Antonio Pennacchi, Limes: Tra Euro e Neuro 7/2015, 16 ottobre 2015
UNA PIANURA TUTTA BLU
Una pianura tutta blu di fiumi fluenti, laghi e canali al sole, era l’Ager Pomptinus nell’antichità [1]. I romani lo navigavano per lungo e per largo, in mezzo ai campi verdi, ai boschi, le mandrie al pascolo, il grano, le greggi, i salici piangenti. E pastori e contadini, casupole, borghi – forse anche città – e ville rustiche opulente con statue di marmo, mosaici, colonnati, terme e frigidari e calidari.
Lo navigavano a strallo – con l’imbarcazione nell’acqua e i muli od i buoi a trainarla con le funi dalla riva – dal fiume Astura a Terracina e dai monti Lepino-Ausoni al mare. Quando da Roma dovevano andare a sud – verso Capua, Napoli o Brindisi s’incamminavano a piedi sull’Appia, o su carri e cavalli, e arrivati a Borgo Faiti (allora Forum Appii, a un tiro di schioppo da Setta e dai monti Lepini) tiravano un sospiro di sollievo: «Menomale va’, adesso fino ad Anxur me la sfango». Da lì infatti – e fino ad Anxur-Terracina – mollavano i sobbalzi delle ruote sulla strada e se la facevano in battello, spesso di notte, tranquilli tranquilli, dormendo. Lo racconta nella V Satira il grande poeta Orazio, lamentandosi però che lui – quella notte – le rane e le zanzare e l’alternarsi di urla, canti e strepiti dei battellieri non lo facessero dormire. Grande poeta latino Orazio, ma un po’ dandy rompiballe.
Comunque navigavano su e giù – questi romani – per l’Agro Pontino, trasportando in quantità merci e persone. Lungo anche la costa preferivano la navigazione interna – fluviale a strallo, più economica e vantaggiosa – a quella in mare, esposta ai rischi e ai capricci del tempo. Scavarono pertanto, alle spalle della duna e del promontorio del Circeo, una serie di canali – di cui restano tuttora lunghi tratti – che collegandosi ai laghi di Fogliano, Monaci, Caprolace e Paola, univano costa costa il porto e la città di Astura, se non addirittura Anzio e Nettuno, a Terracina. Era un progetto già di Giulio Cesare, che Nerone fece attivamente suo. Anzi, questo di Nerone era pure più ambizioso: lui voleva andare dalle foci del Tevere fino al lago di Averno (Pozzuoli); poi però lo hanno ammazzato e il lavoro purtroppo s’è fermato all’Agro Pontino.
Oltre a questa direttrice costiera e all’altra più settentrionale lungo l’Appia navigata da Orazio – chiamata allora Decennovium ed oggi Linea Pio, a cui dai monti affluivano il Cavata, l’Ufente e l’Amaseno – esisteva una terza via mediana di navigazione longitudinale. Era il fiume Antico – detto anche di Cisterna o Ninfeo, oggi Sisto – che dal piede dei Colli Albani (Velletri) passava per Cisterna e raccogliendo man mano il Teppia, il Ninfa e quant’altro occorresse, percorreva tutta la piana sino a sfociare ad est del Circeo, tra il Circeo e Terracina.
Non paghi però di navigare solo su e giù queste tre vie, i romani per intersecarle anche trasversalmente s’inventarono il Rio Martino, un prodigioso cavo riutilizzato poi dalla bonifica fascista che – tagliando ex abrupto la duna quaternaria – collegava il sistema mediano del fiume Antico (Sisto) con quello costiero. Di qua e di là quindi, in barca o battello per l’Agro Pontino, verso ogni direzione: dai monti al mare e al piano e viceversa; da Ninfa o Sermoneta, Priverno, Velletri fino ad Anzio, Astura, Circeo e Terracina.
Questo scavo di Rio Martino (Rigus Martinus) è da attribuire con tutta probabilità a Nerone che – s’era peraltro accinto anche al canale di Corinto – e deve essere stato, ai tempi, un lavoro enorme: un adnaton come dicevano i greci, una cosa impossibile a farsi, non prevista in natura e contraria agli dei. Ancora nel settecento l’ampiezza dello scavo al colmo dell’alveo arrivava a 75 metri, e la sua profondità – che si presume compromessa da secolari crolli e interrimenti – misurava circa 12 metri: «Talché viene ad essere il più vasto scavo, e forte, che sia in Europa» [2] diceva il Bolognini, che ne attribuiva erroneamente la paternità al papa Martino V.
Anche la stella dei romani però – «Sic transit gloria mundi» [3] a un certo punto declinò e cadde. Giunsero le età di mezzo e soprattutto i mutamenti climatici. Dal tardoantico sino agli albori del novecento gli impaludamenti e l’abbandono s’impossessarono gradualmente dell’intero territorio. I fenomeni eustatici – l’innalzamento del livello marino, che impedendo ai corsi d’acqua il versamento a mare ne causò gli straripamenti prima e i ristagni poi – e la malaria resero le Paludi Pontine quel mortifero «deserto paludoso-malarico» cantato da Goethe e conosciuto ancora dai nostri padri.
Per questo la bonifica integrale del 1926-1935 si pose come problema prioritario lo smaltimento il più celere possibile d’ogni acqua stagnante. Non doveva restare la minima pozzanghera in giro, in cui la zanzara anofele potesse riprodursi e provocare così una recrudescenza del morbo. E allora dài! appena cadeva una goccia di pioggia, subito a mare bisognava portarla ed ogni fiume, fosso o canale fu disegnato, corretto e riscavato a questo solo ed unico scopo: l’acqua, di corsa a mare. Così, oltre che col Ddt, si debellò la malaria e l’Agro Pontino divenne – per noi e i nostri padri – il giardino dell’Eden, la Terra Promessa.
Oggi però che ci viviamo in più di mezzo milione e tutto intorno è di nuovo una distesa soleggiata di campi coltivati e piantagioni, allevamenti, boschi, filari di eucalypti, fabbriche, industrie, borghi e città, tutta quell’acqua dolce che buttiamo ogni giorno a mare – mentre il suo bisogno, invece, con l’antropizzazione cresce sempre più – è un peccato contro il senno umano e la ragione cosmica. Il livello delle falde freatiche si è sensibilmente abbassato disseccando sorgenti millenarie, e quella che era una palude inospitale – che per la troppa acqua impediva la vita – rischia di restare senza acqua e, nel tempo, senza vita.
Noi oggi sogniamo di fare di nuovo dell’Agro Pontino una Pianura Blu [4], costruendo invasi a monte che trattengano l’acqua in situ – intuizione già di Omodeo [5] nel 1921 e F. D’Erme [6] poi – con il conseguente imbibimento massimo della spugna carsica dei Lepini ed innalzamento di tutte le falde a valle. Rifioriranno così, copiose, le antiche sorgenti e semplicemente riadattando il reticolo attuale dei fiumi e canali – riscavando alcuni alvei o pendenze, e mettendoli in comunicazione con paratie mobili – navigheremo di nuovo, per lungo e per largo come i romani, l’Agro Pontino.
Non lo navigheremo più a strallo ovviamente, con i muli e con i buoi. Ma con battelli ecosostenibili ad energia solare, e mini-pale eoliche ed idrauliche e colonnine sulle rive, a cui ricaricare le batterie. E punti intermodali di scambio e parcheggio auto-autobus-barca, con droni per l’aere a controllare la circolazione e piste ciclabili sulle sponde e sugli argini – rimboschiti di nuovo da fasce frangivento di salici piangenti, querce, cipressi ed eucalipti – e moli di sosta e d’attracco, e posti di ristoro ed agriturismi ad ogni campo o piantagione percorsa dalle acque. Da Latina al mare, ma pure ai monti, non ci andremo più in macchina – «Ma che, sei scemo?» – ma in battello fluviale. Pontinia sarà il grande porto di cambio tra il Linea Pio, il Sisto e il Rio Martino, e un sacco di gente nemmeno ci viaggerà soltanto, ma abiterà proprio su fiumi e canali in case galleggianti.
Sarà il popolo delle acque, e tra cinquanta o cent’anni al massimo – quando avremo conquistato le stelle – sui pianeti di Alpha Centauri i coloni, il mese prima d’andare in ferie, si diranno l’un l’altro: «Ah, non vedo l’ora quest’anno d’essere sulla Terra, per farmi una settimana di sogno nel paradiso di Pianura Blu, Agro Pontino. Tu pensa: spaparanzato in barca con la mia morosa sul fiume Ninfa, sotto le arcate romane di Tor Tre Ponti! Che vuoi di più dalla vita?».
Note:
1. Cfr. G. TRAINA, «L’immagine imperiale delle Paludi Pontine», in La Valle Pontina nell’Antichità. Atti del Convegno (di Cori, 13-14 aprile 1985), Roma 1990, pp. 39-44.
2. E. BOLOGNINI, Memorie dell’antico e presente stato delle Paludi Pontine. Rimedj e mezzi per diseccarle, Roma 1759, p. 14.
3. De Imitatione Christi, Libro I, 3, 6.
4. Cfr. Pianura Blu. le vie d’acqua della regione pontina. Propedeutica ad un progetto integrato di mobilità e sviluppo sostenibili dell’Agro Pontino, Convegno Camera di Commercio-CCIIAA di Latina – Pomos-Università la Sapienza – Officina Pennacchi, Latina 16 marzo 2012, Atti in corso di pubblicazione.
5. Cfr. Economia Pontina, Anno IX, n. 4, aprile 1963, pp. 7-8.
6. F. D’ERME, Disponibilità di acqua attraverso un invaso artificiale situato sui Monti Lepini, Latina (1970).