli ultimi anni. In linea teorica, infatti, esiste la possibilità che, qualora la domanda risultasse molto elevata rispetto ai titoli offerti, il prezzo di offerta ufficiale possa essere aumentato sino a un massimo del 20% rispetto a quello massimo indicato nella forchetta (48-52 dollari). Quindi sino a 62,4 dollari. Se così fosse, dai 18,8 milioni di titoli messi in vendita, l’ipo per il 10% della Rossa incasserebbe qualcosa di più di 1,17 miliardi di dollari invece dei 977 milioni previsti se si concludesse al prezzo massimo previsto nella forchetta indicata. L’operazione sarebbe insomma più ricca di circa 200 milioni di dollari (196 milioni per la precisione), mentre la valutazione complessiva di Ferrari passerebbe dai 9,7 miliardi (se il prezzo d’offerta fosse 52 dollari) a 11,7 miliardi. È bene precisare che al momento si tratta di un’ipotesi teorica e, inoltre, rappresenterebbe un caso più unico che raro nella storia delle quotazioni, così come d’altronde è un evento più unico che raro la quotazione in borsa di una scuderia come la Ferrari, per la quale si può utilizzare la parola mito senza essere tacciati di esagerazione. Il Lingotto in particolare, che metterà sul mercato 17,1 milioni di titoli (i restanti 1,7 milioni sono riservati alle banche che curano l’ipo), incasserebbe circa 1,07 miliardi invece degli 893 milioni che gli garantirebbe l’ipo se il prezzo fosse 52 dollari. La società incasserebbe quindi 178 milioni di dollari in più in questa operazione. Inoltre la dote complessiva che Fca riceverà da Ferrari risulterebbe superiore ai 4 miliardi sommando la provvista totale che guadagnerebbe dall’ipo (1,07 miliardi di dollari) alla Note da 2,8 miliardi che Ferrari girerà a Fca quando, nel primo trimestre 2016, la Rossa sarà scorporata dal Lingotto. Questi soldi aiuteranno in primo luogo ad abbattere l’indebitamento di Fca (il debito netto industriale era 8 miliardi al 30 giugno). Soprattutto, però, serviranno a Fca per presentarsi con una veste migliore al gran ballo dell’m&a che attende il settore nei prossimo mesi.
Sin da quando, ormai un anno fa, Marchionne annunciò l’intenzione di scorporare Ferrari da Fca per farla controllare direttamente da Exor (la holding di casa Agnelli), Milano Finanza avvertì che la decisione costituiva l’anticamera dell’ingresso di Fca al tavolo dell’m&a. Il piano degli Agnelli/Elkann è infatti semplice: portare sotto il controllo diretto della holding di famiglia l’asset migliore, per poi integrare Fca (spogliata della Rossa e quindi senza correre il rischio di perderne il valore ora incorporato) con un altro player internazionale.
L’obiettivo è creare un società in grado di competere sui mercati internazionali in cui Exor resti uno dei soci principali. Si tenga presente che, poiché Ferrari viene valorizzata con i multipli elevati del comparto lusso (e non con quelli meno nobili del settore auto), la Rossa avrà una capitalizzazione di borsa stimata tra 9 e 11,7 miliardi di dollari. Quindi da sola vale metà di quanto il mercato ora valuta l’intera Fca, che tuttora comprende Ferrari (la capitalizzazione a venerdì 16 ottobre era 18,3 miliardi). In fin dei conti, se il piano riesce, la famiglia Agnelli/Elkann si tratterà per intero il valore di Ferrari e, nel contempo, cercherà di aggregare (probabilmente carta contro carta in modo da restare soci nel nuovo soggetto) il resto di Fca (con molto meno valore incorporato) con un altro player. La famiglia torinese insomma sta chiedendo a Marchionne un capolavoro forse ancora maggiore di quello realizzato negli anni scorsi con Fca, costruendo una società profittevole da due realtà in difficoltà per numerose ragioni. «Perché mai una società in salute dovrebbe accettare di fondersi con Fca senza più il valore di Ferrari incorporato? Non sorprende che il ceo di General Motors, Mary Barra, non ne voglia nemmeno sentirne parlare» spiega a Milano Finanza un consulente strategico, ricordando come Marchionne abbia messo nel mirino il colosso di Detroit per le future nozze del Lingotto.
Il numero uno di Fca è comunque convinto di farcela contando sul fatto che l’azionariato di General Motors è composto da molti operatori finanziari che potrebbero avallare l’operazione, se questa avesse una convenienza finanziaria, se non industriale. Non ultimo, potrebbe contare sul governo Usa che, dopo aver salvato Chrysler negli anni scorsi, non gradirebbe che la terza casa auto americana avesse problemi sul mercato. Ma per sfruttare quest’ultimo atout Marchionne deve sbrigarsi, perché le elezioni Usa ormai incombono.
Luciano Mondellini, MilanoFinanza 17/10/2015