Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 07/09/2015, 7 settembre 2015
AVVENTURE E OSSESSIONI DIETRO UN’IMMAGINE
«Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano. Tornano contenti come cacciatori dal carniere ricolmo, passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto sviluppate (ansia a cui alcuni aggiungono il sottile piacere delle manipolazioni alchimistiche nella stanza oscura, vietata alle intrusioni dei familiari e acre d’acidi all’olfatto), e solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell’ombra insicura del ricordo». Comincia così «Avventura di un fotografo», il racconto che Italo Calvino scrisse nel 1970. Il protagonista, Antonio Paraggi, è quello che l’autore chiama un non-fotografo, uno tra le migliaia che catturano immagini per conservarle come frammenti della loro vita. Ma in Antonio il rapporto con la fotografia diventa ossessivo. Sopraffatto dalle infinite possibilità del mezzo tecnico, comincerà a farne un uso sempre più maniacale, all’inseguimento dell’«esattezza» e della «visibilità», fino all’idea utopica della «fotografia totale». È Antonio stesso a darne una definizione enigmatica: «Forse la vera fotografia totale, - pensò, - è un mucchio di frammenti d’immagini private, sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni». Questo racconto di Calvino è uno dei più analizzati dagli esperti di fotografia e dagli studiosi del linguaggio. «La fotografia ha senso solo se esaurisce tutte le immagini possibili», scrive Calvino. E Roland Barthes, evocando l’affermazione in «La Chambre claire», aggiunge: «Qualsiasi cosa dia da vedere e qualunque sia la sua maniera, una foto è sempre invisibile: non è essa che vediamo». Partendo da queste riflessioni il Museo laboratorio di arte contemporanea dell’università La Sapienza ha organizzato due mostre parallele, curate da Renata Tartufoli e visibili da oggi al 30 settembre. La prima, intitolata «Ossessione dello sguardo», propone opere di Eugène Atget, Bernard Plossu, Damien Darchambeau. Il proposito, spiega la curatrice, «non è di mettere in relazione l’opera di Calvino con dei fotografi per tentare d’illustrarne il contenuto, né un tentativo d’accordare questi due medium, ma di offrire alla riflessione dei visitatori una varierà di immagini appartenenti a dei generi differenti, partendo dal punto di vista calviniano sull’arte visiva e il posto ambiguo che lo scrittore accorda alla fotografia in particolare nel campo artistico». La seconda, «Euroartphoto», viene presentata come «una mostra di fotografia non commerciale», con i lavori di ventotto fotografi contemporanei provenienti da altrettanti paesi dell’Unione europea, ciascuno con una sola opera, che si allontana dal carattere documentario per cercare altre strade. Come il volo di origami della spagnola Lola Guerrera, studiosa di fotografia e di musica, dove gli angoli acuti della carta piegata sembrano il pizzicato di un movimento allegro, che contrasta con le tonalità gravi del giardino sullo sfondo per un effetto di armonia nell’insieme.
Lauretta Colonnelli