Terry Marocco, Panorama 15/10/2015, 15 ottobre 2015
PORNO ANCH’IO
Di professione è un geometra, pratica come sport il nuoto. «Vi scrivo per uscire dal solito tram tram (sic) della vita», così Francesco di Lecco iniziava la sua lettera per chiedere di partecipare a un film porno. Siamo all’inizio degli anni Novanta, è la fine del secolo breve e del senso del pudore. E gli italiani si scoprono desiderosi di stare sotto le luci della ribalta. Anche se sono luci rosse. La pornografia da perversione di nicchia diventa di massa, con le cassette artigianali, i video amatoriali. Le 15 mila lettere selezionate da Michele Giordano in Porno Vocazioni raccontano un fenomeno finora sconosciuto: quello degli aspiranti attori porno. Giornalista, direttore della rivista cult di cinema Nocturno e studioso del porno in Italia, entra in possesso delle lettere alla morte di Hans Rolly, il più celebre regista di video amatoriali: mogli in carne, mariti con la pancetta che si contorcono con la telecamera in mano tra il divano e la lavatrice, amplessi dai titoli rustici (Pane, fregna e mortadella per citarne uno a caso), che oggi nell’era di YouPorn, (2 miliardi di contatti al mese), sembrano ingenui, vintage.
«Sono stato uno degli ultimi a incontrare Rolly, morto nel 2006», racconta l’autore. «A volte mi diceva che avrebbe voluto farne un libro, ma non si decideva mai. Alla morte, la moglie mi ha consegnato questa montagna di lettere. Ne ho selezionate 250, la crème de la crème». Pezzi di letteratura come questa missiva, scritta con il normografo: «Egregio Signore, mi chiamo Marta, sono una maestra elementare di 28 anni, fine, distinta, molto bella». Sposata da poco cerca guadagno nel porno all’insaputa del marito. «Sia gentile, mi dica francamente se i filmati comporteranno, quale corollario, la copula...».
La maestrina non approdò mai sul set e come lei quasi nessuno degli improbabili scrivani: un fornaio che dichiara di lavorare la notte, ma di essere liberissimo il pomeriggio, il medico che si offriva come attore hard scrivendolo su un foglio del suo ricettario aggiungendo «Telefonare casa ore pasti», un operaio specializzato che si domandava con apprensione: «Ho l’apparecchio acustico, è un problema?». E poi ragazzini brufolosi, avvocati focosi che assicurano che si potrà «rintracciarli anche in auto», un dipendente del Nuovo Banco Ambrosiano che chiede prudenza: «Dite che siete il mio zio di Como, quando chiamate». C’è l’universitario che si dichiara disponibile sul set «al sado-maso-bizarre o come traduttore dal francese». E il laureato genovese quarantacinquenne che confessa che ciò che lo affascina è «la possibilità di posare a Milano, che per me ha un significato di avventura nella metropoli». C’è chi allega i francobolli per la risposta, chi una piantina per l’incontro, chi millanta un amico in prefettura. Perlopiù uomini sposati, molti che si dichiarano bisex annoiati, sessualmente inibiti, dettagliatissimi nel dichiarare misure.
E poi le donne: liberate, ma non troppo, infermiere e laureate, che si definiscono senza pudore «formosette, con un corpo alla Serena Grandi», disposte a tutto, ma anche con una visione troppo romantica del mondo del porno: «Vorrei girare una telenovela sulla mia vita», chiede Francesca, 50 anni di Sondrio. Molte lettere sono un doloroso spaccato di un Paese in crisi economica, la più accorata è quella di Adele scritta su carta intestata del sindacato Fim-Cisl Brianza: «Sto cercando un lavoro, sono disperata e che Dio mi aiuti». Un mondo trasversale che affida i sogni di gloria alle inserzioni di riviste specializzate come Secondamano, Fermoposta, Contattiamoci, Video incontri privati, Le cose, che in quegli anni fecero il boom di tiratura. Tanto che il direttore di Fermoposta, la più celebre, girava in Ferrari.
Gli scatti inviati sono i primi selfie della storia, spiega nella postfazione il sociologo Alessandro Dal Lago: «Se chiunque ha diritto a 15 minuti di notorietà, secondo la geniale intuizione di Andy Warhol, perché non vedere in questi prodromi del porno virtuale delle moltitudini il tentativo di accedere alla notorietà da parte dei marginali, degli anonimi, della folla?». Ed eccoli in mostra: la casalinga che si immortala in gloriosi autoscatti in piedi sul wc. Uomini che mostrano orgogliosi il proprio membro accanto allo storico tubo del Vim. Dietro a tanto allegro esibizionismo, voglia di trasgressione, lista della spesa di zozzerie, tuttavia la locuzione più usata è: «Si richiede massima riservatezza». Genitori, mogli, datori di lavoro, nessuno deve scoprire le aspirazioni hard: «Telefonate solo dalle 13,30 alle 14,45 e spacciatevi per una cartolibreria»; «Presentatevi come Giovanni che vuole acquistare gli appunti di chimica». La più bella: «Quando vi rispondono, dite che avete i topi: lavoro per una ditta di derattizzazioni». E poi la lettera che fa capire che siamo un Paese di inguaribili sognatori: «Se riuscite a organizzarlo» scrive un trentenne milanese «vorrei provare con un equino. Il tutto con la massima discrezione e riservatezza». Asini riservati cercansi.