Ugo Bertone, Libero 16/10/2015, 16 ottobre 2015
I PM BUCANO LE GOMME A LAMBORGHINI
Prendete una fila di 8,5 milioni di vetture, tante quante gli abitanti della Lombardia. O, se prefarite, più degli abitanti dell’intera Svizzera. Ebbene, in senso figurato ma non troppo, tante saranno le vetture del gruppo Volkswagen che da gennaio dovranno affrontare l’ispezione e gli opportuni ritocchi al software malandrino che per anni ha falsato, al ribasso, le emissioni nocive dei motori. L’annuncio della casa tedesca è stata la risposta inevitabile dopo il diktat delle autorità tedesche che hanno imposto il ritrito di 2,4 milioni di pezzi venduti nella Repubblica Federale. Ma non è questa, forse, la notizia peggiore pe il colosso di Wolfsburg, fino a un paio di mesi fa punto di riferimento ed oggetto di grandi elogi per la governance da parte della sinistra italiana. Da ieri, però, i vertici della Volkswagen in Italia sono finiti nel mirino della procura di Verona, che ha aperto un fascicolo contro noti nell’ambito ndi un’inchiesta per frode in commercio. Tra gli indiziati spicca Luca De Meo, il presidente di Volkswagen Italia, membro del board di Audi e in procinto di prendere in Spagna la direzione delle attività Seat. Assieme a lui e ad altri quattro dirigenti attivi nel gruppo nel periodo in cui è stato istallato dalla casa tedesca su veicoli diesel euro 5 il software per aggirare gli standard ambientali per la riduzione dello smog. Tra gli indagati per il dieselgate. Figura anche il nome di Massimo Nordio, amministratore delle attigità italiane che, solo 24 ore prima, aveva assicurato le autorità italiane che, al contrario di quanto avverrà in Germania, la società non ridurrà di un solo euro l’impegnativo piano di investimenti già previsto. Durante la sua audizione, anticipata da una lettera del presidente di Audi a Renzi, Padoan e Guidi, Nodio avevagarantito che anche a fronte dello scandalo che potrebbe costare svariati miliardi al gruppo «non cambierà il piano di investimenti per l’Italia». Volkswagen, aveva aggiunto, sta lavorando «a una soluzione tecnica per la sostituzione di hardware all’interno del motore» per le auto di cilindrata 1,6 e 1,8 della classe di motori EA 189. Anche ieri, dopo il blitz, sono partite da Volkswagen rassicurazioni analoghe. Ma la collaborazione, più o meno obbligata, non ha risparmiato al gruppo della Vw il blitz della guardia di finanza che ha perquisito a tappeto, su mandato della procura di Verone, numerose sedi del gruppo in Italia. Non è stata risparmiata nemmeno la Lamborghini di Bologna, episodio che ha suscitato non poche perplessità: quando mai si è vista una Lamborghini alimentata con un motore diesel? Ma la macchina della giustizia, si sa, è implacabile e spesso cieca:Lamborghini fa parte del gruppo della casa automobilistica tedesca. Chissà, forse in questi giorni ci sarà una visita anche in Ducati. Nel frattempo,Cgil, Cisl e Uil di Bologna, non nascondono la preoccupazione per i posti di lavoro, nonostante le rassicurazioni dei vertici. Non finisce qui l’ennesima giornata nera del colosso dell’industria a quattro ruote tedesca. Il gruppo dovrà fronteggiare, oltre alle class action ed alle cause intentate dalle agenzie federali, un’altra causa negli Usa. Volkswagen è stata citata in giudizio per la «pubblicità ingannevole» con cui prometteva ai clienti Usa auto a basso impatto ambientale. Insomma, le disgrazie non finiscono mai.
Così come le preoccupazioni dei fornitori rassegnati a tagli nella produzione e nei profitti. Ma anche dei tesorieri delle grandi banche. Volkswagen, con i suoi 104 miliardi di obbligazioni collocate sui mercati finanziari è destinta ad infliggere gravi perdite anche alle finanziarie e alle assicurazioni più solide; il bond a 5 anni emesso in primavera a un rendimento del 2,4%, oltre la parità, è scivolato a un minimo di 93,2 centesimi. Forse un’opportunità per chi crede alla resurrezione a tempi record. Ma un bagno di sangue per il mercato dei bond, anche loro inquinati dal dieselgate.