Martino Cervo, Libero 14/10/2015, 14 ottobre 2015
TECNOLOGIA E INVESTIMENTI GOOGLE SCOMMETTE SU HILLARY
Si chiama “The Groundwork” (le fondamenta) e il logo (www.thegroundwork.com) ha un che di inquietante: tondo su fondo grigio con triangolo rivolto verso l’alto e radici stilizzate in basso. Roba da padroni del mondo. In effetti, è l’anello di congiunzione tra Google e Hillary Clinton e, più in generale, tra la Silicon Valley e il partito democratico. Perché dietro Groundwork, una start-up apparentemente come altre centinaia di migliaia, c’è un signore che si chiama Eric Schmidt. Sessant’anni, formatosi a Princeton e Berkeley, è una personalità difficile da sottostimare. Nel 2001 Sergej Brin e Larry Page, fondatori di Google, lo assumono. Diventa in pochi mesi il terzo punto della trimurti della G più famosa del mondo. Negli anni successivi entra nel board di Apple, apre più fondi di venture-capital, diventa consulente di Obama per la tecnologia, membro del club Bilderberg e della Trilateral, scala le classifiche di Forbes fino a diventare - posizione attuale - il 119° uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di 10 miliardi di dollari. Da poche settimane è direttore esecutivo di Alphabet, la nuova creazione di Mountain View che controlla Google, Calico, Google X Lab e Nest Labs, cioè tutte le “scatole” da dove esce il futuro del mondo, o buona parte di esso. Che c’entra la Clinton? Groundwork - finanziata da Schmidt - è il principale fornitore tecnologico della campagna di Hillary. Ci lavora Michael Slaby, già guru obamiano nelle due campagne vincenti di Barack e che durante una visita in Italia fece pure due chiacchiere con Gianroberto Casaleggio. Questa società rappresenta - come ha scritto Quartz.com - una delle più convincenti intersezioni tra l’ideologia della Silicon Valley (un progressismo neutro su base tecnologica che si propone di risolvere i problemi dell’uomo in maniera inedita e su scala globale) e la sinistra Usa. Non solo perché lo stesso Schmidt è anche un poderoso finanziatore del Partito democratico, e non solo perché non si contano le porte girevoli tra Mountain View e gli staff dei candidati dem. Oltre a Groundwork, Schmidt ha finanziato altre due startup di advertising politico ad alto contenuto tecnologico (Civic e cir.cl), entrambe fondate da ex impiegati nelle campagne di Obama. Il sito gemello di Groundwork è Timshel.com, espressione ebraica per “You can”: ricorda qualcosa?. L’importanza di questo tipo di tecnologia è cruciale: più ancora dei soldi a disposizione per i candidati, la qualità dell’estrazione dei dati, della profilazione degli elettori - soprattutto gli indecisi - e quindi la personalizzazione capillare dei messaggi (via web, sulla tv on demand e sui social) sono stati tra i fattori cruciali del doppio mandato obamiano. Oggi il meglio di queste esperienze si stia spostando armi e bagagli nel campo di Hillary. Le date, intanto: Groundwork viene fondata a fine 2014, più o meno quando diventa evidente che la consorte di Bill proverà a occupare la stanza ovale impegnata dal marito. Malgrado l’assoluto riserbo di chi ci lavora, un paio di siti americani hanno citato fonti secondo cui il compito della società è realizzare un cervellone che sviluppi un vero e proprio CRM (Customer Relationship Manager) della politica. Un’infrastruttura tecnologica che ingurgiti fiumi di dati sugli elettori e contribuisca a realizzare strumenti per raggiungerli: fundraising, pubblicità, coordinamento dei volontari, gestione dei social media, eccetera. A capo dello staff tecnologico della campagna di Hillary c’è Stephanie Hannon, ex Google. Il tradizionale scontro tra “politici” e “cervelloni” che si presenta in ogni campagna elettorale che si rispetti sembrerebbe così risolversi a favore dei secondi. Anche perché c’è un fattore altrettanto importante: i super PAC, cioè i principali veicoli di finanziamento dei comitati elettorali, non possono retribuire infrastrutture tecnologiche. La legge proibisce legami diretti con il coordinamento delle campagne, per le quali c’è un limite di 5.000 dollari. Tramite Groundwork, invece, Schmidt può finanziare (cioè investire, non donare) una semplice start-up che in realtà governa i giochi, pur essendo materialmente fornitore della Clinton (l’azienda ha fatturato 177mila dollari come cliente del comitato di Hillary nel secondo trimestre 2015). Perché non lo fanno anche gli altri? Perché nessuno ha la forza di Schmidt: uno dei guai principali delle campagne elettorali (dal punto di vista del mercato del lavoro) è che durano poco e sono ad alto rischio. Pochi geni sono disposti a compromettere una carriera in una multinazionale per una manciata di mesi che possono tradursi in una sconfitta. Ma se c’è dietro Schmidt è diverso: quale ingegnere informatico può permettersi di rifiutare un’offerta da uno dei dieci più brillanti leader del settore a cavallo del millennio? Per questo il potere di Groundwork (e della Silicon Valley) è più silenzioso ma maggiore di quello delle 138 famiglie repubblicane che hanno coperto di dollari il GOP secondo la recente inchiesta del New York Times. Se il prossimo inquilino della Casa Bianca dovesse sedersi in quel posto grazie (anche) all’indispensabile contribuito tecnologico e scientifico in campagna elettorale di figure come quella di Schmidt e poi si trovasse a dover decidere in tema di sicurezza nazionale (NSA), leggi sul trattamento fiscale da riservare alle “repubbliche digitali”, regolamentazione del web e limiti della “Internet of things”, be’, chi avrebbe lavorato per chi nei mesi precedenti?